Notiziario AAdP num. 929 di venerdì 14 Aprile 2023

Notiziario AAdP num. 929 di venerdì 14 Aprile 2023, updated 4/15/23, 2:22 PM

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Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza

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Sommario
"Argentina: appoggio urgente a donne Mapuche
detenute", 11/04/2023, - Redaz. di "Convergencias
de las Culturas"
https://www.pressenza.com/it/2023/04/argentina-
appoggio-urgente-a-donne-mapuche-detenute/
“Si avvicina la seconda edizione di Eirenefest,
Festival del Libro per la Pace e la Nonviolenza",
11/04/2023, - Redaz. Italia di "Pressenza"
https://www.pressenza.com/it/2023/04/si-avvicina-
la-seconda-edizione-di-eirenefest-festival-del-libro-
per-la-pace-e-la-nonviolenza/
"C’era una volta in Italia… la sanità pubblica",
11/04/2023, - Redaz. del sito internet "Leggi la
notizia"
https://www.leggilanotizia.it/2023/04/11/cera-una-
volta-in-italia-la-sanita-pubblica/
"Diritto all’acqua e ruolo dei popoli indigeni: i grandi
assenti alla Conferenza Onu", 12/04/2023, - Cristina
Borio
https://altreconomia.it/diritto-allacqua-e-ruolo-dei-
popoli-indigeni-i-grandi-assenti-alla-conferenza-onu/
“Pacifismo: le tre proposte del Movimento europeo
di azione nonviolenta", 7/04/2023, - Redaz. del sito
internet Vita.it
https://www.vita.it/it/article/2023/04/07/pacifismo-
le-tre-proposte-del-movimento-europeo-di-azione-
nonviolenta/166365/
"Evasione fiscale, Meloni sembra puntare più su una
rivoluzione morale
che
sulla
tecnologia",
10/02/2023, - Mario Pomini
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/02/10/evasio
ne-fiscale-meloni-sembra-puntare-piu-su-una-
rivoluzione-morale-che-sulla-tecnologia/7039700/
"Migranti, le Ong chiedono di poter issare la
bandiera dell’Onu sulle loro navi", 21/03/2023 -
Michele Raviart
https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2023-
03/migranti-bandiera-onu-petizione-cecilia-strada-
resq.html


"Migranti, il pericoloso rilancio dei Centri per il
rimpatrio. Il Garante dei detenuti: «Inefficaci e
inumani: l’uso di psicofarmaci è inquietante»",
10/04/2023, - Franz Baraggino
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/04/10/migran
ti-il-pericoloso-rilancio-dei-centri-per-il-rimpatrio-il-
garante-dei-detenuti-inefficaci-e-inumani-luso-di-
psicofarmaci-e-inquietante/7123904/

“Se vuoi la pace, non vai a parlare ai tuoi amici, ma
ai tuoi nemici” – Desmond Tutu
“Il cordoglio di Rete Pace Disarmo per la
scomparsa di Vittorio Bellavite”, 12/04/2023, _
Coord. Campagne della Rete Italiana Pace e
Disarmo
https://retepacedisarmo.org/2023/il-cordoglio-di-
rete-pace-disarmo-per-la-scomparsa-di-vittorio-
bellavite/
“Intervista al presidente del Comit. «Generazioni
Future»: «Temi fondamentali, possiamo farcela»”,
13/04/2023, - Paolo Viana. Fonte: sito internet del
quotidiano “Avvenire”
“Pace e sanità beni comuni. Dovere di disarmo e
diritto alla salute. Al via la campagna per tre
referendum”, 13/04/2023, - Paolo Viana. Fonte:
sito internet del quotidiano “Avvenire”



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"Argentina: appoggio urgente a donne
Mapuche detenute", 11/04/2023, - Redaz. di
"Convergencias de las Culturas"
“2023, Argentina. Nel Paese del premiato film “1985”,
i diritti umani continuano a essere violati. Quattro
donne Mapuche sono imprigionate da più di sei mesi
insieme ai loro figli, accusate di un reato che la legge
non punisce con la reclusione. Sono vittime del
razzismo, dei settori che bramano i loro territori e di
uno Stato complice che, nello spirito dell’anno
elettorale, ha sospeso senza giustificazione il tavolo di
dialogo previsto per risolvere il conflitto.
Tra le tante espressioni di sostegno, Convergenza
delle Culture e Pressenza stanno promuovendo la
rivendicazione e la denuncia di questi eventi
all’estero, invitando le persone e le organizzazioni
solidali a scrivere alle ambasciate argentine e ai media
dei loro Paesi.
Rume mañun (grazie mille).
Il 4 ottobre 2022, nei pressi di Bariloche, in Argentina,
la comunità Mapuche Lafken Winkul Mapu è stata
violentemente sgomberata dal proprio territorio.
Un comando unificato di 250 truppe di varie forze di
sicurezza è avanzato via terra e via aria verso la
comunità di appena 30 persone, compresi i bambini.
Le loro case di legno sono state completamente
distrutte e 7 donne sono state arrestate e tenute in
isolamento, senza poter comunicare con le loro
famiglie o con i loro avvocati. Una di loro, che era
molto avanti con la gravidanza, ha finito per partorire
in ospedale, sotto custodia. Altre quattro sono state
condotte in una prigione a 1500 km di distanza,
ammanettate, incatenate e senza sapere dove le
stessero portando. La pressione di altre comunità e di
organizzazioni per i diritti umani ha costretto il
governo a riportarle a Bariloche.
Oggi, a distanza di 6 mesi, 4 di queste 7 donne restano
agli arresti domiciliari con i loro figli, tra cui 3 neonati
di 5, 6 e 9 mesi. Gli altri bambini hanno tra i 4 e i 9
anni, più una ragazza di 16. Tutte vivono stipate in uno
spazio concesso in solidarietà, ma con comfort
insufficienti, un solo spazio comune come stanza e
niente acqua calda.


Una delle donne detenute è la giovane machi Betiana
Coluan Nawel, la prima machi dopo più di 100 anni
nel territorio che oggi viene chiamato Argentina.
Nella cultura Mapuche la machi è la massima autorità
spirituale, guaritrice e protettrice di persone e
territori. La sua funzione è intimamente legata al
territorio in cui vive e dove crea il suo rewe, il suo
spazio cerimoniale.
Il rewe si trova nella comunità sfrattata, motivo per
cui l’azione dello Stato viola non solo la legislazione
vigente, ma anche il diritto consacrato del popolo
Mapuche di vivere e crescere nella propria cultura e
secondo la propria visione del mondo.
ALCUNI FATTI DA CONOSCERE

Il popolo Mapuche sta sviluppando un
processo molto vigoroso di affermazione e recupero
della propria identità e in questo processo la relazione
con il territorio è fondamentale. È una parte
essenziale della sua visione del mondo e del suo
modo di vivere. Non è una “risorsa immobiliare da
sfruttare”, come lo considera la cultura dominante,
ma l’ambiente essenziale per vivere e svilupparsi, un
valore che come popolo indigeno protegge e difende.

