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La Riforma Basaglia ha chiuso i manicomi ma ci sono ancora strutture manicomiali L’11 marzo
2024 è intercorso il centenario della nascita di Franco Basaglia. Partigiano, socialista, ispiratore di
una delle più ammirate riforme psichiatriche del pianeta, in Italia gli è stato recentemente
dedicato un francobollo. Franco Basaglia avrebbe voluto rivoluzionare le logiche istituzionali,
chiudere in modo definitivo i manicomi. “Il manicomio è un criterio, non è un luogo” scriveva
Giorgio Antonucci, psichiatra, anarchico e coevo di Franco Basaglia, come lui impegnato nel
processo di deistituzionalizzazione degli anni ‘70. Con le sue parole, Giorgio Antonucci intende
affermare che la dove esiste coercizione, segregazione, isolamento ed emarginazione, la è
manicomio. Approvata nel 1978, la legge Basaglia non si può dire attuata. Come magistralmente
documenta Nicola Valentino ne “Le istituzioni postmanicomiali”, edito da Sensibili alle Foglie, le
logiche manicomiali sopravvivono, potenti e quasi intonse, nelle istituzioni psichiatriche del dopo-
Basaglia. Il sistema manicomiale che essa avrebbe voluto abrogare, rimane infatti ancora
funzionante e operativo. Analizziamo in dettaglio i principali dispositivi che sopravvivono ai nostri
giorni e permettono di dire che in Italia la logica manicomiale non è superata, le logiche
manicomiali sopravvivono, potenti e quasi intonse, nelle istituzioni psichiatriche del dopo-Basaglia.
La diagnosi psichiatrica. Franco Basaglia si era molto battuto contro i bizantinismi delle diagnosi
psichiatriche. Egli sosteneva che al centro dell’attenzione va posta la persona, non la diagnosi.
Purtroppo, la diagnosi psichiatrica è ancora al centro di tutti i saperi e le pratiche psichiatriche. Le
“malattie mentali” e le loro “diagnosi”, sono stabiliti per tutto il pianeta dal DSM, il Manuale
Diagnostico e Statistico dell’APA, l’Associazione Psichiatrica Americana. Ad ogni nuova edizione del
DSM, le “malattie mentali” si moltiplicano e i potenziali “folli” aumentano esponenzialmente.
Secondo alcune statistiche, con l’ultima versione del DSM, il DSM-6, la totalità della popolazione
mondiale risulta diagnosticabile di una malattia mentale almeno una volta nell’arco della propria
vita. Per i poteri della psichiatria e per le ditte farmaceutiche, si tratta di un mercato potenziale
vastissimo, ghiotto. Diverse associazioni di utenti Americane come “Mind Freedom International”
e “The Icarus Project” reputano le diagnosi psichiatriche stigmatizzanti, infamanti e totalmente
inattendibili, arbitrarie. Una volta che si riceve una diagnosi psichiatrica, si diviene cittadini con
libertà e diritti fortemente ridotti. In virtù della propria presunta pericolosità; si entra in un circuito
cronicizzante dal quale per molte persone è estremamente difficile, se non impossibile, uscire. Il
Trattamento Sanitario Obbligatorio, o TSO, istituito con la legge 180/78 è uno dei dispositivi chiave
di tutto l’edificio manicomiale del dopo-Basaglia. Grazie al TSO, previa diagnosi firmata da due
psichiatri, è possibile recludere in un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) chiunque possa
essere dichiarato “pericoloso per sé stesso o per gli altri, necessitante urgenti cure e qualora risulti
impossibile altro trattamento”. Questo dispositivo di ricovero coatto è uno straordinario
strumento di biopotere nelle mani dello psichiatra che ha in carico il paziente. A questo egli ricorre
ogni qualvolta il paziente si ribella al trattamento farmacologico deciso per lui. Come tutte le
sostanze psicoattive, gli psicofarmaci causano dipendenza. A sua volta, il dispositivo del TSO di
