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Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza

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Speciale PFAS. I “Forever chemicals” tra salute pubblica, lobbies e
industria bellica.

Speciale PFAS 1. I forever chemicals.
Cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente indistruttibili. I PFAS sono denominati “forever
chemicals”, inquinanti eterni, perché non si degradano nel tempo ma restano indistruttibili. Si disperdono
in natura e hanno invaso ogni angolo del globo: dalle vette remote più incontaminate fino ai poli, dagli
animali marini come i cetacei a ecosistemi lontani dalle attività dell’uomo, dalla pioggia fino all’acqua di
rubinetto delle nostre case.
Milioni di persone sono esposte ai Pfas attraverso gli alimenti, l’acqua potabile, l’aria, una infinità di
prodotti di consumo, materiali presenti nelle nostre case e nei luoghi di lavoro, che, grazie ai Pfas,
diventano stabili, resistenti alle alte temperature, idrorepellenti, ignifughi. Nei decenni, hanno trovato
impiego in una vasta gamma di applicazioni industriali e prodotti di largo consumo: imballaggi
alimentari, padelle antiaderenti, filo interdentale, carta da forno, farmaci, dispositivi medici, cosmetici;
capi di abbigliamento, prodotti tessili e di arredamento, capi in pelle; nell’industria galvanica (in particolare
cromatura), scioline, cosmetici, gas refrigeranti, nell’industria elettronica e dei semiconduttori, nell’attività
estrattiva dei combustibili fossili, in alcune applicazioni dell’industria della gomma e della plastica, nelle
cartiere, nei lubrificanti, nei trattamenti anticorrosione, nelle vernici, in prodotti per l’igiene e la pulizia e
nelle schiume antincendio.
Nel corpo umano queste sostanze sono state trovate nel sangue, nelle urine, nella placenta, nel cordone
ombelicale e persino nel latte materno. L’esposizione ai Pfas è stata associata a una serie di effetti tossici e
cancerogeni sulla salute. Problemi alla tiroide, danni al fegato e al sistema immunitario, riduzione del peso
alla nascita dei neonati, obesità, diabete, elevati livelli di colesterolo e riduzione della risposta immunitaria
ai vaccini, diabete gestazionale, impatto negativo sulla fertilità, oltre che alcune forme tumorali come il
cancro al rene e ai testicoli. Di recente, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc)
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha completato le valutazioni circa la cancerogenicità di due
molecole appartenenti al gruppo dei Pfas, classificando il Pfoa come “cancerogeno per l’uomo” (Gruppo 1)
e il Pfos come “possibile cancerogeno per l’uomo” (Gruppo 2B). Le altre molecole restano “sospette”.











Speciale Pfas 2. Una legge per la messa al bando in Italia.

Manca una legge per la messa al bando dei Pfas in Italia. Benchè nella passata legislatura fosse stato
presentato, con la nostra collaborazione, un Disegno di Legge dall’ex senatore Mattia Crucioli,
che detta “Norme relative alla cessazione della produzione e dell’impiego delle sostanze poli e
perfluoroalchiliche (PFAS)”.
Insomma li mette al bando in Italia. Vieta la lavorazione, l’uso, la commercializzazione, il trattamento e lo
smaltimento, nel territorio nazionale, delle sostanze poli e perfluoroalchiliche (PFAS) e dei prodotti che le
contengono, e detta norme per la loro dismissione dalla produzione e dal commercio, per la cessazione
dell’importazione, dell’esportazione e dell’utilizzazione dei PFAS e dei prodotti che li contengono, per la
realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall’inquinamento da PFAS,
per la ricerca finalizzata alla individuazione di materiali sostitutivi, alla riconversione produttiva e per il
controllo sull’inquinamento da PFAS.
Insomma assume le istanze di tutti i Movimenti, Associazioni e Comitati, che da anni si battono per
eliminare questi cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente indistruttibili, dalle acque,
dall’aria, dagli alimenti, insomma dal sangue dei lavoratori e dei cittadini altrimenti ammalati e uccisi.
Il Disegno di Legge giace sepolto dalla complicità della politica con la lobby industriale.

Speciale Pfas 3. Il manifesto per la messa al bando dei Pfas.

Stante il vuoto legislativo, clicca qui il Manifesto per l’urgente messa al bando dei PFAS, “sostanze chimiche
per sempre” sottoscritto da 122 gruppi della società civile europea e non solo.



Speciale Pfas 4. Veneto: risoluzione per la messa al bando dei Pfas.