La Costituzione argentina riconosce ai
popoli indigeni il diritto al possesso e alla proprietà
delle terre che tradizionalmente occupano. Tuttavia,
questo diritto non viene rispettato e molte comunità
sono state espulse dai loro territori mentre lo Stato
stesso li converte in Parchi Nazionali o li vende a
privati e ad aziende dedite all’estrattivismo, al
disboscamento, alla monocoltura, allo sviluppo
immobiliare e al turismo. Si tratta di una pratica
naturalizzata, con i politici del momento che
concedono i beni comuni al miglior offerente. Si tratta
di una pratica che finisce per mostrare il volto razzista
della persecuzione contro i popoli indigeni. I mass
media tradizionali, al servizio di questi interessi, sono
responsabili della diffusione di informazioni false che
“giustificano”
la persecuzione e mettono
le
popolazioni contro le comunità.

Alcune comunità rivendicano i propri diritti
per via legale. Altre avviano processi diretti di
recupero,
insediandosi
nei
territori
che gli
appartengono e che vengono loro negati. È il caso
della Lof Lafken Winkul Mapu, insediata su un
territorio ceduto a uno di questi Parchi Nazionali.



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A differenza dei grandi proprietari terrieri,
la comunità di cui stiamo parlando rivendica una
superficie di appena 10 ettari.

Queste lamuen (sorelle) sono in carcere
per “usurpazione”, un reato che secondo la legge
argentina non è punibile con la prigione. Sono in
carcere perché sono Mapuche, perché sono vittime di
razzismo e perché rivendicano un territorio che altri –
senza alcun diritto – vogliono per i loro affari.

Lo Stato e la comunità hanno concordato
un Tavolo di Dialogo per risolvere il conflitto. Si sono
tenuti tre incontri e sono stati fatti alcuni progressi.
Ma il 24 febbraio lo Stato ha sospeso il quarto
incontro senza fornire spiegazioni e non ha proposto
una nuova data per l’incontro.
Di seguito
il
testo della
lettera da
inviare
all’ambasciatore argentino in Italia:
“Stimato Ambasciatore dell’Argentina in Italia Dr.
Roberto Manuel Carlés
Le chiedo gentilmente di inoltrare questa richiesta al
Presidente del Suo Paese, Alberto Fernández. La
ringrazio molto per il suo impegno.
Signor Presidente
Vorrei esprimere la mia profonda indignazione e
preoccupazione per la situazione delle 4 donne
Mapuche della Lof Lafken Winkul Mapu, che sono agli
arresti domiciliari da 6 mesi nella città di Bariloche,
insieme ai loro figli.
Poiché il vostro è un Paese noto in tutto il mondo per
la sua lotta per i diritti umani, sono particolarmente
scioccato/a da questi eventi
– La violenza e i mezzi sproporzionati dello sgombero
a cui è stata sottoposta la comunità;
– Il fatto che queste donne siano detenute per un
reato che la legge considera non perseguibile;
– Il sovraffollamento del luogo di detenzione con
undici minori, con la conseguente violazione dei diritti
dei bambini e degli adolescenti
– Che tra i detenuti ci sia anche la machi Betiana
Coluan Nawel, la massima autorità spirituale del suo
popolo;


- Che il loro rewe (spazio cerimoniale) non sia stato
rispettato e che oggi venga loro negato il diritto di
tornarvi, in violazione della loro cosmovisione e
cultura;
– che il Suo governo abbia sospeso il tavolo di dialogo
che si stava tenendo per superare il conflitto
– che tutto ciò stia avvenendo nonostante gli impegni
presi dal vostro Paese nei confronti dei popoli
indigeni, delle donne, dei bambini e dei diritti della
natura.
Per tutte queste ragioni e con il dovuto rispetto,
chiedo:
– L’immediata liberazione di Betiana Colhuan Nawel,
Romina Rosas, Luciana Jaramillo, Celeste Ardaiz
Huenumil e dei loro figli;
– L’immediata ripresa dei colloqui di dialogo sospesi
senza alcuna giustificazione dal Suo governo il 24
febbraio.
– Il ritorno della machi al suo rewe e il riconoscimento
del carattere sacro di questo spazio cerimoniale.
Tramite lei estendo questa richiesta al Segretario dei
Diritti Umani, al Segretario Nazionale per l’Infanzia,
l’Adolescenza e la Famiglia, ai Ministeri della Giustizia,
dell’Ambiente e dello Sviluppo Sostenibile, delle
Donne, del Genere e della Diversità, all’ente Parchi
Nazionali e all’INAI.
Mi auguro che al più presto possiate rispondere
positivamente a queste richieste, condivise con me da
molte altre persone attente a questa situazione.
Grazie mille per l’attenzione.
Cordiali saluti
Nome, cognome, città
E-mail


E-mail
dell’ambasciata
argentina
a
Roma:
eital@cancilleria.gob.ar

“Si avvicina la seconda edizione di Eirenefest,
Festival del Libro per la Pace e la Nonviolenza",
11/04/2023, - Redaz. Italia di "Pressenza"


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“EireneFest, il Festival del Libro per la Pace e la
Nonviolenza, si svolgerà il 26, 27 e 28 maggio 2023, in
diversi spazi del quartiere di San Lorenzo, a Roma.
Giunto quest’anno alla sua seconda edizione,
EireneFest rappresenta il primo festival del libro, in
Italia, interamente dedicato alla promozione della
cultura della pace e della nonviolenza e costituisce
un’opportunità preziosa, unica nel suo genere nel
nostro Paese, per associazioni, istituzioni culturali,
case editrici, per fare conoscere le proprie iniziative e
novità editoriali e per condividere un luogo di
scambio e di riflessione sulle tematiche della pace e
della nonviolenza, dei diritti umani, della non-
discriminazione, della cura del Pianeta.
EireneFest è un luogo aperto e plurale, in cui si
alternano presentazioni di libri e proiezioni di film e
documentari, dialoghi tra autori e autrici, conferenze
e laboratori per adulti e bambini, nel corso dei quali
approfondire le grandi questioni che fanno da filo
conduttore della rassegna, quest’anno organizzata
intorno a quattro assi tematici: riconciliazione
personale e sociale; libertà e diritti; conflitto e
conflitti; conoscenza e futura umanità.
Sostenuto, nella sua edizione 2023, con i fondi Otto
per Mille della Chiesa Valdese, EireneFest è realizzato
su base interamente volontaria e tutte le sue attività
sono a ingresso libero e gratuito. Sono sette gli spazi
che ospiteranno gli oltre settanta eventi della
rassegna di quest’anno: i Giardini del Verano, la
Biblioteca Tullio de Mauro, la Casa Umanista,
l’Associazione ENGIM,
l’Associazione AMKA,
la
Galleria delle Arti, e la Libreria Antigone.
In un’epoca di conflitti, c’è sempre più bisogno dei libri
per la pace e la nonviolenza che ci consiglino, che ci
guidino, che ci ispirino verso un mondo con al centro
l’essere umano, le sue idee, i suoi sentimenti, le sue
azioni.”
Tutte
le
info al sito ufficiale di EireneFest:
https://www.eirenefest.it
dove è possibile
iscriversi
gratuitamente e
partecipare.
Sui social media:


L’elenco
dei
media
partner
è
qui:
https://www.eirenefest.it/media-partner/
Facebook: https://www.fFacebook.com/EireneFest
Instagram: https://www.instagram.com/eirenefest

"C’era una volta in Italia… la sanità pubblica",
11/04/2023, - Redaz. del sito internet "Leggi la
notizia"
“C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando” è il
titolo di un docufilm che entra nei meandri della
sanità pubblica e ci fa capire i meccanismi che ne
stanno
decretando
lo
smantellamento.
L’appuntamento è per martedì 18 aprile, ore 21, nella
sala Bcc – Cinema Centrale di Imola (ingresso 5 euro).”
“Noi Imola – sottolinea Valter Galavotti a nome
dell’associazione – è diventata una voce importante
nel dibattito del nostro territorio su questi temi e
vogliamo dar voce ai cittadini in un momento davvero
difficile e decisivo per la sanità pubblica. Così
abbiamo deciso di proporre questo film che sta
riscuotendo un grandissimo successo e riesce
ovunque sia presentato a mobilitare operatori della
sanità, comitati di cittadini, associazioni, istituzioni
sanitarie e politiche, stimolando un dibattito quanto
mai urgente e necessario”.
Il film
Cariati, uno sperduto paesino della Calabria affacciato
sullo Jonio. La sanità pubblica è ridotta al lumicino da
decenni di tagli al bilancio e privatizzazioni. Con il
Piano di rientro è stato chiuso anche l’ultimo
ospedale della zona: uno dei 18 ospedali, quasi
sempre in zona disagiata, cancellati nel giro di una
notte in tutta la Calabria. Un manipolo di ribelli di ogni
età decide di protestare come nessuno ha mai osato
fare, occupando
l’ospedale con
l’obiettivo di
ottenerne la riapertura. Nel frattempo alcuni dei più
importanti intellettuali, medici, esperti e attivisti
italiani e internazionali si mobilitano e sostengono la
lotta di Cariati.
Questo docufilm di 102 minuti, “C’era una volta in
Italia – Giacarta sta arrivando “non a caso, ovunque
venga proiettato, anima sempre vivacissimi dibattiti e
riempie le sale cinematografiche. I due giovani autori


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(Federico Greco e Mirko Melchiorre) fanno assurgere
questo piccolo paese della Calabria a simbolo
universale della lotta per il mantenimento della sanità
pubblica e attraverso interviste a scienziati, medici,
economisti, artisti – tra gli altri Gino Strada, Roger
Waters, Jean Ziegler, Ken Loach, Michael Marmot,
Ivan Cavicchi, Warren Mosler…- denunciano la
sistematica demolizione del sistema sanitario in Italia
e nel mondo avvenuta negli ultimi anni e ci aiutano a
comprendere le vere responsabilità locali e globali
dell’attacco alla salute pubblica.
Finalmente, dopo una lotta durata più di due anni,
oggi s’intravedono i primi tangibili risultati di questa
grande mobilitazione civile. L’ospedale e il pronto
soccorso di Cariati stanno riaprendo e nel laboratorio
di cardiologia e nel reparto di radiologia sono arrivati
gli ecografi mentre sono stati avviati i
lavori
propedeutici all’installazione della tac.
Il perché della situazione odierna
Il film parte da Cariati ma non si ferma a Cariati. Come
mai dal servizio sanitario nazionale universale, equo
ed accessibile a tutti, introdotto con la riforma del
1978 del Ministro della salute Tina Anselmi, siamo
arrivati alle enormi difficoltà, ai disservizi ed alle
iniquità della sanità di oggi? Chi e come ha
trasformato la sanità italiana in un’industria che
produce altissimi profitti per alcuni ma trascura i
fragili, gli anziani, le persone con disabilità ed offre
servizi di qualità, efficienti e senza tempi d’attesa solo
per i ricchi? E ancora, se l’Italia avesse avuto ancora
aperti e funzionanti i 200 ospedali che sono stati
chiusi nel decennio 2010/2020, avremmo saputo
rispondere in modo più efficace alla pandemia?
Il docufilm “C’era una volta in Italia – Giacarta sta
arrivando” cerca di dare una risposta a questi
interrogativi non solo avvalendosi del prezioso
contributo di personaggi noti e importanti, ma anche
coinvolgendo altri importanti intellettuali, medici,
studiosi ed esperti di sanità pubblica italiani e
internazionali che approfondiscono le cause “prime”
di ciò che abbiamo vissuto negli ultimi anni.
L’associazione Noi Imola
“Noi Imola” è un’associazione no profit che da alcuni
anni si occupa dei problemi della sanità e, attraverso
varie iniziative, interventi sulla stampa locale, incontri

pubblici, partecipazione con propri rappresentanti ai
Comitati consultivi misti (Ccm), cerca di sensibilizzare
la cittadinanza ai problemi della sanità territoriale e
migliorare la qualità dei servizi.
“In un primo momento avevamo pensato di far
seguire al film un dibattito pubblico, poi, considerata
la durata del film, abbiamo ritenuto più opportuno
rinviare un confronto pubblico sull’attuale situazione
della sanità pubblica sia a livello nazionale che
territoriale ad un incontro più strutturato che stiamo
organizzando per il mese di maggio al centro sociale
“La Stalla “che vedrà la partecipazione di relatori
molto qualificati. In quella occasione sarà possibile
affrontare il tema in maniera più dettagliata nei suoi
vari aspetti (definanziamento, carenze di personale,
liste d’attesa, chiusure di piccoli ospedali e servizi di
pronto soccorso, privatizzazione e esternalizzazioni
incombenti, medici a gettone, ecc.) con particolare
riferimento alla nostra regione che, pur essendo tram
quelle
in cui
la popolazione ha le maggiori
opportunità di tutela della propria salute, certamente
non è rimasta immune da questi fenomeni”, conclude
Galavotti.
Scheda del film
“C’era una volta. Aspettando Giacarta”
Regia: Federico Greco e Mirko Melchiorre
Prodotto da Alessandro Pezza, Marco Tempera
Distribuzione: Fil Rouge Media
Colonna sonora originale di Pino, Flavio e Livia
Cangialosi
Narrato da Peppino Mazzotta con la canzone Money
per concessione di Roger Waters e Musica
Leggerissima eseguita da Colapesce e Dimartino.
Con le testimonianze di Roger Waters, Jean Ziegler,
Ken Loach, Gino Strada, Michael Marmot, Vittorio
Agnoletto, Adriano Cattaneo, Ivan Cavicchi, Nicoletta
Dentico, Santo Gioffrè, Gavino Maciocco, Warren
Mosler, Carlo Palermo, Maria Elisa Sartor, Randall
Wray e Michele Caligiuri, Cataldo Curia, Mimmo
Formaro, Ninì Formaro, Mimmo Massaro, Cataldo
Perri. Oltre a Gino Strada, Roger Waters e Ken Loach
che non hanno bisogno di presentazioni, alcune brevi
informazioni sugli altri protagonisti.