fatto impedisce a chiunque sia in cura da uno psichiatra liberarsi dal giogo farmaceutico, una volta
che gli è aperta a carico una cartella clinica e gli si sono iniziati a somministrare gli psicofarmaci. Il
TSO è un atto violento, a cui concorrono le forze dell’ordine e nel corso del quale si sono segnalati
numerosi morti, come avvenuto per il torinese Luigi Soldi. Contro l’istituto del TSO e la
somministrazione forzata di farmaci si sono a lungo battute le associazioni di utenti, sia in Italia sia
all’estero. Una volta entrato in cura psichiatrica, il paziente riceve quale trattamento principale
una “terapia” di farmaci attivi sul sistema nervoso centrale: gli psicofarmaci. La maggior parte
delle pubblicazioni scientifiche, forse perché finanziate dalle ditte farmaceutiche, presenta gli
psicofarmaci come strumenti efficaci e irrinunciabili nel trattare la “malattia mentale”. Una
minoranza significativa di autori, li reputa, al contrario, nocivi e invalidanti. Questa comunità ha
recentemente creato lo “International Institute for The Psychiatric Drug Withdrawall” (Istituto
Internazionale per la Dimissione dagli Psicofarmaci). Come tutte le sostanze psicoattive, gli
psicofarmaci causano dipendenza. La somministrazione intramuscolo del farmaco (trattamento
Depot) è così considerata da molti psichiatri un “guinzaglio” che tiene legato il paziente agli
ambulatori. Nel suo famoso testo “Medicine letali e crimine organizzato. Come le grandi ditte
farmaceutiche hanno corrotto il sistema sanitario”, Peter Gotzsche disvela molti meccanismi
fedifraghi e truffaldini con cui le grandi ditte farmaceutiche riescono ad ingannare medici e
pazienti sull’efficacia degli psicofarmaci. Il mercato degli psicofarmaci è enorme:nell’ordine di
grandezza di 200 miliardi
dollari all’anno, pari al numero di granelli di sabbia contenibili in una grossa aula scolastica. È
somma più che sufficiente a finanziare stuoli di ricercatori prezzolati e di agguerritissimi
informatori farmaceutici. La Sezione Psichiatrica di Diagnosi e Cura, o SPDC, è un reparto
ospedaliero, chiuso da porte blindate. e protetto da vetri antisfondamento In esso è attuato il TSO.
Negli SPDC i pazienti sono frequentemente legati ai letti con le fascette. L’SPDC è l’unico luogo
dove la legge prevede possano essere somministrati a forza gli psicofarmaci. Si tratta di un reparto
piccolo, con non più 20 posti letto. In linea teorica vi si può essere rinchiusi non più di 7 giorni,
anche se in alcuni casi i degenti vi possono rimanere reclusi per molti mesi. Negli SPDC è imposta e
calibrata la “terapia” a base di psicofarmaci, per cui è assai frequente rimanervi rinchiusi per ben
più del massimo previsto dalla legge. In Italia sono effettuati circa 7.000 TSO all’anno. Il dato è
presumibilmente sottostimato, in quanto molti pazienti preferiscono sottoporsi a Trattamenti
Sanitari Volontari (TSV) piuttosto che veder peggiorare la propria cartella clinica con un
trattamento disciplinarmente più grave, infamante e traumatico quale il TSO. Le cliniche
psichiatriche sono grandi cliniche private, per lo più ubicate in aree remote e difficili da
raggiungere. In esse vengono spesso ricoverati dopo il TSO i pazienti psichiatrici particolarmente
resistenti, quelli che possono presentare problematicità nel trattamento ambulatoriale. Le cliniche
private sono strutture chiuse che assomigliano molto da vicino ai vecchi manicomi. Sono stati
segnalati casi di pazienti psichiatrici reclusi nelle cliniche private per molti anni. Una volta dimessi
dalla clinica psichiatrica, si è di solito avviati a Strutture Psichiatriche Residenziali ad Alta e Media