Il Consiglio regionale del Veneto ha approvato all’unanimità la risoluzione con la quale l’assemblea
legislativa esprime adesione al “Manifesto BanPFAS”per l’urgente messa al bando dei Pfas.

Speciale Pfas 5. Lombardia: adesione al “Manifesto BanPFAS”.

I consiglieri lombardi del M5S, nell’audizione in commissione Ambiente sulla presenza di PFAS in acque e
terreni della Lombardia, hanno manifestato
la richiesta di adesione al “manifesto europeo
#BanPfas
“Chiederemo che la nostra Regione resti al passo con altri Paesi
europei quali: Germania, Danimarca, Olanda, Svezia e Norvegia. In Lombardia, così come nel resto d’Italia, i
PFAS non vengono più prodotti se non in rari casi, ma sono presenti in una moltitudine di cicli produttivi.
L’OCSE ha reso noto che le alternative, meno dannose per la salute, esistono. Motivo per cui chiederemo alla
Giunta di attivarsi presso il Governo sia per la messa al bando dei PFAS, sia che per la promozione e il
sostegno a filiere produttive alternative”.

Speciale Pfas 6. Emilia Romagna: interrogazione per stop Pfas.

La consigliera dei Verdi in Regione, Silvia Zamboni, presenta interrogazione alla giunta Bonaccini: Secondo
l’inchiesta giornalistica coordinata dal quotidiano Le Monde anche nella nostra regione sono presenti alcuni
siti contaminati e tantissimi siti potenzialmente contaminati. Inoltre, non sfugge il dato di realtà che
l’Emilia-Romagna confina tramite il corso del Po con Piemonte, Lombardia e Veneto, tre regioni ad altissimo
grado di inquinamento da PFAS, sostanze molto presenti nei corpi idrici”. Urgente avviare delle
contromisure: un programma di sorveglianza sanitaria della popolazione ubicata nelle zone a rischio
mediante l’adozione di un piano ad hoc per la prevenzione, diagnosi precoce e presa in carico delle
patologie cronico-degenerative potenzialmente associate ai PFAS.

Speciale Pfas 7. Valsusa, petizione per la messa al bando PFAS.


Da Val di Susa e Piemonte avviata sulla piattaforma Change.org
la petizione pubblica al
link https://www.change.org/messa_al_bando_PFAS per la messa al bando totale dell’uso e della
produzione dei Pfas: non devono più essere prodotte, non devono più essere contenute nell’acqua che
beviamo come in nessun prodotto di consumo sia civile che industriale, non devono essere più smaltite e
sversate in qualunque luogo oppure discarica. Successivamente si promuoverà una proposta di legge di
iniziativa popolare per la messa al bando totale dei pfas per l’Italia da presentare alla Camera dei deputati,
con una campagna di raccolta firme che segua l’iter ufficiale.

Speciale Pfas 8. Bando ai Pfas: Solvay risponde picche.