6

Jean Ziegler (Thun, 19 aprile 1934) è un sociologo
svizzero, autore di numerosi saggi sui temi della
povertà e sugli abusi e le storture dei sistemi finanziari
internazionali.
Michael Marmot è professore di epidemiologia e
sanità pubblica presso l’University College di Londra.
ha svolto imporranti ricerche sulle disuguaglianze
sanitarie i, lavorando per vari organismi internazionali
e governativi.
Vittorio Agnoletto, insegna presso la facoltà di
Scienze politiche dell’Università degli Studi di Milano
ed è uno dei volti noti del movimento no-global, il
movimento contro la globalizzazione liberista.
Adriano
Cattaneo,
epidemiologo
presso
il
programma di controllo delle infezioni respiratorie
acute
dell’OMS, con responsabilità di programmazione e
valutazione.
Ivan Cavicchi, insegna Sociologia delle organizzazioni
sanitarie e Filosofia della medicina all’università Tor
Vergata di Roma, ed è uno dei massimi esperti di
sanità pubblica in Italia E’ stato responsabile della
sanità della Cgil nazionale.
Maria Elisa Sartor, si occupa di economia dei sistemi
sanitari, è docente di questa disciplina a Milano e ha
prodotto una analisi approfondita e documentata dei
processi di privatizzazione della sanità
Nicoletta Dentico, è una giornalista esperta di
cooperazione internazionale e diritti umani.
Gavino Macciocco, docente di Igiene e sanità
pubblica presso l’Università di Firenze, è promotore e
coordinatore del sito web Saluteinternazionale.info e
direttore della rivista quadrimestrale Salute e
Sviluppo (dell’ong Medici con l’Africa, Cuamm).
Warren Bruce Mosler, è un importante economista
statunitense, considerato il padre ideatore della
formulazione più recente della Teoria della Moneta
Moderna di ispirazione post-keynesiana consulente di
vari governi.”



"Diritto all’acqua e ruolo dei popoli indigeni: i
grandi
assenti
alla
Conferenza Onu",
12/04/2023, - Cristina Borio
“Nelle
conclusioni del grande appuntamento
organizzato dalle Nazioni Unite a fine marzo hanno
trovato ampio spazio le questioni economiche e di
sfruttamento delle risorse idriche. I movimenti sociali
sono rimasti invece ai margini della discussione. Un
errore, come ci spiega il Relatore speciale per il diritto
all’acqua Pedro Arrojo-Agudo.”
“Il diritto umano all’acqua non ha trovato spazio nelle
conclusioni ufficiali della Conferenza della Nazioni
Unite sull’acqua di fine marzo 2023, il cui focus si è
concentrato invece su tematiche finanziarie e vie
tecnologiche relative alla gestione delle risorse
idriche. Una concezione che tratta l’acqua più come
una merce che come un diritto. Mentre i movimenti
sociali, che non hanno potuto partecipare alle
plenarie della Conferenza, riservate solo ai governi,
hanno però fatto sentire la propria voce per chiedere
uguaglianza di diritti nell’accesso alle risorse idriche
attraverso due documenti redatti negli eventi
collaterali.
La Conferenza come detto si è svolta a New York dal
22 al 24 marzo 2023 ed è stata definita dalle Nazioni
Unite “l’evento sull’acqua più importante di una
generazione” dal momento che è caduta a metà del
Decennio internazionale per l’azione “Acqua per lo
sviluppo sostenibile”, dichiarato dall’Assemblea
generale dell’Onu in occasione della Giornata
mondiale del 22 marzo 2018.
Altreconomia ha intervistato Pedro Arrojo-Agudo,
professore emerito di Analisi economica all’Università
di Saragozza, in Spagna, vincitore del Goldman
environmental prize nel 2003 e attuale Relatore
speciale dell’Onu per il diritto umano all’acqua,
proprio per fare un bilancio della tre giorni di New
York.
Professor Agudo si
ritiene soddisfatto delle
conclusioni della Conferenza?
PAA Il fatto stesso che si sia svolta è molto positivo:
dopo quasi mezzo secolo dalla Conferenza a Mar del



7

Plata, in Argentina, che ha riconosciuto per la prima
volta il diritto umano all’acqua, l’Onu è tornata a
parlare di questo tema. A maggior ragione alla luce
del periodo di crisi idrica globale che stiamo
affrontando, con ondate di siccità, fiumi prosciugati
ed estati sempre più calde. Tuttavia, nel Social forum
“Water
for
human
rights
and
sustainable
development” che si è svolto a Ginevra nel novembre
2022 e che abbiamo promosso come Consiglio per i
diritti umani delle Nazioni Unite, avevamo elaborato
due proposte che non sono state però tenute in
considerazione nella Conferenza di marzo. La prima
era quella di adottare un approccio improntato alla
protezione del diritto umano universale di accesso
all’acqua e ai servizi igienico-sanitari, la seconda
chiedeva di dare spazio nelle discussioni alla
partecipazione dei movimenti sociali.
Nelle prime bozze del programma della Conferenza di
New York non erano stati nemmeno previsti
interventi che trattassero dei diritti umani in relazione
all’acqua e l’apertura alla partecipazione sociale era
assente: temi che sono stati introdotti dopo il Social
forum, anche se
in posizione secondaria.
I
rappresentanti della società civile non hanno avuto
modo di intervenire nelle sessioni istituzionali e le
loro proposte, ad esempio in materia di gestione
comunitaria delle risorse idriche, non sono state
prese in considerazione nelle conclusioni finali delle
plenarie. Il diritto umano all’accesso sicuro all’acqua
non è stato citato nemmeno nell’intervento
conclusivo del Segretario generale della Conferenza,
Csaba Kőrösi. Trovo frustrante che certi temi vengano
ancora messi ai margini anche dalle Nazioni Unite.
Perché non c’è stata la partecipazione sociale che era
necessaria in un evento simile?
PAA Un grosso limite è che molti dei leader dei
movimenti sociali, tra cui anche i rappresentanti delle
popolazioni indigene, non hanno potuto partecipare
perché non era possibile intervenire da remoto. L’Onu
ha tutti i mezzi per renderlo possibile, perché allora
non l’ha fatto? Penso che non sia una questione
ideologica ma piuttosto burocratica: le Nazioni Unite
danno spazio soprattutto ai governi ma non alla
società civile e anche per chi era stato “accettato” agli
eventi collaterali non è stato così facile partecipare.