Intensità. Le Strutture Psichiatriche Residenziali ad Alta e Media Intensità sono strutture
psichiatriche chiuse, piccole, dove sono ospitati meno di 20 degenti. In esse denaro e sigarette
sono gestiti dagli operatori della “salute mentale”. Anche l’uso del cellulare è amministrato dagli
“operatori”. L’uscita dalla struttura è permessa solo quando consentito, e per taluni l’uscita dalla
struttura è permessa solo se accompagnati dagli addetti. Le visite possono essere ricevute, ma non
più di una volta a settimana. Come per le cliniche private, si tratta di strutture dove il trattamento
“terapeutico” consiste per lo più in reclusione, segregazione, isolamento e “contenimento
chimico”. Queste strutture sono veri e propri manicomi, anche se molto piccoli. Esse sono
in contiguità con le SPDC e le cliniche psichiatriche, a cui il degente può essere agevolmente
trasferito. È possibile che i pazienti psichiatrici rimangano reclusi nelle Strutture Psichiatriche
Residenziali ad Alta a Media Intensità per decenni. Quando un “folle” a causa della propria
“malattia mentale” commette un reato, è internato nelle Residenze per l’Esecuzione delle Misure
di Sicurezza (REMS). Queste sono le strutture, per lo più private e convenzionate con l’ente
pubblico, che hanno sostituito gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG). Sono strutture chiuse con
non più di 20 posti letto. Sono dotate di recinzioni, porte blindate, vetri antisfondamento e sistemi
di videosorveglianza i quali riprendono i pazienti quasi in ogni momento della loro vita. In queste
strutture si può rimanere reclusi non più di un periodo di tempo pari al massimo della pena
prevista per il reato commesso. Al termine di questo intervallo di tempo, il paziente psichiatrico è
avviato alle Strutture Psichiatriche Residenziali ad Alta, o Media, Intensità. In queste, grazie al
dispositivo del rinnovo della pericolosità sociale previsto dal codice Rocco, può rimanere recluso
anche tutta la propria esistenza, condannato a vita in una specie di “ergastolo bianco”.
Articolazione di Salute Mentali delle carceri. Si tratta di sezioni carcerarie, gestite
dall’Amministrazione Penitenziaria, dove sono internati i “rei folli”, ovvero i tanti detenuti che si
sono ammalati di una “malattia mentale” nel corso della detenzione in carcere. Assomigliano
molto da vicino ai vecchi OPG, di cui costituiscono idealmente la prosecuzione dopo la loro
chiusura ufficiale. L’associazione Antigone segnala molte violazioni dei diritti umani all’interno di
queste disumane sezioni psichiatriche. Il sistema psichiatrico italiano è un sistema chiuso o
semichiuso, che reclude circa 700 mila persone e che incide sulla spesa pubblica circa lo 0,35% del
PIL. Così come è strutturato oggi, più che guarire dal disagio psichico, il sistema psichiatrico è un
inestricabile dedalo che lo cronicizza. Lungi dall’aver risolto il problema dello stigma,
dell’emarginazione, della solitudine, del lavoro, del reddito e dell’internamento a vita del paziente
psichiatrico, questo sistema ha una bassa efficienza. Solo un terzo dei pazienti trattati guarisce.
Come osserva Robert Whitaker in “Indagine su una epidemia. Lo straordinario aumento delle
disabilità psichiatriche nell’epoca del boom degli psicofarmaci”, il sistema psichiatrico è divenuto
una fabbrica di invalidi capace di mandare in crisi il sistema dei conti pubblici. Questo sistema è
anche invivibile. In esso la prevalenza dei suicidi è elevata: 10 volte quello della popolazione
generale. Indice di un profondo malessere vissuto dai degenti all’interno del sistema manicomiale
post-Basaglia.