Se disegni di legge, regioni, comitati, associazioni da tutta Italia chiedono la messa al bando dei tossici e
cancerogeni PFAS (il C6O4, il “nuovo amianto”), la risposta di Solvay, unico produttore nazionale, è un NO
secco e categorico, una sfida aperta. La posizione ufficiale del colosso belga è stata ribadita da Stefano
Calosio nella sede istituzionale più significativa: la “Commissione Sicurezza e Ambiente” del Comune di
Alessandria, per il quale sobborgo -Spinetta Marengo- il sindaco, malgrado gli competa il dovere di
massima autorità sanitaria locale, si ostina a non emettere ordinanza di fermata delle produzioni dello
stabilimento, spalleggiato dalla complice Regione Piemonte, che a sua volta evita i monitoraggi del sangue
alla popolazione per oscurare le innumerevoli indagini epidemiologiche e le altrettanto inesorabili indagini
ambientali dell’Arpa.
Ilham Kadri, presidente di Solvay (Syensqo), per bocca del direttore del polo chimico, Stefano Colosio, non
ha lasciato margini di dubbio: non sarà immediatamente fermato il cC6O4 né nella unità di ricerca
di Bollate né nella unità di produzione appunto di Spinetta Marengo. Il tono del rifiuto è stato addirittura
sprezzante: “Abbandonare un coadiuvante di polimerizzazione sarebbe come chiedere a un cuoco di fare
fritture senza olio, di usare friggitrici ad aria”, così come a rimarcare la perentorietà delle proprie
decisioni.
Decisioni che Solvay motiva con aria di sfida agli scienziati di fama internazionale. “Innanzitutto il C6O4 è
ampiamente meno nocivo del suo predecessore: il Pfoa.” D’altronde questa sfida per il Pfoa era durata 50
anni: per mezzo secolo Solvay & C. immediatamente sospettarono e poi in corso d’opera accertarono che
era cancerogeno, ma noncuranti uccisero ambiente, lavoratori e cittadini, e fino all’ultimo negarono, finchè
il Pfoa è stato messo al bando nel mondo. Nel frattempo, Solvay non è stata in inerte attesa della
inevitabile dipartita del miliardario Pfoa, ma ha sperimentato di nascosto e poi brevettato il suo sostituto,
il C6O4, che come tutti i PFAS passati presenti e futuri è tossico e cancerogeno.
Abbiate voi la pazienza, ha detto Kadri/Calosio, di aspettare che la tragica evidenza della catastrofica catena
ecosanitaria convinca di mettere al bando l’ancor più miliardario C6O4; intanto il nostro “cuoco” studia
come sostituirlo con un Pfas ancora “meno nocivo”; eliminarli no: non fa business nelle
nostre “fritture” sostituire il nostro “olio” con “friggitrici ad aria”. Anche per il C6O4, perciò, ancora qualche
anno di pazienza, anzi, ad essere franchi “Abbiamo deciso di dismetterlo perché è avverso all’opinione
pubblica, non perché rappresenti dal punto di vista ambientale una vera minaccia”. Ho detto tutto:
“meno nocivo”.
Dunque, noi dovremmo aspettare che queste sostanze, tossiche e cancerogene, ribattezzate “forever
chemicals”, per sempre si accumulino indistruttibili nell’ambiente e nel sangue, come è avvenuto e sta
avvenendo ad Alessandria per PFOA, ADV e C6O4? Anche su questo aspetto, Kadri/Calosio ha invitato a non
esagerare. Dopo Montedison, è pur vero che il Pfoa per venti anni Solvay l’ha buttato in aria-acqua-suolo e
che ancora oggi l’Arpa (con ADV e C6O4) lo misura -dai camini della fabbrica alle falde- dappertutto in tutta
la provincia, ma Kadri/Calosio invita a pazientare: “La messa in sicurezza operativa, che riprende l’acqua
della falda e la depura, è tuttora un mezzo per purificare il terreno, è chiaro che ci impiegherà un po’ di
tempo ma per il momento è l’unica tecnologia che abbiamo a disposizione. Analogamente per i nuovi
Pfas ADV C6O4 che continuiamo a produrre.”
E Solvay imperterrita continua a produrre (anche) ADV e C6O4 da un quarto di secolo, e non accetta bandi
per il futuro. Kadri/Calosio si è mostrato del tutto indifferente alle migliaia di Vittime di questo
inquinamento, malati e morti, tra lavoratori e cittadini. Anzi, riferendosi proprio ai soggetti più a rischio,
cioè ai
lavoratori, Kadri/Calosio ha rassicurato
la “Commissione Sicurezza e Ambiente”: “Nel
biomonitoraggio (privato n.d.r.) dei nostri dipendenti che fino al 2013 hanno utilizzato il Pfoa, abbiamo
osservato che la sua concentrazione nel sangue impiega 4 anni a dimezzarsi”. La Commissione,
sbeffeggiata, non ha replicato.
Ci permettiamo di fare un nostro commento all’abnormità: di questi dipendenti, che fino al 2013
avrebbero utilizzato (per 5-10-20 anni?) il killer Pfoa senza subire gravissimi danni a tiroide, pancreas,
diabete, colesterolo, leucemie, tumori eccetera, e avrebbero dal 2013 aggiunto nel sangue i “poco
nocivi” ADV e C6O4: tranquillizzati da direttori come Colosio proprio per quanto riguarda il vecchio Pfoa:
il loro fardello di veleno dopo 4 anni non sarebbe scomparso ma si sarebbe dimezzato, e dopo altri 4 anni
la concentrazione si sarebbe ridotta ad un quarto, e via via finchè in 28 anni (nel 2041) il Pfoa si sarebbe
ridotto nel sangue quasi a zero, mentre a sua volta il “poco nocivo” C6O4 si dimezzerebbe… ancora più in
fretta. Tutto questo “virtuoso” ciclo lavorativo: senza danni ai lavoratori (e ai cittadini) che pesino sulla
coscienza di Kadri/Calosio.
Che si sente men che mai responsabile della omessa bonifica sanzionata dalla Cassazione: non si tratta di
mancati investimenti per lucrare profitti, bensì di mere difficoltà tecniche: “Non per tutti gli inquinanti nel
sottosuolo di Spinetta c’è una tecnologia evidente, chiara e pratica per arrivare a una bonifica completa
del terreno: la barriera idraulica ha un effetto positivo ma non ancora risolutivo sull’inquinamento del
sottosuolo”. Insomma, ci vogliono altre decine e decine di anni, portate pazienza: “La nostra ricerca è
ancora al lavoro per trovare delle soluzioni per limitare l’impatto ambientale”, sapendo che non potrà
essere mai “impatto zero”: né per l’inquinamento storico della ventina di tossici e cancerogeni né per
l’attuale -ancora più preoccupante- della ventina di tossici e cancerogeni che “ci sfuggono” in suolo aria
acqua, dei quali i Pfas sono solo la punta dell’iceberg.
Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro.