Non tutti infatti hanno la possibilità di prendere un
volo per New York. L’obiettivo principale di una
conferenza di questo tipo, però, deve essere quello di
incontrare le persone e sentire che cosa hanno da dire
ai governi, non il contrario. Un altro grande errore è
stato avere escluso le municipalità e gli operatori
pubblici: l’Onu li considera parte delle entità statali,
senza tener conto invece che sono i principali
responsabili e gestori, in modo autonomo, delle reti e
dei servizi idrici. Solo Aqua publica europea, in quanto
associazione degli operatori idrici pubblici europei, ha
partecipato ad alcuni eventi collaterali al di fuori delle
plenarie.
Qual è stata l’impronta delle discussioni che si sono
tenute nelle plenarie?
PAA La Conferenza non si è concentrata sul diritto
all’acqua e ai servizi igienico-sanitari perché il focus
era trovare delle idee innovative e tecnologiche per
risolvere dei problemi delle attività economiche, sia in
agricoltura sia nell’industria. Più in generale il
dibattito si è concentrato sull’uso dell’acqua per il
business,
sulle
soluzioni e
sulle alternative
tecnologiche; mentre il tema della governance è
rimasto ai margini. A mio avviso è stato un enorme
limite.
La Conferenza si poneva come obiettivo la redazione
della
“Water action agenda”,
che dovrebbe
raccogliere tutti gli impegni da parte dei diversi
settori, industrie, parti interessate e nazioni su azioni
concrete che aiutino a realizzare il sesto Obiettivo di
sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030: “Garantire a
tutti la disponibilità e
la gestione sostenibile
dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie”. Come
pensa che potrebbe andare la discussione delle
proposte presentate?
PAA Nel discorso finale della sessione di chiusura, la
presidenza dell’Assemblea generale ha accolto sei o
sette proposte, sulle centinaia che ha ricevuto, che
poi finiranno nella “Water action agenda”. Tuttavia,
ancora una volta, la priorità sembra essere quella di
trovare nuove opzioni tecnologiche per affrontare i
problemi degli usi economici dell’acqua. Possiamo
aprire un confronto su come avviare processi più
virtuosi in questi ambiti, ma l’attenzione delle Nazioni
Unite deve essere innanzitutto rivolta ai due miliardi
di persone che non hanno accesso all’acqua potabile,


8

ai quattro miliardi privi di servizi igienici di base a cui
deve essere data una risposta. Il sesto obiettivo
dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile non
riguarda infatti il business delle miniere o quello delle
nuove tecnologie ma si concentra sui diritti (negati) di
quei miliardi di persone che ho citato. E non c’è stato
nulla al riguardo nella Conferenza, nemmeno una
menzione negli interventi principali, tranne che
fortunatamente nel discorso del Segretario generale,
António Guterres.
Il tema dell’acqua bene comune non privatizzabile è
emerso durante la Conferenza?
PAA Per la prima volta è stato introdotto il concetto di
ciclo dell’acqua come bene comune globale.
Apparentemente
questo
potrebbe
avere
conseguenze positive nella concezione del valore
sociale dell’acqua ma penso sia necessario un
chiarimento, perché potrebbe anche averne di
pericolose. Dietro questa definizione c’è un chiaro
riferimento al cambiamento climatico e al suo
impatto sul settore idrico, che deve essere affrontato
collettivamente come parte di un’economia globale.
L’assunto di base è corretto: devono essere messe in
atto strategie di mitigazione adeguate e di larga scala.
Tuttavia, penso che la gestione dell’acqua debba
adottare un approccio ecosistemico partecipativo
legato ai territori, così come le strategie di
adattamento, visto che gli impatti e le conseguenze
climatiche sono diverse da luogo a luogo.
Per capirci, la desertificazione nel Sahel è diversa dal
degrado forestale in Amazzonia. Il cambiamento
climatico è un problema globale, mentre la gestione
dell’acqua è una questione territoriale. Al momento,
in qualità di Relatore speciale chiedo quindi di chiarire
questa nuova definizione, anche perché è legata al
dibattito sul riconoscimento dell’acqua come bene
comune. Cosa anche che deve avvenire presto, come
ha precisato lo stesso Segretario generale dell’Onu
Guterres. I due concetti non possono essere in
contrasto, l’acqua infatti deve essere considerata un
bene accessibile a tutti, ma non appropriabile da
nessuno.
Lei ha potuto ascoltare agli interventi dei diversi
movimenti sociali e delle popolazioni indigene?
Come ha percepito l’atmosfera fuori dalle sale
“istituzionali”?

PAA Ci sono stati molti eventi collaterali e quattro
eventi speciali. Questi ultimi sono stati introdotti
sotto la pressione dei movimenti sociali e delle
popolazioni indigene, la cui partecipazione è stata
molto importante e dove hanno, per esempio,
condiviso
le
loro conoscenze sugli ecosistemi
acquatici da cui dipendono e modelli comunitari di
gestione idrica. In generale il dibattito è stato molto
vivo, segnando un grande contrasto tra i discorsi
ufficiali e le voci dei cittadini riguardo questi temi. Ma
l’evento più significativo, che forse rimarrà come
riferimento storico, è stata la firma e la presentazione
alla vigilia della Conferenza del Manifesto per la
giustizia idrica, frutto per la prima volta di una
coalizione tra movimenti sociali e le principali
Organizzazioni non governative, con il sostegno dei
principali leader indigeni. Un altro risultato, indiretto
della Conferenza, è stata la Dichiarazione dei popoli
indigeni, approvata dai rappresentanti delle sette
regioni socio-culturali indigene pochi giorni dopo
dell’inizio della conferenza.
Si tratta di due documenti importanti, perché
esprimono la posizione dei difensori dell’acqua, che
chiedono di essere presi in considerazione nel
dibattito pubblico in quanto detentori di diritti (rights
holder) e non semplici portatori di interessi (stake
holders). Spesso si parla di dialogo con le parti
interessate, ma chi poi prende la parola? Coloro che
hanno abbastanza soldi per volare a New York. Ora
invece i detentori di diritti stanno bussando alle porte
delle Nazioni Unite per chiedere: “Possiamo entrare e
collaborare con voi?”.
È una questione molto importante che, a mio avviso,
deve essere tenuta in considerazione in futuro, e in
questo senso sono soddisfatto degli esiti della
Conferenza: non tanto per i risultati formali ma per il
coinvolgimento di
tante persone che hanno
rivendicato il proprio diritto a partecipare al dialogo e
lavorare congiuntamente con l’Onu. Noi abbiamo
bisogno delle Nazioni Unite, certo, ma le Nazioni
Unite hanno bisogno di noi. Credo che l’Onu necessiti
di riforme democratiche, per aprire le porte a questo
tipo di partecipazione sociale, e che con essa si
rafforzerà.
Qualcosa di positivo è dunque emerso da questa
Conferenza, soprattutto a livello di spunti per il
futuro?


