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Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza
Anniversari
Perché Milani ancora ci parla
DI ROSY BINDI
Il 27 maggio 1923 nasceva Lorenzo Milani. Non don Lorenzo Milani, non il
maestro formatore di cittadine e cittadini sovrane, non il prete capace di
anticipare il Concilio Vaticano II. Nasceva il secondogenito di una delle famiglie
più benestanti della Firenze degli anni Trenta, un rampollo privilegiato che
guardava il mondo dall’alto al basso. Mentre la maggior parte dei suoi
coetanei, figli di mezzadri e di operai, lavora già in campagna e in fabbrica lui
va in montagna a Cortina D’Ampezzo, al mare nella tenuta di Castiglioncello,
impara il tedesco, l’inglese e il francese, scrive poesie, decide di non fare
l’università, come voleva la prestigiosa tradizione familiare, per studiare pittura
a Brera tra il 1941 e il 1943.
Solo partendo dai primi vent’anni di questa vita, affascinante, cosmopolita,
irrequieta, possiamo comprendere la radicalità delle scelte successive. Dall’
“indigestione di Gesù Cristo” nell’estate del 1943 all’entrata in seminario; dai
primi anni di sacerdozio a Calenzano con la scuola popolare nella parrocchia
operaia di San Donato all’esilio, a 31 anni, di Barbiana dove crea una scuola a
tempo pieno, senza ricreazione e senza vacanze, modello di solidarietà.
Un’esistenza breve e intensa, muore a soli 44 anni il 26 giugno del 1967 pochi
giorni dopo la stampa di Lettere a una professoressa,
che trova senso e salvezza nel servizio ai poveri, agli ultimi, ai senza voce.
“Sono stati i miei confessori i miei direttori spirituali i miei maestri il mio Dio
(l’altro Dio mi perdoni. Del resto non li ho cercati io)”.
Milani comprende presto che per servire i poveri deve rompere il muro di
ignoranza che li emargina dalla vita civile e religiosa.
Insegnare a comprendere la parola, sia quella sacra della Bibbia che quella
laica dei contratti di lavoro, diventa il suo “ottavo sacramento”. Fare scuola
significa non solo riscattare la dignità dei poveri, renderli consapevoli dei loro
diritti e dei loro doveri di cittadini, capaci di tenere testa al potere: “solo la
lingua fa eguali.
Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui”. È soprattutto un
modo, come ha ricordato papa Francesco nel suo pellegrinaggio a Barbiana nel
2017, di “risvegliare l’umano per aprirlo al divino”. Il Comitato nazionale che
presiedo vuole fare di questo centenario, che si aprirà a Barbiana sabato 27
alla presenza dello Capo dello Stato e del Presidente della Conferenza
episcopale italiana, un’opportunità per tornare ad ascoltare la voce di don
Milani. Il suo messaggio è chiaro, dirompente, non si esaurisce nelle frasi più
famose come “L’obbedienza non è unavirtù” o “Non bocciare!”. Il programma
di eventi milaniani predisposto dal Comitato mette al centro i temi cari al priore
di Barbiana: la chiesa, la dignità del lavoro, la scuola, la Costituzione con
l’ambizione di far dialogare don Lorenzo con il nostro tempo.
Sono convinta che la parola profetica di questo prete possa ancora scomodare i
credenti, la comunità civile e i politici. Ai suoi ragazzi insegnava ad amare la
politica e la Costituzione, stella polare del suo magistero educante. Cos’altro
vuol dire quel motto americano I care usato in contrapposizione al “me ne
frego” fascista se non invito alla partecipazione ? “Conoscere i ragazzi dei
poveri e amare la politica è tutt’uno”. Quel “mi importa” è il cuore della buona
politica che affronta i problemi, cambia le leggi, forma cittadini consapevoli. Le
argomentazioni con cui difende il diritto di sciopero, denuncia il lavoro minorile
e il cottimo sono attualissime. Così come le sue coraggiose parole sulla guerra,
la non violenza e la pace con la difesa dell’obiezione di coscienza al servizio
militare, che gli costarono un processo per apologia di reato, ci interrogano
sulla nostra fedeltà all’art. 11 della Costituzione.
Ma è sul valore della scuola, la sua funzione pubblica e il ruolo degli insegnanti
che la lezione del priore di Barbiana continua a sfidarci con la stessa forza
dirompente che ebbe Lettera a una professoressa.
Con i suoi ragazzi scardina il conformismo educativo, impone una didattica
impegnativa, un approccio multidisciplinare con la lettura dei giornali e le
conferenze degli esperti sui problemi del paese e del mondo. È una comunità
accogliente che motiva tutti e non scarta nessuno: “la scuola che seleziona
distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo d’espressione. Ai ricchi toglie la
conoscenza delle cose”.
Sono passati 56 anni e il problema della scuola italiana è ancora quello dei
“ragazzi che perde”, visti i tassi di abbandono scolastico tra i più alti d’Europa.
Eppure non credo sia un sogno da visionari lavorare per una scuola inclusiva,
che non fa “parti uguali tra diseguali” ma anzi offre di più a chi ha meno
capacità, perché non c’è merito nel talento, dono del caso e di condizioni sociali
spesso ereditate. È sufficiente ricordare le parole di don Milani: “È più onesto
dire che tutti i ragazzi nascono eguali e se in seguito non lo sono più, è colpa
nostra e dobbiamo rimediare”.