Speciale Pfas 9. Il nuovo processo è stato inventato dai PM: senza alcun fondamento di reati.

Gli storici avvocati di Solvay, Luca Santa Maria e Dario Bolognesi, sono intervenuti di peso nel dibattito
pubblico e anche con una nota depositata alla Procura di Alessandria, titolare del (secondo) processo che la
multinazionale belga sta tentando di rinviare con espedienti e cavilli processuali, e prima di ripetere la
criminalizzazione del PM (come nel primo processo).
Se il contenuto vuole essere intimidatorio, il tono è apodittico: affermazioni dogmatiche, che vorrebbero
essere verità assolute, inconfutabili, mentre appaiono senza sostegno di prove. Affermazioni palesemente
infondate, ovvero bugiarde:
La Cassazione ha assolto Solvay per il disastro ambientale: causato invece da Ausimont-Edison, peraltro
venditrice truffaldina a celarlo.
L’incolpevole Solvay si è generosamente fatta carico di Messa in Sicurezza Operativa e Interventi di
Bonifica, ovvero la barriera idraulica.
Così, grazie a Solvay, è indubbio un significativo miglioramento dello stato qualitativo dei suoli e delle acque
sotterranee, sia all’interno che all’esterno del sito.
Per prima, la Cassazione aveva già confermato che l’acqua di Alessandria è sempre stata potabile.
Anche per quanto riguarda l’aria, le analisi confermano che i PFAS nell’aria sono inferiori ai limiti di
rilevabilità.
Insomma, non sono quindi assolutamente ipotizzabili rischi per la salute pubblica.

Speciale Pfas 10. Pfas a Tortona, roba da Chiodi.

“Tonnellate di Pfas C6O4 nel deposito clandestino di Solvay a Tortona”: avevamo titolato in un nostro
servizio del 2020, vedi anche la cartina. Ma la denuncia, ripresa anche da altri giornali, era stata sommersa
dall’omertà delle amministrazioni alessandrine e regionali. Ora, dall’indagine di Greenpeace riemerge
Tortona quale località con la presenza di consistenti concentrazioni di PFAS. Però nessuno ha finora messo
in relazione le due notizie. Riavvolgiamo il nastro.
Aumentando la produzione di C6O4, Solvay per lo stoccaggio dei serbatoi affitta un magazzino esterno allo
stabilimento di Spinetta Marengo, precisamente a Torre Garofoli nei capannoni della ditta Arcese
Trasporti. Solvay non ha alcuna autorizzazione per trasferire fuori dai cancelli, avanti e indietro, un
prodotto intermedio, non destinato alle vendite, pericoloso anche nella fase di trasporto per le variazioni di
temperatura. Anzi, Solvay non aveva ancora neppure l’AIA autorizzazione all’ampliamento della
produzione stessa. Così come non aveva neppure l’autorizzazione a sperimentare il C604: come
denunciammo in Procura nel 2009. In altre parole, è da venti anni che Solvay non viene fermata dalla
Provincia.
Orbene, Provincia, Arpa, Vigili del fuoco sapranno, ora, dirci quante tonnellate di C6O4 sono state stoccate
nel deposito? per quanto tempo? custodito da chi? in quali condizioni di sicurezza? se il deposito è estraneo
ovvero l’inquinamento proviene direttamente dal sito di Spinetta Marengo? Magari a queste domande
risponderà Federico Chiodi che si ripresenta candidato sindaco nella coalizione di Forza Italia, Lega Salvini,
Nuova Tortona, Fratelli d’Italia.


Speciale Pfas 11. Provincia di Alessandria, vittima sacrificale di Solvay.