9

PAA Ho potuto parlare con molte di quelle persone
inascoltate e spesso invisibili ma che si battono di più
per uno sviluppo sostenibile. Sono titolari di diritti ma
non hanno ancora il giusto spazio per esprimerli. Mi
auguro che la prossima volta, ad esempio, prima del
summit sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile di
settembre 2023, o al summit sul Futuro nel 2024, si
possa cogliere l’occasione di riflettere su altri tipi di
priorità anche viste le nuove coalizioni emerse in
questa Conferenza. Ecco forse loro potrebbero fornire
una spinta diversa all’interno dell’Onu.”

“Pacifismo: le tre proposte del Movimento
europeo di azione nonviolenta", 7/04/2023, -
Redaz. del sito internet Vita.it
“Arrivano per Pasqua le proposte del Mean, proposte
alle varie anime del pacifismo italiano e alle istituzioni
italiane ed europee perché percorrano vie strutturali
per
la pacificazione. La convocazione di una
«Conferenza Europea sui criteri per la istituzione e per
la operatività dei Corpi Civili di Pace Europei», la
richiesta al Governo italiano di ripensare e rilanciare i
CCP e infine la convocazione di una Marcia della
fraternità in Ucraina da farsi entro l'estate. Firmate il
documento”
“Arrivano per Pasqua le proposte del Movimento
europeo di azione nonviolenta (Mean), proposte alle
varie anime del pacifismo italiano e alle istituzioni
italiane ed europee perché percorrano vie strutturali
per la pacificazione.
“Di fronte alla guerra di aggressione russa i membri
del Movimento Europeo di Azione Nonviolenta,
assieme agli esponenti della società civile ucraina e in
sintonia con la voce dell’opposizione russa alla guerra,
hanno a lungo discusso e riflettuto su due domande:
“Come avremmo potuto evitarla?”, “Cosa fare per
porre fine alla guerra al più presto senza perpetuare
le condizioni che l’hanno resa possibile?”
La nostra riflessione si propone di far uscire la società
civile
pacifista
da
un
dibattito polarizzato
sull’opportunità o meno dell’invio delle armi per
provare a ritrovare l’indispensabile unità di intenti e



d’azione necessaria al cammino di una pace possibile
e giusta”.
Tra appelli superficiali e accordi disattesi.
Che fare quindi? Come smarcarsi dai tentativi fatti in
questi anni di interposizione civile e falliti, come
andare oltre i facili appelli alla pace senza concretezza
e senza costrutto, appelli fatti spesso sulla testa e sulla
sofferenza del popolo ucraino? Il Mean propone una
strada.
Come esponenti di una società civile europea che si
colloca decisamente al fianco del popolo ucraino, nel
mezzo di una aggressione che punta a terrorizzare i
civili ed a sottomettere un intero popolo ai voleri di
una superpotenza atomica, troviamo insopportabile
la reiterazione degli appelli alla ripresa di negoziati
che non siano forieri di una concreta capacità di
implementazione.
La storia della indipendenza Ucraina, dal 1991 ad
oggi, è costellata da patti e accordi rimasti sulla carta
e, francamente, visto che il risultato sono case e vite
distrutte, pensiamo sia inutile ridurre il discorso alla
dicotomia, rassicurante solo per il dibattito mediatico,
pace/guerra, come se nel pacifismo europeo ci fosse
un popolo diabolico.
favorevole al protrarsi della guerra ed un altro
virtuoso che, contestando l’invio delle armi, si schiera
automaticamente per la pace. Se lo scenario che
abbiamo di fronte fosse di così facile risoluzione non
servirebbe l’apporto del pensiero critico del pacifismo
e della nonviolenza.
Riteniamo vitale, invece, che tutto il movimento
pacifista unitariamente, accanto alle battaglie e
campagne per il disarmo e la non proliferazione
nucleare, si mobiliti urgentemente oggi affinché il
Consiglio Europeo decida finalmente la istituzione di
autentici Corpi Civili di Pace Europei, dotati di tutti gli
strumenti e mezzi che ne assicurino l’autorevolezza e
la forza necessarie ad adempiere la loro missione”
Il documento del Mean si chiude lanciando 3
proposte concrete a movimenti e istituzioni.
Prima proposta



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La prima proposta è “la convocazione di una
“Conferenza Europea sui criteri per la istituzione e per
la operatività dei Corpi Civili di Pace Europei” con
protagonisti i costruttori di pace sia istituzionali che
non governativi (come del resto era nelle intenzioni di
Alex Langer) con esperienze significative sul campo.
Una conferenza promossa, in una città dell’Ucraina,
come sede di un tale evento.
Chiediamo inoltre al Consiglio di includere il progetto
di CCPE nel nuovo Civilian CSDP Compact che sarà
presentato a Maggio e al governo italiano, in
particolare, di sostenere questa proposta.
Si tratta di osare pensare a livello europeo ad un
organismo sulla gestione costruttiva dei conflitti come
necessario complemento e pari dignità del corpo
militare previsto dalla “Bussola” approvata dai
ministri della difesa dei Paesi Ue nel marzo 2022 e che
prevede entro il 2025 una forza di 5000 militari per il
pronto intervento. Si tratta, per le istituzioni europee
di riconoscere che come tutti i cambiamenti sistemici,
anche questo, deve trovare fonte e impulso nelle
dinamiche della società civile e in nuove forme di
dialogo fra società civile e rappresentanze politiche”.
Seconda proposta
La seconda proposta “è rivolta al Governo italiano
perché rilanci e ridefinisca il concetto di Corpi civili di
Pace nel nostro Paese uscendo dalla sperimentazione
infinita in cui li si è confinati dal 2014 ad oggi. Dal 2014
a 31 dicembre 2022, l’Italia ha speso 190 miliardi di
euro in Spesa Militare ma non è riuscita a spendere 9
milioni per sperimentazione Corpi Civili di Pace”.
Terza proposta
La Terza proposta è la convocazione di una “Marcia
nonviolenta della fraternità e della pace” da farsi
possibilmente
entro
l’estate
2023
come
manifestazione
nonviolenta
conclusiva
della
Conferenza di cui alla Proposta 1.
Dalla rivoluzione francese alla
liberazione dal
nazifascimo l’Europa civile si è sempre distinta per la
sua capacità di sovvertire con la forza degli ultimi e
degli oppressi le posizioni degli oppressori, fino a
costituire ordinamenti sociali ed istituzionali sempre
più democratici, egalitari e liberali.


