Stop alla guerra chimica in Kurdistan

Stop alla guerra chimica in Kurdistan, updated 12/5/22, 5:17 PM

categoryOther
visibility250
  verified

About Rete Ambientalista Al

Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza

Tag Cloud

Stop alla guerra chimica in Kurdistan – Fermiamo l’invasione del
Rojava!

Nella notte di Sabato 19 novembre una pioggia di bombe si è abbattuta
sul Rojava/Nord-Est Siria per mano dell’aviazione turca. Molte le
città colpite contemporaneamente in Rojava tra cui Kobane, Ain Issa,
Tel Rifaat, Derik e Derbasiye, ma anche Sulaymaniyya, Qandil e Shengal
nel Sud Kurdistan/Nord Iraq. In particolare le città di Kobane e Derik
sono state ripetutamente colpite per diverse ore durante la notte e di
nuovo nel corso della mattinata.

Kobane, la città che ha sconfitto l’ISIS al prezzo di migliaia di
vite civili e di combattenti YPG/YPJ e PKK, è da allora nel mirino del
regime di Erdogan e per questo motivo è stata immediatamente indicata
dal governo turco come capro espiatorio in seguito al recente attentato
avvenuto ad Istanbul. Indicare le istituzioni del Rojava come
responsabili dell’attentato non è altro che un goffo tentativo di
legittimare agli occhi dell’opinione pubblica una nuova invasione del
Rojava, in particolare della città di Kobane, la cui occupazione
completerebbe il progetto neo-ottomano iniziato con le invasioni del
2018 e 2019. Anche la tempistica di questi attacchi non è casuale, il
governo AKP-MHP è in calo nei sondaggi che lo vedrebbero sconfitto
nelle prossime elezioni, nonostante Erdogan abbia tentato di ritagliarsi
una posizione di rilievo attraverso gli accordi economici con l’UE e
tentando di acquisire una posizione centrale nel conflitto tra Russia e
Ucraina.

In un momento storico in cui il mondo sta seguendo con attenzione le
rivolte in Rojhelat e in Iran, al grido di “Jin Jiyan Azadi” –
Donna Vita Libertà, il governo turco sta lavorando attivamente per
distruggere la rivoluzione delle donne del Rojava, il luogo in cui da
dieci anni questo motto è stato applicato e si è tramutato in pratica
politica. Di fronte a questa ipocrisia l’opinione pubblica mondiale
deve adoperarsi affinché la comunità internazionale metta fine agli
attacchi turchi agli uomini e alle donne che lottano per un nuovo
modello di pace in Kurdistan e in medio oriente.

Da giorni ormai il Rojava è sottoposto a intensi bombardamenti con
aerei da guerra, droni, artiglieria e carri armati, provocando decine di
vittime civili, 12 nel solo raid su Derik in cui hanno perso la vita un
giornalista e diverse persone colpite da un secondo attacco aereo mentre
prestavano soccorso ai feriti. Oltre alle perdite di vite umane, lo
stato turco mira a rendere il Nord-Est della Siria invivibile, colpendo
infrastrutture vitali. Fino a ora 4 ospedali, una scuola e diversi silos
contenenti riserve di grano sono stati distrutti dalle bombe turche.
Erdogan stesso ha più volte annunciato di non aver intenzione di
cessare gli attacchi finché il Rojava non sarà distrutto, minacciando
una nuova invasione che creerebbe una catastrofe umanitaria e lascerebbe
le aree libere e democratiche dell’Amministrazione Autonoma della
Siria del Nord-Est nelle mani di Al Qaeda, ISIS e le altre bande
jihadiste affiliate allo stato turco.

Tra i primi obiettivi colpiti dai raid aerei turchi figura la prigione
in cui sono detenuti miliziani dell’ISIS a Qamislo, il 23 Novembre
anche le forze di sicurezza del campo di Al-Hol sono state bersagliate
da tre raid aerei consecutivi che hanno permesso la fuga di diverse
famiglie e militanti dell’ISIS. Il campo di Hol ospita circa 60.000
miliziani jihadisti incluse diverse migliaia di foreign fighters
provenienti da tutto il mondo. È chiaro che queste azioni mirano a
supportare la riorganizzazione dello Stato Islamico. Va ricordato a
questo proposito che meno di un anno fa l’ISIS è stato in grado di
lanciare nella città di Hasakah la sua più grande operazione dalla
disfatta del califfato nel Marzo 2019. Solo le continue operazioni delle
SDF contro le cellule sparse in tutta la Siria hanno impedito al gruppo
di riorganizzare il proprio esercito, operazioni che dovranno essere
sospese per fronteggiare una nuova invasione da parte dello stato turco.