Luigi Gallini
2024 è intercorso il centenario della nascita di Franco Basaglia. Partigiano, socialista, ispiratore di
una delle più ammirate riforme psichiatriche del pianeta, in Italia gli è stato recentemente
dedicato un francobollo. Franco Basaglia avrebbe voluto rivoluzionare le logiche istituzionali,
chiudere in modo definitivo i manicomi. “Il manicomio è un criterio, non è un luogo” scriveva
Giorgio Antonucci, psichiatra, anarchico e coevo di Franco Basaglia, come lui impegnato nel
processo di deistituzionalizzazione degli anni ‘70. Con le sue parole, Giorgio Antonucci intende
affermare che la dove esiste coercizione, segregazione, isolamento ed emarginazione, la è
manicomio. Approvata nel 1978, la legge Basaglia non si può dire attuata. Come magistralmente
documenta Nicola Valentino ne “Le istituzioni postmanicomiali”, edito da Sensibili alle Foglie, le
logiche manicomiali sopravvivono, potenti e quasi intonse, nelle istituzioni psichiatriche del dopo-
Basaglia. Il sistema manicomiale che essa avrebbe voluto abrogare, rimane infatti ancora
funzionante e operativo. Analizziamo in dettaglio i principali dispositivi che sopravvivono ai nostri
giorni e permettono di dire che in Italia la logica manicomiale non è superata, le logiche
manicomiali sopravvivono, potenti e quasi intonse, nelle istituzioni psichiatriche del dopo-Basaglia.
La diagnosi psichiatrica. Franco Basaglia si era molto battuto contro i bizantinismi delle diagnosi
psichiatriche. Egli sosteneva che al centro dell’attenzione va posta la persona, non la diagnosi.
Purtroppo, la diagnosi psichiatrica è ancora al centro di tutti i saperi e le pratiche psichiatriche. Le
“malattie mentali” e le loro “diagnosi”, sono stabiliti per tutto il pianeta dal DSM, il Manuale
Diagnostico e Statistico dell’APA, l’Associazione Psichiatrica Americana. Ad ogni nuova edizione del
DSM, le “malattie mentali” si moltiplicano e i potenziali “folli” aumentano esponenzialmente.
Secondo alcune statistiche, con l’ultima versione del DSM, il DSM-6, la totalità della popolazione
mondiale risulta diagnosticabile di una malattia mentale almeno una volta nell’arco della propria
vita. Per i poteri della psichiatria e per le ditte farmaceutiche, si tratta di un mercato potenziale
vastissimo, ghiotto. Diverse associazioni di utenti Americane come “Mind Freedom International”
e “The Icarus Project” reputano le diagnosi psichiatriche stigmatizzanti, infamanti e totalmente
inattendibili, arbitrarie. Una volta che si riceve una diagnosi psichiatrica, si diviene cittadini con
libertà e diritti fortemente ridotti. In virtù della propria presunta pericolosità; si entra in un circuito
cronicizzante dal quale per molte persone è estremamente difficile, se non impossibile, uscire. Il
Trattamento Sanitario Obbligatorio, o TSO, istituito con la legge 180/78 è uno dei dispositivi chiave
di tutto l’edificio manicomiale del dopo-Basaglia. Grazie al TSO, previa diagnosi firmata da due
psichiatri, è possibile recludere in un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) chiunque possa
essere dichiarato “pericoloso per sé stesso o per gli altri, necessitante urgenti cure e qualora risulti
impossibile altro trattamento”. Questo dispositivo di ricovero coatto è uno straordinario
strumento di biopotere nelle mani dello psichiatra che ha in carico il paziente. A questo egli ricorre
ogni qualvolta il paziente si ribella al trattamento farmacologico deciso per lui. Come tutte le
sostanze psicoattive, gli psicofarmaci causano dipendenza. A sua volta, il dispositivo del TSO di