Spinetta Marengo, dove sorge lo stabilimento della Solvay, è appena un sobborgo di Alessandria, dunque il
capoluogo è direttamente interessato dall’inquinamento terra-aria-acqua di 21 sostanze tossiche e
cancerogene: si pensi alle porte della città lo scarico in Bormida (e dal Tanaro al Po fino all’Adriatico), si
pensino i pozzi nel territorio chiusi con ordinanza municipale, si pensi, nei campioni d’aria prelevati da Arpa,
la presenza dei pfas sia C6O4 che ADV (inoltre il PFOA) sia verso nord che verso sud rispetto al polo
chimico.
Con il Comune di Alessandria, anche la salute della popolazione della Provincia è a rischio:
dell’inquinamento del brevettato pfas C6O4, ad esempio, non solo tramite le acque reflue e le falde ma
anche in atmosfera con la conseguente deposizione al suolo in ricaduta rispetto alla direzione prevalente
dei venti, fino a migliaia di nanogrammi per metro quadrato in pieno centro di Spinetta, fino ad avvelenare
a chilometri di distanza l’acquedotto del Comune di Montecastello, irreversibilmente chiuso, fino ai
campionamenti attivi -monitorati sempre dall’ARPA Piemonte (e bissati da Greenpeace)- nei limitrofi
Comuni di Alzano Scrivia, Castelnuovo Scrivia, Molino dei Torti, Guazzora , Tortona, e di Alluvioni
Piovera dove pure è presente il pfas ADV! A tacere gli altri sobborghi e comuni della Fraschetta, dove
Arpa è stata assente.











Speciale Pfas 12. Una delle contaminazioni più gravi in Europa e nel Mondo.

Si può analizzare la contaminazione da Pfas partendo dal caso particolare per risalire alla situazione
generale, o viceversa. Si può, cioè, partire da Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, l’unico sito di
produzione di queste sostanze in Italia. Qui, intorno al colosso della chimica, Solvay Specialty Polymers, ci
si ammala di più. A confermalo sono gli studi epidemiologici condotti dall’Arpa e dall’azienda sanitaria
locale. Chi vive nei pressi dello stabilimento Solvay registra un incremento del 19% delle patologie
tumorali, in particolare del polmone, della pleura e dell’apparato emolinfopoietico, rispetto al resto del
territorio alessandrino e piemontese. Anche qui l’attivismo ecologista, a partire dal Movimento di Lotta per
la Salute Maccacaro, da anni denuncia gli impatti e rischi ambientali della produzione di Pfas. I risultati degli
studi sono purtroppo una triste conferma delle nostre ragioni di lotta.
Si può, invece, partire dallo IARC, dalla l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro che ha
decretato alcuni di questi composti come certamente cancerogeni per l’uomo, tra questi ci sono il
Pfoa,(acido perfluoroottanoico). Ma anche quelli che rientrano nella categoria “possibilmente cancerogeni”
portano alti livelli di nocività per la salute, in particolare danni al fegato, malattie della tiroide, obesità e
problemi di fertilità. “Molti Pfas sono distruttori endocrini, influenzano quindi la fertilità maschile e
femminile. Inoltre, hanno effetti sul controllo del peso corporeo, sulla funzionalità della tiroide e della
ghiandola mammaria, causano immunotossicità. Anche nei bambini sono stati osservati effetti sullo
sviluppo, come l’alterazione del comportamento, pubertà precoce e anche nei neonati è stata
riscontrata una diminuzione del peso alla nascita. L’esposizione a lungo termini a Pfas è stata associata a
un aumento del rischio del cancro, soprattutto ai reni, alla prostata e ai testicoli. Il principale problema è
che esistono più di quattromila sostanze appartenenti ai Pfas.
Il seguente lungo articolo, clicca qui, affronta la problematica da entrambi i punti di partenza.







Speciale Pfas 13. Un disastro ambientale e sanitario.

Secondo Greenpeace “in Piemonte, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana sono state rilevate
concentrazioni di Pfas a volte persino superiori a 500 ng/l. Una situazione allarmante, soprattutto alla luce
del fatto che il limite ‘accettabile’ ‘stabilito dalla Direttiva Europea 2020/2184 è pari a 100 nanogrammi per
litro (ng/l)”. In Italia i siti più contaminati sarebbero 1.600, oltre 17mila in tutta Europa.
Clicca qui gli effetti dei PFAS sulla salute umana e sull’ambiente analizzati dagli studiosi dell’Alma Mater
e dell’Università di Padova, e dal Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna.