Chiediamo quindi di iniziare immediatamente a mobilitarsi per informare
l’opinione pubblica sui crimini di guerra dello stato turco, sui suoi
piani di invasione e sull’uso massiccio di armi chimiche già in
corso.

Chiediamo di fare pressione sulle istituzioni affinché il nostro paese
non sia complice di questa guerra, affinché le armi italiane non
vengano usate per distruggere la rivoluzione delle donne e massacrare i
popoli che sperimentano il paradigma del Confederalismo Democratico, in
Rojava e in ogni altro luogo.


28/11 AGGIORNAMENTO DAL FRONTE CURDO

RAID TURCHI CONTRO I CURDI E L’ESERCITO SIRIANO A NORD DI ALEPPO

il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, ha ribadito la
determinazione del governo a “rendere il Paesi sicuro in ogni
centimetro partendo da oltre i suoi confini, passo dopo passo con le
operazioni" militari

27 Novembre 2022

Nella notte aerei da guerra turchi hanno effettuato intensi raid che
hanno colpito le aree di schieramento delle Forze democratiche siriane
(le milizie curdo arabe alleate degli Stati Uniti) dell’esercito
governativo siriano nelle campagne che si trovano a nord della città di
Aleppo, nella Siria settentrionale. Lo riferisce l’Osservatorio
siriano per i diritti umani, organizzazione con sede a Londra con una
vasta rete di fonti sul campo. I nuovi raid giungono circa tre giorni
dopo la cessazione degli attacchi aerei turchi sulle aree
dell’Amministrazione autonoma della Siria orientale gestita dai curdi
e oggetto dell’operazione lanciata esattamente una settimana fa, nella
notte tra il 19 e il 20 novembre.

Intanto, sui social media, circolano video che mostrano convogli
militari delle Forze armate turche attraverso valico di Kilis- Bab al
Salama, a nord della città siriana di Azaz, nella fascia di territorio
occupata dalla Turchia durante le operazioni “Ramoscello d’ulivo”
e “Scudo dell’Eufrate”. Azaz è situata a meno di 20 chilometri da
Tal Rifaat, città controllata dalle Unità di protezione dei popoli
(Ypg) – principale formazione armata curda parte delle Fds – situata
a nord di Aleppo. Dall’inizio dell’operazione turca, gli aerei da
guerra hanno lanciato 50 raid contro veicoli, punti, aree e località
separate ad Aleppo, Al Hasakah e Raqqa, secondo fonti
dell’Amministrazione autonoma curda, uccidendo 45 persone e ferendone
altre 34. Tra i morti anche esponenti dell’esercito governativo
siriano, almeno 12, secondo calcoli dell’Amministrazione autonoma
curda [2] [2]

Ieri, il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, ha ribadito la
determinazione del governo a “rendere il Paesi sicuro in ogni
centimetro partendo da oltre i suoi confini, passo dopo passo con le
operazioni” militari, in riferimento alla nuova operazione “Spada ad
artiglio” (Pence Kilic) lanciata da Ankara contro i gruppi curdi nel
nord della Siria e in Iraq. Parlando nel corso della cerimonia di una
fabbrica di sistemi d’arma Aselsan a Konya, Erdogan ha dichiarato:
“Vorrei esprimere le mie condoglianze ai nostri tre soldati militari
uccisi nella zona operativa di Claw Lock (operazione lanciata nel nord
dell’Iraq nell’aprile scorso), ai loro parenti e alla nostra
nazione”.

L’operazione è stata lanciata dopo l’attentato avvenuto lo scorso
13 novembre a Istanbul costato sei morti e 80 feriti. I gruppi curdi
hanno negato qualsiasi coinvolgimento negli attacchi. Il presidente
turco, Recep Tayyip Erdogan, ha dichiarato lo scorso 23 novembre che
intende ordinare un’operazione di terra nel nord della Siria per
completare la cosiddetta zona cuscinetto profonda 30 chilometri lungo le
zone a maggioranza curda nel nord della Siria da tempo voluta da Ankara,
ma che finora ha ricevuto l’opposizione sia della Russia, principale
alleato delle forze del presidente Bashar al Assad, sia degli Stati
Uniti che sostengono invece le milizie curdo arabe.