fatto impedisce a chiunque sia in cura da uno psichiatra liberarsi dal giogo farmaceutico, una volta
che gli è aperta a carico una cartella clinica e gli si sono iniziati a somministrare gli psicofarmaci. Il
TSO è un atto violento, a cui concorrono le forze dell’ordine e nel corso del quale si sono segnalati
numerosi morti, come avvenuto per il torinese Luigi Soldi. Contro l’istituto del TSO e la
somministrazione forzata di farmaci si sono a lungo battute le associazioni di utenti, sia in Italia sia
all’estero. Una volta entrato in cura psichiatrica, il paziente riceve quale trattamento principale
una “terapia” di farmaci attivi sul sistema nervoso centrale: gli psicofarmaci. La maggior parte
delle pubblicazioni scientifiche, forse perché finanziate dalle ditte farmaceutiche, presenta gli
psicofarmaci come strumenti efficaci e irrinunciabili nel trattare la “malattia mentale”. Una
minoranza significativa di autori, li reputa, al contrario, nocivi e invalidanti. Questa comunità ha
recentemente creato lo “International Institute for The Psychiatric Drug Withdrawall” (Istituto
Internazionale per la Dimissione dagli Psicofarmaci). Come tutte le sostanze psicoattive, gli
psicofarmaci causano dipendenza. La somministrazione intramuscolo del farmaco (trattamento
Depot) è così considerata da molti psichiatri un “guinzaglio” che tiene legato il paziente agli
ambulatori. Nel suo famoso testo “Medicine letali e crimine organizzato. Come le grandi ditte
farmaceutiche hanno corrotto il sistema sanitario”, Peter Gotzsche disvela molti meccanismi
fedifraghi e truffaldini con cui le grandi ditte farmaceutiche riescono ad ingannare medici e
pazienti sull’efficacia degli psicofarmaci. Il mercato degli psicofarmaci è enorme:nell’ordine di
grandezza di 200 miliardi
dollari all’anno, pari al numero di granelli di sabbia contenibili in una grossa aula scolastica. È
somma più che sufficiente a finanziare stuoli di ricercatori prezzolati e di agguerritissimi
informatori farmaceutici. La Sezione Psichiatrica di Diagnosi e Cura, o SPDC, è un reparto
ospedaliero, chiuso da porte blindate. e protetto da vetri antisfondamento In esso è attuato il TSO.
Negli SPDC i pazienti sono frequentemente legati ai letti con le fascette. L’SPDC è l’unico luogo
dove la legge prevede possano essere somministrati a forza gli psicofarmaci. Si tratta di un reparto
piccolo, con non più 20 posti letto. In linea teorica vi si può essere rinchiusi non più di 7 giorni,
anche se in alcuni casi i degenti vi possono rimanere reclusi per molti mesi. Negli SPDC è imposta e
calibrata la “terapia” a base di psicofarmaci, per cui è assai frequente rimanervi rinchiusi per ben
più del massimo previsto dalla legge. In Italia sono effettuati circa 7.000 TSO all’anno. Il dato è
presumibilmente sottostimato, in quanto molti pazienti preferiscono sottoporsi a Trattamenti
Sanitari Volontari (TSV) piuttosto che veder peggiorare la propria cartella clinica con un
trattamento disciplinarmente più grave, infamante e traumatico quale il TSO. Le cliniche
psichiatriche sono grandi cliniche private, per lo più ubicate in aree remote e difficili da
raggiungere. In esse vengono spesso ricoverati dopo il TSO i pazienti psichiatrici particolarmente
resistenti, quelli che possono presentare problematicità nel trattamento ambulatoriale. Le cliniche
private sono strutture chiuse che assomigliano molto da vicino ai vecchi manicomi. Sono stati
segnalati casi di pazienti psichiatrici reclusi nelle cliniche private per molti anni. Una volta dimessi
dalla clinica psichiatrica, si è di solito avviati a Strutture Psichiatriche Residenziali ad Alta e Media