L’autrice è Presidente comitato nazionale Centenario nascita don Lorenzo Milani
Perché Milani ancora ci parla
DI ROSY BINDI
Il 27 maggio 1923 nasceva Lorenzo Milani. Non don Lorenzo Milani, non il
maestro formatore di cittadine e cittadini sovrane, non il prete capace di
anticipare il Concilio Vaticano II. Nasceva il secondogenito di una delle famiglie
più benestanti della Firenze degli anni Trenta, un rampollo privilegiato che
guardava il mondo dall’alto al basso. Mentre la maggior parte dei suoi
coetanei, figli di mezzadri e di operai, lavora già in campagna e in fabbrica lui
va in montagna a Cortina D’Ampezzo, al mare nella tenuta di Castiglioncello,
impara il tedesco, l’inglese e il francese, scrive poesie, decide di non fare
l’università, come voleva la prestigiosa tradizione familiare, per studiare pittura
a Brera tra il 1941 e il 1943.
Solo partendo dai primi vent’anni di questa vita, affascinante, cosmopolita,
irrequieta, possiamo comprendere la radicalità delle scelte successive. Dall’
“indigestione di Gesù Cristo” nell’estate del 1943 all’entrata in seminario; dai
primi anni di sacerdozio a Calenzano con la scuola popolare nella parrocchia
operaia di San Donato all’esilio, a 31 anni, di Barbiana dove crea una scuola a
tempo pieno, senza ricreazione e senza vacanze, modello di solidarietà.
Un’esistenza breve e intensa, muore a soli 44 anni il 26 giugno del 1967 pochi
giorni dopo la stampa di Lettere a una professoressa,
che trova senso e salvezza nel servizio ai poveri, agli ultimi, ai senza voce.
“Sono stati i miei confessori i miei direttori spirituali i miei maestri il mio Dio
(l’altro Dio mi perdoni. Del resto non li ho cercati io)”.
Milani comprende presto che per servire i poveri deve rompere il muro di
ignoranza che li emargina dalla vita civile e religiosa.
Insegnare a comprendere la parola, sia quella sacra della Bibbia che quella
laica dei contratti di lavoro, diventa il suo “ottavo sacramento”. Fare scuola
significa non solo riscattare la dignità dei poveri, renderli consapevoli dei loro
diritti e dei loro doveri di cittadini, capaci di tenere testa al potere: “solo la
lingua fa eguali.
Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui”. È soprattutto un
modo, come ha ricordato papa Francesco nel suo pellegrinaggio a Barbiana nel
2017, di “risvegliare l’umano per aprirlo al divino”. Il Comitato nazionale che
presiedo vuole fare di questo centenario, che si aprirà a Barbiana sabato 27
alla presenza dello Capo dello Stato e del Presidente della Conferenza
episcopale italiana, un’opportunità per tornare ad ascoltare la voce di don
Milani. Il suo messaggio è chiaro, dirompente, non si esaurisce nelle frasi più
famose come “L’obbedienza non è unavirtù” o “Non bocciare!”. Il programma
di eventi milaniani predisposto dal Comitato mette al centro i temi cari al priore
di Barbiana: la chiesa, la dignità del lavoro, la scuola, la Costituzione con
l’ambizione di far dialogare don Lorenzo con il nostro tempo.
Sono convinta che la parola profetica di questo prete possa ancora scomodare i
credenti, la comunità civile e i politici. Ai suoi ragazzi insegnava ad amare la
politica e la Costituzione, stella polare del suo magistero educante. Cos’altro
vuol dire quel motto americano I care usato in contrapposizione al “me ne
frego” fascista se non invito alla partecipazione ? “Conoscere i ragazzi dei
poveri e amare la politica è tutt’uno”. Quel “mi importa” è il cuore della buona
politica che affronta i problemi, cambia le leggi, forma cittadini consapevoli. Le
argomentazioni con cui difende il diritto di sciopero, denuncia il lavoro minorile
e il cottimo sono attualissime. Così come le sue coraggiose parole sulla guerra,
la non violenza e la pace con la difesa dell’obiezione di coscienza al servizio
militare, che gli costarono un processo per apologia di reato, ci interrogano
sulla nostra fedeltà all’art. 11 della Costituzione.
Ma è sul valore della scuola, la sua funzione pubblica e il ruolo degli insegnanti
che la lezione del priore di Barbiana continua a sfidarci con la stessa forza
dirompente che ebbe Lettera a una professoressa.
Con i suoi ragazzi scardina il conformismo educativo, impone una didattica
impegnativa, un approccio multidisciplinare con la lettura dei giornali e le
conferenze degli esperti sui problemi del paese e del mondo. È una comunità
accogliente che motiva tutti e non scarta nessuno: “la scuola che seleziona
distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo d’espressione. Ai ricchi toglie la
conoscenza delle cose”.
Sono passati 56 anni e il problema della scuola italiana è ancora quello dei
“ragazzi che perde”, visti i tassi di abbandono scolastico tra i più alti d’Europa.
Eppure non credo sia un sogno da visionari lavorare per una scuola inclusiva,
che non fa “parti uguali tra diseguali” ma anzi offre di più a chi ha meno
capacità, perché non c’è merito nel talento, dono del caso e di condizioni sociali
spesso ereditate. È sufficiente ricordare le parole di don Milani: “È più onesto
dire che tutti i ragazzi nascono eguali e se in seguito non lo sono più, è colpa
nostra e dobbiamo rimediare”.
L’autrice è Presidente comitato nazionale Centenario nascita don Lorenzo Milani