Speciale Pfas 14. Deleterio distinguere i PFAS in “certamente cancerogeni” e “possibilmente
cancerogeni”.

Lo studio ha voluto misurare i Pfas nei contenitori alimentari in carta, cartone, metallo e plastica. Ne ha
trovati 68 diversi, 61 dei quali “inaspettati”, ossia non dichiarati (né controllati) per l’uso in quegli
imballaggi. La soluzione? Vietarli integralmente spiegano i ricercatori.
Environmental Science & Technology (ES&T) riporta quanto attestato da ben 47 studi scientifici in molti
Paesi del mondo: all’interno di imballaggi alimentari e molti altri materiali che vengono posti direttamente
a contatto con il cibo sono infatti state rinvenute ben 68 tipologie di PFAS, 61 delle quali “inaspettate”, in
quanto non autorizzate per l’utilizzo in alcun inventario normativo o industriale nelle specifiche
confezioni. In larga parte dei casi, precisamente il 72,5%, gli PFAS sono stati trovati nella carta e nel cartone,
ma essi sono stati identificati anche all’interno di imballaggi in plastica, nonché in metalli rivestiti.
L’indagine ha messo in evidenza che vietare singolarmente questo o quello PFAS non serve, poiché sul
mercato sono presenti numerosi PFAS diversi che possono avere funzioni simili e potrebbero essere
utilizzati come alternative, dunque ritiene opportuno un divieto globale dei PFAS, superando la fase del
“sospetto”. Recentemente, nella rivista The Lancet Oncology è stato pubblicato un articolo scientifico in cui
trenta scienziati dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) hanno concluso che una delle
tipologie di PFAS più diffuse, quella dei PFOA, è certamente cancerogena (Gruppo 1), mentre es. i PFOS,
altro appartenente al gruppo dei PFAS, sono stati indicati come “possibilmente” cancerogeni (Gruppo 2B).
(Clicca qui), come si è arrivati finalmente a dichiarare cancerogeno il PFOA della Solvay. Finalmente! Ma
dieci anni dopo ad Alessandria uccide indistruttibile in terra cielo aria.

Speciale Pfas 15. Ineliminabili i PFAS dalle acque potabili.

Come ben dimostrano le cosiddette “barriere idrauliche” della Solvay di Spinetta Marengo, i Pfas sono
irrefrenabili e poi ineliminabili. I sistemi di trattamento per eliminare i Pfas si rivelano sempre costosi e
fallimentari. Esempio il sistema di filtrazione granulare di carbone attivo (GAC) che lo Stato di New York
aveva richiesto alle parti responsabili di installare sul sistema di trattamento dell’acqua del villaggio di
Hoosick Falls (il PFOA era stato rilevato nel 2016 fornitura pubblica di acqua potabile e nei pozzi privati di
acqua potabile, al di sopra del livello di 70 parti per trilione ppt). Fallito il sistema, il governatore Kathy
Hochul ha annunciato la costruzione di una nuova linea di trasmissione dell’acqua permanente per fornire
una nuova fonte di approvvigionamento idrico per il villaggio. Le aziende sono tenute a pagare 30 milioni di
dollari di costi passati sostenuti dai contribuenti statali.










Speciale Pfas 16. Un mondo senza PFAS è possibile.

Si possono fare pentole antiaderenti, giacconi repellenti all’acqua senza PFAS e quant’altro. Produrre senza
PFAS si può. E conviene anche. Però non alle multinazionali.
La Pure Print produce contenitori per prodotti alimentari senza PFAS in Danimarca (che è PFAS free dal
2020): usano prodotti compostabili, come carta o cartone. Hanno cambiato produzione sin dal 2007, per
rimanere sul mercato, per realizzare un prodotto sostenibile: il prodotto ha costi maggiori, ma i loro
prodotti hanno una resa molto promettente.
La Coop danese, la catena di supermercati, ha fatto sparire i prodotti coi PFAS dai loro scaffali, senza
aspettare che si muovesse la politica.
In Italia si stanno sperimentando pompe di calore e impianti di refrigerazione senza PFAS: i gas refrigeranti
non sono pensati per essere emessi nell’atmosfera – racconta il professor Del Colle che nei suoi
esperimenti sta usando gas naturali. È quello che sta facendo la Epta Group, una azienda che si occupa di
macchine per refrigerazione: anche loro non hanno aspettato la politica ma si sono mossi prima per un
principio di precauzione.
Alla Daykem a Prato si stanno sperimentando tessuti impermeabili senza PFAS: le performance che stanno
ottenendo sono anche superiori. Il responsabile dell’azienda è fiducioso, tra qualche anno potremmo
arrivare ad un mercato PFAS free.
In Germania c’è l’azienda Vaude, specializzata nel vestiario per gli sport di montagna: i loro prodotti devono
essere impermeabili. Dopo anni di ricerca, i tessuti di nuova generazione hanno la stessa idrorepellenza, ma
non contengono i PFAS, ma usano una tecnologia in poliuretano: “non è vero che nel tessile ai PFAS non c’è
alternativa, al giorno d’oggi non c’è motivo per continuare ad usarli, tante aziende li usano ancora perché è
economico ed è più semplice”.