Intanto, secondo quanto riferito dal sito “Middle East Eye”,
funzionari turchi e russi starebbero negoziando un’operazione militare
turca su piccola scala per rimuovere i combattenti curdi siriani
dall’ovest del fiume Eufrate nelle prossime settimane. Lo scorso 23
novembre, in una telefonata, il ministro della Difesa turco Hulusi Akar
ha affermato all’omologo russo Sergej Shoigu che Ankara continuerà a
rispondere agli attacchi che prendono di mira gli insediamenti civili in
Turchia, secondo quanto riferito in una nota del ministero della Difesa
turco. Ankara e Mosca hanno firmato un accordo nel 2019 in base al quale
la Russia si è impegnata a spingere le Ypg fuori dall’area di confine
profonda 30 chilometri nel nord della Siria.

La Russia ha basi militari nei territori controllati dalle Ypg e ha un
accordo sottoscritto con la Turchia a Sochi il 22 ottobre 2019 che ha
istituito una zona cuscinetto profonda 30 chilometri che si estende dal
fiume Eufrate a Tall Abyad e da Ras al-Ayn al confine tra Iraq e Siria,
escludendo la città di Qamishli, considerata dai curdi la capitale
dell’Amministrazione autonoma della Siria nordorientale. Funzionari
turchi e russi si sono anche incontrati a margine dei negoziati siriani
condotti ad Astana, in Kazakistan, all’inizio di questa settimana.
Secondo quanto riferito da “Middle East Eye”, dopo l’incontro, i
funzionari russi hanno affermato di aver cercato di dissuadere la
Turchia dal condurre un’offensiva.

Già lo scorso giugno Erdogan aveva minacciato un’altra offensiva
contro Tal Rifaat e Manbij, città della provincia di Aleppo, bloccata
dalla mediazione russa tra Ankara e Damasco. Secondo le fonti citate da
“Middle East Eye” Tal Rifaat potrebbe essere tra i siti presi di
mira in un’imminente offensiva. L’operazione, se andrà avanti,
sarebbe la quarta di questo genere organizzata da Ankara nel nord della
Siria dal 2016. Sarebbe condotta con lo scopo dichiarato di combattere
le minacce alla Turchia da parte del gruppo dello Stato islamico e del
Pkk, oltre a consentire il reinsediamento dei siriani sfollati interni e
di quelli attualmente residenti nelle provincie meridionali turche, uno
degli obiettivi di Erdogan in vista delle elezioni presidenziali di
giugno 2023.

LA TURCHIA E L’IRAN HANNO AFFRONTATO INSIEME I CURDI

Il 21 novembre l’attacco ai curdi è stato lanciato anche dall’Iran.
Questo è dovuto al fatto che le proteste in Iran sono strettamente
legate al cosiddetto “fattore curdo”, e le cellule del PKK sono
attive in direzione iraniana. Quindi l’Iran ha fatto coincidere la sua
repressione con quella turca confidando in una minore attenzione
internazionale.

In particolare, il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC)
in tale data ha lanciato un’operazione nella città iraniana di
Mahabad, abitata prevalentemente da curdi. Nel 1947, in seguito
all’occupazione anglo-sovietica dell’Iran, nella città di Mahabad
fu fondata una repubblica autonoma di breve durata. Per tutta la notte
ci sono stati scontri con gruppi curdi all’interno della città,
strada per strada. Molti sono stati uccisi e feriti, le armi non si sono
fermate in città, hanno riferito i media locali. I curdi sono parte
integrante della rivolta in Iran, fatta principalmente dalle minoranze
da sempre ostili al governo centrale, ove alcuni gruppi ricevono
sostegno dagli USA.

La notte del 21 novembre, in seguito all’annuncio dell’inizio della
campagna Claw-to-Sword, le forze del Corpo delle guardie rivoluzionarie
islamiche iraniane (IRGC) hanno lanciato una serie di attacchi contro il
Kurdistan iracheno. L’obiettivo del bombardamento era la sede di quei
partiti politici curdi situati nelle province di Erbil e Sulaymaniyah,
che hanno sostenuto le proteste antigovernative contro Teheran in corso
da settembre. L’ampia ondata di malcontento popolare nelle loro
province densamente popolate da curdi è direttamente collegata dalla
leadership iraniana ai sentimenti separatisti presumibilmente trasmessi
dall’Iraq.