Siamo altresì consapevoli di trovarci di fronte
all’inedito di dover esercitare, per la prima volta dai
trattati di Roma che hanno istituito la CECA e la CEE,
la nostra “coscienza atomica”, la coscienza di un
pacifismo attivo che ha il compito di scongiurare con
ogni forza del cuore e dell’intelletto l’autodistruzione
del nostro continente per mano delle potenze
nucleari, potenze che sono visibilmente in gioco nello
scenario attuale del conflitto ucraino.
La marcia dovrà essere la dimostrazione plastica della
coscienza atomica degli europei e dovrà essere
capace di coinvolgere migliaia di cittadini provenienti
da tutti i paesi europei e guidata dalla società civile
ucraina che in questo primo anno di guerra si è
distinta non solo per la resistenza in armi, ma anche e
soprattutto per le tante e quotidiane forme della
resistenza nonviolenta all’invasione della Federazione
Russa.
Essa dovrà avvenire sulla scorta degli insegnamenti
gandhiani, del pensiero laico pacifista europeo e degli
insegnamenti della recente dottrina sociale della
Chiesa Cattolica così come delle dottrine pacifiste di
tutte le religioni presenti nella nostra casa comune. La
marcia europea dovrà costituire una vera e propria
catena di fratellanza che metta in primo piano, in
prima pagina, chi ha diritto alla difesa di fronte alla
aggressione, ma non ha niente a che vedere con i
“signori della guerra”, da qualsiasi parte si collochino,
e ha molto a che fare con le occasioni perdute di
amore e creatività, provocate da ogni guerra”.
Per leggere il documento e per aderire e firmare,
accedete al seguente linki:
https://projectmean.it/istituire-i-corpi-civili-di-pace-
europei/

"Evasione fiscale, Meloni sembra puntare più su
una rivoluzione morale che sulla tecnologia",
10/02/2023, - Mario Pomini
“Un vecchio proverbio dice che il buon giorno si vede
dal mattino. Per la premier Meloni il mattino è
arrivato con l’approvazione della legge finanziaria
2023 che ha creato un debito aggiuntivo di 21
miliardi, ha previsto un taglio delle pensioni e degli
stipendi dei dipendenti pubblici, sostanziose regalie


11

fiscali per gli
autonomi benestanti e una
modestissima riduzione per un anno del cuneo fiscale
per
i
lavoratori dipendenti. Non un
inizio
entusiasmante per milioni di contribuenti che si
aspettavano qualcosa di diverso. Ora, in una lunga
intervista ad un quotidiano economico, Meloni alza
ancora il tiro e annuncia la sua rivoluzione fiscale.
Tema non nuovo peraltro nella retorica della politica
italiana, ricchissima di rivoluzioni mancate.
La premier sul fisco, di questo mi occupo, propone
l’ennesima legge delega, progetto in cui si sono
cimentati anche i presidenti del Consiglio precedenti.
In particolare Draghi che, pur non essendo stato in
grado di approvarla, a causa anche dell’opposizione
della destra che sosteneva il suo governo, ha rivisto le
aliquote dell’Irpef per il cosiddetto ceto medio con
una riduzione del carico fiscale di circa sei miliardi. Un
discreto successo, naturalmente finanziato
in
disavanzo. A suo tempo, anche il bonus Renzi fu
trainato dal debito. Questa sembra essere una
costante della recente politica fiscale italiana: si
spende ora e qualcuno pagherà domani. Quali le
proposte rivoluzionarie
in campo fiscale della
premier? Draghi puntava sulla razionalizzazione del
fisco, riducendo la selva delle aliquote flat e anche su
una maggiore equità, ad esempio aggiornando gli
estimi catastali fermi al 1938, anche se poi rivalutati.
Tentativo non riuscito. Meloni cosa offre ora al
contribuente italiano che ha il morale fiaccato dalle
molte promesse? In realtà poche cose, al di là delle
parole
altisonanti ma
che
destano molta
preoccupazione.
Promette intanto di mettere al sicuro la finanza
pubblica e quindi di contenere il debito dello stato che
ha raggiunto valori molto preoccupanti anche in vista
del ritorno delle regole fiscali europee. Una politica di
lacrime e sangue oppure una nuova austerità
economica? Nulla di tutto questo. La premier indica
una via saldamente nazionalista. A dire dei suoi
consiglieri economici (quali?), il problema sarebbe
risolto se più italiani comprassero titoli del debito
pubblico. Questa riduzione di dipendenza dai
creditori stranieri aumenterebbe magicamente la
stabilità del nostro debito. Magari Meloni dovrebbe
far mente locale al fatto che oggi il 25% del debito è


posseduto dalla detestata Banca Centrale. Questa
autarchia fiscale è veramente anacronistica ed
economicamente
irrazionale.
Nell’era
della
globalizzazione, il debito è debito, sia che sia
posseduto da italiani o da stranieri. A questo punto
sarebbe stato più onesto e coerente rivendicare
l’autarchia monetaria con
l’uscita dall’euro, e
conseguentemente anche dal Pnrr.
Il piatto forte della rivoluzione fiscale alla Meloni è
una nuova legge delega alla quale lei stessa e il
ministro Giorgetti stanno duramente lavorando. Le
linee di intervento sono coperte da un grande riserbo
per ora, come una volta si coprivano i prototipi delle
auto di Formula 1. La premier afferma però
nell’intervista, orgogliosamente, che
la grande
riforma riguarderà tutti i settori della fiscalità. Sarà
una riforma copernicana stile 1973 che ha generato il
fisco come oggi lo conosciamo? Le ambizioni pare ci
siano. Certo Meloni non potrà offrire la promessa una
riduzione fiscale erga omnes come ha fatto in
campagna elettorale, perché ora è lei nella scomoda
stanza dei bottoni e deve fare i conti con la realtà.
E sul punto dolente per il nostro fisco dell’evasione
fiscale, quali sono le novità? Meloni sembra puntare,
come è nello stile retorico della destra, più su una
rivoluzione morale che sugli
strumenti della
tecnologia. Si cercherà, dichiara, di favorire in ogni
modo (leggi condoni e sanatorie) gli adempimenti
spontanei. Se poi questi non arriveranno, solo allora
lo Stato procederà con le sue tremende ganasce
fiscali. Avrà successo questo fiacco interventismo
morale, immaginiamo di stampo patriottico? Il partito
dell’evasione, come uno scolaretto impertinente, si
farà commuovere e convincere dagli inviti accorati
della premier? C’è da augurarselo, ma la probabilità è
bassina. Certo, possiamo dire che a forza di nuovi
paradisi fiscali, l’evasione più che combattuta è stata
legalizzata. Di sfuggita Meloni afferma anche che
nella legge delega “metteremmo ovviamente al
centro anche i dipendenti e i pensionati, con misure
ad hoc”. Quali? Aspettiamo di vedere, ma le scelte
governative finora sono andate in altre direzioni.
In definitiva, anche se un giudizio è ancora
prematuro, siamo di fronte ad una rivoluzione fiscale
o ad una involuzione fiscale? La riforma Meloni
porterà ad un fisco più equo e razionale, come è