Speciale Pfas 17. L’interesse PFAS delle lobby è anche bellico.




Ben oltre pentole antiaderenti e giacche goretex. Ben oltre settori sanitario, siderurgico e metallurgico,
packaging, automobilistico, elettronico e energia. La serrata attività di lobbying portata avanti a livello
globale da Solvay e dagli altri colossi del settore chimico si esprime in particolare nel settore militare. I
PFAS infatti, trovano largo impiego in molti settori industriali strategici, tra i quali spicca quello militare e
duale (dual use: civile e militare), che in tempi di guerra come questi ne garantiscono uno status di relativa
“immunità”, anche quando è di dominio pubblico che
la produzione di queste sostanze
cancerogene “forever chemicals” va a discapito della salute pubblica e dell’ambiente.
Gli usi critici dei PFAS sono identificati in quasi tutte le principali categorie di sistemi d’arma, compresi ma
non limitati a velivoli ad ala fissa (addestratori, caccia, bombardieri, trasporti, rifornitori di carburante,
supporto a terra, senza equipaggio e apparecchiature di supporto associate); velivoli ad ala rotante (da
attacco, trasporto, trasporto pesante, ricerca e salvataggio e attrezzature di supporto associate); navi di
superficie (combattimento, cacciatorpediniere, portaerei, cutter, mezzi da sbarco); sottomarini; missili
(aria-aria, terra-aria, aria-terra, balistica); sistemi di siluri; sistemi radar; e carri armati, veicoli d’assalto e di
trasporto per la fanteria.
Il Pentagono è il principale alleato delle lobby industriali: “I PFAS sono fondamentali per raggiungere e
centrare gli obiettivi del Dipartimento della Difesa e per molti settori nazionali […]. Collettivamente, azioni
normative internazionali e statunitensi per gestire gli impatti ambientali dei PFAS, identificarli ed eliminarli
dal mercato, e i successivi cambiamenti del mercato, pongono rischi per le operazioni del
DoD Departement of Defence e la catena di fornitura della base industriale della difesa. Inoltre, gli impatti
sulla catena di approvvigionamento globale dei PFAS presenteranno rischi per il programma di vendite
militari estere del Dipartimento della Difesa e per l’Interoperabilità del North Atlantic Treaty
Organization (NATO)”.
Dunque l’industria bellica americana afferma il ruolo di alcuni di questi composti PFAS insostituibile, o
difficilmente sostituibile, per cui “occorrerà un decennio o più per trovare validi sostituti”. D’altronde
gli USA sono il Paese che spende più di ogni altro in armamenti (nel 2022 la spesa militare degli USA è stata
di 877 miliardi di dollari, il 39% della spesa militare globale) e che vanta nel proprio territorio 51 tra le 100
maggiori industrie belliche del mondo (nel 2022 il fatturato delle 100 maggiori industrie belliche del mondo
è stato di 597 miliardi di dollari). Di conseguenza, per fronteggiare le restrizioni normative sui PFAS, le
lobby industriali degli States si sono riunite, nel 2022, sotto la sigla “Sustainable PFAS Action” (SPAN).
Anche in Europa l’attività di lobbying attorno ai fluoro-composti si fa sempre più martellante, specie
dopo l’iniziativa – presa da Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia, nel febbraio del 2023 – per
introdurre una restrizione universale sui PFAS a livello dell’Unione Europea, per vietarne la produzione, la
vendita e l’utilizzo. Infatti, la European Chemical Industry Council (CEFIC, la lobby delle industrie chimiche
europee), ha istituito “FluoroProducts &PFAS for Europe ” (FPPFE), riunendo alcuni dei maggiori
produttori e consumatori di PFAS, tra cui figurano AGC, ARKEMA, BASF, Bayer, Chemours, Daikin, DU
Pont, ExxonMobil, GFL, Merck, Gore, e naturalmente Solvay Syensqo.
Per avere una dimensione del business, si consideri che l’industria PFAS può contare su 72 singoli lobbisti
attivi a Bruxelles, con una spesa annuale compresa tra 18,6 e 21,1 milioni di euro e 59 pass al Parlamento
Europeo.