La minoranza curda iraniana costituisce tra l’8 e il 15% della
popolazione e risiede principalmente nelle province dell’Azerbaigian
occidentale, del Kurdistan e di Kermanshah, conosciute collettivamente
tra i curdi come Rojhalat (Kurdistan orientale). Pur condividendo molte
tradizioni con gli altri iraniani, inclusa la maggioranza persiana
dominante, i curdi hanno le loro peculiarità linguistiche, culturali e
religiose.

Date queste circostanze materiali e politiche, la componente curda
durante i disordini in tutto l’Iran costituisce una componente
cospicua. Questa protesta in passato, si è manifestata nella lotta
armata e nell’insurrezione aperta.

IN SIRIA I CURDI HANNO RESPINTO LA PROPOSTA RUSSA PER BLOCCARE
L’ATTACCO TURCO

È interessante che la Russia, dopo aver preso accordi con Ankara ha
offerto alla dirigenza curda in Siria la possibilità di bloccare la
Turchia a patto che la regione a nord dell’Eufrate autogestita dai
curdi, ritorni sotto l’amministrazione del governo centrale di
Damasco. La proposta è stata respinta dalla parte curda.

Stessa proposta era stata fatta precedentemente per la provincia di
Afrin, anche in quell’occasione i curdi rifiutarono. La provincia è
attualmente occupata dalle milizie turche, sotto la supervisione di
Ankara.

Certo i turchi deludono gli USA costantemente, ma sono tollerati per la
necessità statunitense di avere una fortezza meridionale vicino ai
confini dell ‘”impero del male”. Secondo questo ragionamento se
l’Iran o Assad fossero con gli USA , i curdi sarebbero i cattivi e il
governo degli Ayatollah e il governo siriano sarebbero i buoni.

__

ROJAVA: QUINTA CORRISPONDENZA DI RADIO ONDA D’URTO. MENTRE
CONTINUANO
I BOMBARDAMENTI TURCHI, MIGLIAIA DI DONNE DEL ROJAVA IN STRADA PER IL
25
NOVEMBRE

sabato 26 novembre 2022

Quinta corrispondenza, venerdì 25 novembre 2022, dai territori della
Siria del Nord e dell’Est con inviate e inviati di Radio Onda
d’Urto, presenti in Rojava, l’area dell’Amministrazione autonomia
secondo i principi del confederalismo democratico che la Turchia di
Erdogan ha nuovamente aggredito militarmente a partire dalla notte tra
sabato 19 e domenica 20 novembre 2022.

“Un aggiornamento dall’Amministrazione Autonoma della Siria del nord
e dell’est.
Per quanto riguarda I combattimenti, nella notte tra ieri e oggi e
questa mattina l’esercito turco ha continuato a bombardare. In
particolare sono stati colpiti villaggi nelle aree di Zirgan, Ain Issa,
Shehba, Manbij e Kobane. L’artiglieria turca ha colpito anche una
posizione delle Forze Siriane Democratiche sulle montagne di Zour
Maghar, a est di Jarablus. Gli sforzi militari di Ankara al momento
continuano a concentrarsi sulle aree che Erdogan due giorni fa ha
indicato come primo obiettivo di questa nuova invasione del Rojava,
nella parte occidentale della regione. Si tratta di aree controllate
dall’esercito russo, che collabora con le Forze Siriane Democratiche
nel pattugliamento della linea di confine tra i cantoni gia’ occupati
dai turchi e dalle milizie jihadiste loro alleate (Afrin e Serekanye),
ma che potrebbe raggiungere un accordo con il governo turco per dare
l’ennesimo via libera ai piani di Ankara.

L’obiettivo tattico dell’esercito turco, nella piu’ ampia
volonta’ strategica di porre fine all’Amministrazione Autonoma della
Siria del nordest, e’ innanzitutto quello di invadere i territori che
separano le porzioni di territorio siriano che ha gia’ in controllo.
Tra l’altro, sempre per quanto riguarda gli attacchi turco-jihadisti,
questi continuano a colpire anche postazioni dell’esercito del regime
siriano che oggi, per esempio, ha respinto un tentativo del cosiddetto
Esercito Nazionale Siriano, ovvero le bande islamiste alleate di
Erdogan, di avanzare da sud, a Tadif, in direzione di Al-Bab, nella
regione di Aleppo. Ne sono seguiti combattimenti tra I miliziani e le
truppe di Damasco.