Intensità. Le Strutture Psichiatriche Residenziali ad Alta e Media Intensità sono strutture
psichiatriche chiuse, piccole, dove sono ospitati meno di 20 degenti. In esse denaro e sigarette
sono gestiti dagli operatori della “salute mentale”. Anche l’uso del cellulare è amministrato dagli
“operatori”. L’uscita dalla struttura è permessa solo quando consentito, e per taluni l’uscita dalla
struttura è permessa solo se accompagnati dagli addetti. Le visite possono essere ricevute, ma non
più di una volta a settimana. Come per le cliniche private, si tratta di strutture dove il trattamento
“terapeutico” consiste per lo più in reclusione, segregazione, isolamento e “contenimento
chimico”. Queste strutture sono veri e propri manicomi, anche se molto piccoli. Esse sono
in contiguità con le SPDC e le cliniche psichiatriche, a cui il degente può essere agevolmente
trasferito. È possibile che i pazienti psichiatrici rimangano reclusi nelle Strutture Psichiatriche
Residenziali ad Alta a Media Intensità per decenni. Quando un “folle” a causa della propria
“malattia mentale” commette un reato, è internato nelle Residenze per l’Esecuzione delle Misure
di Sicurezza (REMS). Queste sono le strutture, per lo più private e convenzionate con l’ente
pubblico, che hanno sostituito gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG). Sono strutture chiuse con
non più di 20 posti letto. Sono dotate di recinzioni, porte blindate, vetri antisfondamento e sistemi
di videosorveglianza i quali riprendono i pazienti quasi in ogni momento della loro vita. In queste
strutture si può rimanere reclusi non più di un periodo di tempo pari al massimo della pena
prevista per il reato commesso. Al termine di questo intervallo di tempo, il paziente psichiatrico è
avviato alle Strutture Psichiatriche Residenziali ad Alta, o Media, Intensità. In queste, grazie al
dispositivo del rinnovo della pericolosità sociale previsto dal codice Rocco, può rimanere recluso
anche tutta la propria esistenza, condannato a vita in una specie di “ergastolo bianco”.
Articolazione di Salute Mentali delle carceri. Si tratta di sezioni carcerarie, gestite
dall’Amministrazione Penitenziaria, dove sono internati i “rei folli”, ovvero i tanti detenuti che si
sono ammalati di una “malattia mentale” nel corso della detenzione in carcere. Assomigliano
molto da vicino ai vecchi OPG, di cui costituiscono idealmente la prosecuzione dopo la loro
chiusura ufficiale. L’associazione Antigone segnala molte violazioni dei diritti umani all’interno di
queste disumane sezioni psichiatriche. Il sistema psichiatrico italiano è un sistema chiuso o
semichiuso, che reclude circa 700 mila persone e che incide sulla spesa pubblica circa lo 0,35% del
PIL. Così come è strutturato oggi, più che guarire dal disagio psichico, il sistema psichiatrico è un
inestricabile dedalo che lo cronicizza. Lungi dall’aver risolto il problema dello stigma,
dell’emarginazione, della solitudine, del lavoro, del reddito e dell’internamento a vita del paziente
psichiatrico, questo sistema ha una bassa efficienza. Solo un terzo dei pazienti trattati guarisce.
Come osserva Robert Whitaker in “Indagine su una epidemia. Lo straordinario aumento delle
disabilità psichiatriche nell’epoca del boom degli psicofarmaci”, il sistema psichiatrico è divenuto
una fabbrica di invalidi capace di mandare in crisi il sistema dei conti pubblici. Questo sistema è
anche invivibile. In esso la prevalenza dei suicidi è elevata: 10 volte quello della popolazione
generale. Indice di un profondo malessere vissuto dai degenti all’interno del sistema manicomiale
post-Basaglia.
Luigi Gallini