Speciale Pfas 18. Pfas del Tav nelle contaminazioni in Valsusa.

La società TELT (incaricata di realizzare il progetto Tav Tunnel Euroalpin Lyon Turin), in relazione ai lavori
nel cantiere di Chiomonte per il tunnel Maddalena, e per quanto riguarda gli PFAS presenti nell’acqua
potabile
in Valsusa denunciati dall’indagine di Greenpeace (contaminazione da PFAS nell’area
metropolitana di Torino, con oltre 70 comuni coinvolti, inclusi 19 comuni della Valle di Susa), respinge
l’ipotesi che l’inquinamento da PFAS nell’area fosse collegato all’utilizzo di prodotti oleorepellenti o
tensioattivi impiegati nello scavo con la “talpa” TBM.
A detta di TELT, “a Chiomonte non è stato richiesto schiume né un uso massiccio di cementi a presa rapida”,
“è priva di fondamento l’affermazione che vorrebbe correlare l’utilizzo del Robot AXEL a specifiche
condizioni di inquinamento da PFAS dell’aria in galleria”. Smentite che non convincono, tant’è che, per
l’avvenire, TELT ammette che “Le lavorazioni previste per lo scavo del tunnel di base in Italia faranno
probabilmente uso di additivi durante la fase di sotto-attraversamento del Cenischia. In fase di
progettazione esecutiva si valuterà se si rende necessario l’impiego di additivi contenenti PFAS e in quali
quantità”, e già mette le mani avanti negando che “i PFAS possano essere trasportati dall’aria convogliata
dagli impianti di ventilazione”.

Speciale Pfas 19. La Regione ignora la contaminazione Pfas in Toscana.

Dopo il Veneto, la Lombardia e il Piemonte, Greenpeace ha rivolto le indagini alla Toscana, per analizzare la
concentrazione dei Pfas nei corsi d’acqua vicini agli scarichi dei distretti dell’industria conciaria, tessile,
florovivaistica e della carta, e per verificare se la presenza di questi distretti contribuisca alla
contaminazione ambientale. I campionamenti sono stati effettuati per lo più nei fiumi sia a monte che a
valle di questi noti impianti di depurazione industriale: il consorzio Torrente Pescia e Aquapur (distretto
carta); i depuratori del distretto conciario (depuratore Aquarno) e del cuoio (depuratore Cuoio-Depur, che
scarica nel Rio Malucco); i fiumi Ombrone, Bisenzio e Fosso Calicino (distretto tessile); il torrente Brana
(distretto florovivaistico).
Le concentrazioni più elevate sono state rilevate nel Rio Malucco, nel Fosso Calicino, nel fiume Ombrone e
nel Rio Frizzone a Porcari a valle del depuratore Aquapur. Nel fiume Ombrone la concentrazione a valle del
distretto tessile è risultata circa 20 volte superiore rispetto a monte, mentre nel Rio Frizzone a valle del
depuratore la presenza di PFAS era di circa 9 volte rispetto a monte.
Le contaminazioni più preoccupanti sono a valle di uno dei depuratori del distretto tessile a Prato, quello
di Calice (4.800 nanogrammi/litro), seguito dal canale Usciana a valle del depuratore Aquarno che riceve
gli scarichi del distretto conciario (4.500 nanogrammi/litro) e nel Rio Frizzone a valle del depuratore
Aquapur (3.900 nanogrammi/litro) a Porcari, nel distretto cartario lucchese” .
Sono casi ben documentati da almeno dieci anni, ma la Regione Toscana non ha mai affrontato
seriamente il problema, né adottato un provvedimento sugli scarichi industriali.
Ben prima, a Prato un gruppo di aziende tessili ha eliminato Pfas dal 2016.






Speciale Pfas 20. Pfas in tribunale a Lione.

La città metropolitana di Lione ha depositato un atto di citazione sommaria presso il tribunale di
Lione contro i gruppi Arkema France e Daikin Chemical France, a capo dei poli industriali con sede nella
“valle della chimica”, a sud della capitale della Gallia. Secondo Le Monde, infatti, la comunità ha depositato
una richiesta per una perizia sull’inquinamento da Pfas delle acque circostanti. Questa procedura civile mira
a stabilire la realtà, la durata, l’entità e la fonte di questi “eterni inquinanti”.