Come descritto nel collegamento precedente, l’Amministrazione Autonoma
del Rojava non sta reagendo in maniera passiva a questa offensiva. Tutta
la societa’, dalle strutture militari di autodifesa a quelle civili,
e’ mobilitata per resistere. In una lunga intervista rilasciata ad
Al-Monitor, il comandante delle Forze Siriane Democratiche Abdi Maslum
Kobane [3] ha spiegato come non soltanto l’esercito rivoluzionario, ma
tutta la popolazione civile, si prepara da anni per opporsi in maniera
efficace a un nuovo tentativo di invasione da parte della Turchia.
Sempre Abdi Maslum ha assicurato che le forze di cui e’ al comando
sono preparate a far pagare un duro prezzo all’esercito turco e ai
suoi alleati e ritengono di avere buone possibilita’ di respingere
l’offensiva. Le Forze Siriane Democratiche, in effetti, rispondono al
fuoco. Ieri sera hanno portato a termine un’operazione nei territori
occupati colpendo le basi turco-jihadiste di Minax e Kenhir, nella
regione tra Til Temer e il distretto di Zirgan. Secondo quanto
riportato, 4 miliziani filoturchi sono stati uccisi. In seguito, nella
stessa area, le milizie controllate da Ankara hanno provato ad avanzare
ma sono state respinte. Nella tarda mattinata di oggi le Forze Siriane
Democratiche hanno fatto sapere di aver eliminato in totale 20 uomini
nemici, 12 soldati turchi e 8 miliziani. “Nelle azioni compiute
nell’ambito della legittima difesa – si legge nel comunicato –
sono stati uccisi 12 soldati turchi occupanti e 8 mercenari delle bande
jihadiste”. “Allo stesso tempo – prosegue la comunicazione –
negli scorsi 5 giorni le nostre forze armate hanno respinto gli attacchi
dello Stato turco e delle sue gang di invadere la nostra regione”.

Mentre continua ad attaccare, colpendo non solo obiettivi militari ma
anche infrastrutture civili e centri abitati, il ministro della Difesa
turco ha spiegato che Ankara starebbe solo rispondendo agli attacchi di
quelli che definisce “terroristi” in una telefonata con l’omologo
russo che gli avrebbe chiesto nuovamente di fermare l’escalation.
Ricordiamo, a questo proposito, che oltre ad alcune collaborazioni
militari tattiche sul territorio del Rojava, la Russia e’ alleato
forte del regime siriano, cui di fatto garantisce di continuare a
esistere.

Dicevamo, pero’, che la rivoluzione del Rojava non resiste
all’aggressione turca soltanto sul piano militare. Anche le strutture
civili del confederalismo democratico sono impegnate a contrastare
questo tentativo di cancellare questa esperienza. “Il nemico attacca
da tutti i lati, dall’esterno e dall’interno – afferma ad esempio
l’Organizzazione dei giovani della Siria del nordest – ma questa
rivoluzione e’ fatta dalla resistenza e dalla volonta’ del popolo ed
e’ per questo che non puo’ essere sconfitta”.

A confermare questo approccio, in occasione del 25 novembre migliaia di
donne sono scese in strada anche in tutti i cantoni del Rojava per
mostrare la propria determinazione contro gli attacchi della Turchia e
per mandare un messaggio a tutto il mondo: “Oggi – dicono – nella
giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le
donne – ricordiamo tutte le lotte delle donne coraggiose che hanno
dedicato le loro vite alla costruzione di un altro mondo. Un mondo dove
patriarcato e misoginia non fan parte della societa’, una vita libera
e meravigliosa nella quale gli esseri umani possano vivere. In questo
giorno celebriamo tutte le lotte in tutto il mondo e i loro successi, e
lottiamo contro il sistema capitalista patriarcale e la sua aggressione
inumana nei confronti delle donne”.

Da parte di tutte le persone, a tutti I livelli, dai rappresentanti
delle istituzioni a chiunque scenda in piazza, l’invito costante e’
a scendere nelle strade di tutto il mondo e denunciare quello che sta
accadendo, mobilitarsi per difendere il Rojava perche’ – spiegano
– non bisogna pensare che sia inutile, al contrario, mettere una
grande pressione ai governi degli stati occidentali complici, alleati di
Erdogan, puo’ essere decisivo e contribuire concretamente a fermare
questa guerra.”