12

auspicabile, oppure andrà nella direzione, come
fanno le destre in tutto il mondo, di avvantaggiare i
redditi più alti a scapito di tutti e dei servizi offerti
dallo stato sociale? Purtroppo pare che sia
quest’ultima direzione a prevalere.
Lo dice
candidamente l’architetto di questa operazione, il
vicemaestro Maurizio Leo con delega al fisco, che ha
parlato di un addolcimento della curva delle aliquote
dell’Irpef. La nuova Irpef sarà più dolce soprattutto
per i redditi più elevati perché le aliquote marginali si
ridurranno in maniera sostanziale. Anche per i
contribuenti poco attenti ai loro obblighi fiscali, gli
onesti a posteriori, ci sarà la dolcezza del fisco. Il
sistema sanzionatorio sarà reso meno severo,
improntato più ad un cattolico perdono che alla
meritata punizione.
I veri contribuenti italiani, cioè i lavoratori dipendenti
e i pensionati, sono avvisati: il nuovo fisco targato
Meloni non è per loro ma per i soliti noti, evasori e
privilegiati. Intanto, sono pregati di comprare i titoli di
stato, altrimenti la premier non avrà le risorse per fare
la sua personale rivoluzione fiscale.”

"Migranti, le Ong chiedono di poter issare la
bandiera dell’Onu sulle loro navi", 21/03/2023 -
Michele Raviart
“La richiesta in una petizione online firmata da alcune
realtà della società civile italiana. Chiesta anche
l’abolizione della Sar in Libia, non considerata un
porto sicuro. Cecilia Strada di ResQ: "Salvare vite
umane è anche salvare i nostri valori.”
“Navigare nel mar Mediterraneo con la bandiera delle
Nazioni Unite per
“tutelare
l’operato delle
organizzazioni umanitarie che danno concreta
attuazione al dovere di soccorso in mare previsto
dalle norme internazionali”. È quanto chiedono per le
loro navi alcune Ong che si occupano del salvataggio
di persone migranti, insieme ad altre realtà della
società civile, rivolte al segretario generale dell’Onu
Antonio Guterres, all’Unhcr, al Consiglio dei diritti
umani e all’Organizzazione marittima internazionale.
Il valore umanitario di salvare vite
La petizione, una raccolta firme online, è stata
promossa tra gli altri dal Festival del Cinema dei Diritti

umani di Napoli, da Pax Christi e da ResQ ed è stata
firmata anche dall’arcivescovo di Napoli, Domenico
Battaglia. “Poter esporre le insegne delle Nazioni
Unite sulle nostre navi sarebbe un’iniziativa dal valore
simbolico. Significherebbe riconoscere l’importanza
del lavoro a tutela della vita e della dignità umana che
si fa a bordo delle navi umanitarie”, spiega la
portavoce di ResQ, Cecilia Strada. “In questo periodo
- che dura in realtà da alcuni anni - in cui il soccorso in
mare viene criminalizzato così come vengono
criminalizzate le persone migranti che attraversano il
mare”, sottolinea, “poter riconoscere e riaffermare il
puro valore umanitario del salvare la vita umana
sarebbe un passo piuttosto importante”.
Ascolta attraverso il seguente link l'intervista integrale
a
Cecilia
Strada>
https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2023
/03/20/17/136985717_F136985717.mp3
Stop alla Sar in Libia
Un’altra richiesta è quella di cancellare la zona Sar
libica, “perché la Libia non garantisce alcun porto
sicuro, né il rispetto dei diritti umani”. Alle morti nel
Mediterraneo, continua Strada, si aggiunge infatti
“anche una situazione di violazione dei diritti umani
continua, perché i respingimenti della guardia
costiera libica riportano indietro le persone agli stupri
e alle torture nei lager”, di “cui non possiamo fare
finta di non sapere l’esistenza in Libia”, e che
continuano ogni giorno nel Mediterraneo.
Il salvataggio in mare non può essere messo in
discussione
Dopo la tragedia di Steccato di Cutro, quando lo
scorso 26 febbraio sono morte 88 persone a largo
delle coste calabresi, sono continuati i naufragi, con
oltre 30 vittime a largo della Tunisia e almeno nove
morti in un naufragio nelle acque algerine ieri
pomeriggio. “Quello che mi impressiona e che stiamo
discutendo nel 2023 se sia giusto o meno soccorrere
in mare”, spiega ancora Strada. “Non ci sarebbe
neanche bisogno di discutere su questo. La vita
umana va salvata, protetta. Punto. Poi quando siamo
tutti a terra, salvi e con i piedi asciutti possiamo
parlare dei flussi migratori, dei decreti flussi, di come
governare anche meglio l’accoglienza nei nostri Paesi,
ma la vita umana in pericolo va salvata”.


13

La nave "Alan Kurdi"
A contribuire ai soccorsi c’è anche la nave di ResQ,
l’”Alan Kurdi”, che deve il suo nome al bambino di 2
anni trovato morto sulle rive della Turchia nel 2015.
L’imbarcazione, originariamente una nave per la
ricerca scientifica, è appena uscita dai cantieri navali
dopo alcuni lavori di manutenzione ed è ora pronta
per una nuova missione nel Mediterraneo, dove ha
già salvato oltre duecento persone in due interventi
nell’agosto e nell’ottobre scorso.
Canali di accesso sicuri e legali
L’unico modo in cui si potrebbe strappare le persone
dalle mani dei trafficanti di esseri umani, conclude la
portavoce di ResQ, è quella di aprire “canali di
accesso sicuri e legali in forma di decreti flussi, perché
non bastano i numeri dei corridoi umanitari, per
permettere alle persone di arrivare legalmente per
lavoro o per altri motivi in Italia”. “Sicuramente
l’Europa deve agire unita su questo e non può essere
qualcosa
che
viene
lasciato
ai
Paesi
che
geograficamente sono i Paesi di prima accoglienza”,
spiega, “bisogna lavorare a livello europeo per aprire
le porte della
‘Fortezza Europa’, altrimenti il
Mediterraneo continuerà ad essere il più grande
cimitero del mondo, perché questo è diventato negli
ultimi anni, con decine di migliaia di morti e i diritti
umani che vengono violati tutti i giorni. Spesso
quando diciamo che andiamo in mare diciamo non
solo che salviamo gli altri, ma in realtà salviamo anche
noi stessi. Salviamo i nostri valori, salviamo quello in
cui crediamo a partire dal fatto che la vita umana va
difesa”.

"Migranti, il pericoloso rilancio dei Centri per il
rimpatrio. Il Garante dei detenuti: «Inefficaci e
inumani: l’uso di psicofarmaci è inquietante»",
10/04/2023, - Franz Baraggino
“Il governo promette di rafforzare le espulsioni degli
irregolari. E per farlo intende potenziare capienza e
numero dei Centri di permanenza per il rimpatrio
(Cpr), i luoghi di detenzione degli stranieri in attesa di
esecuzione di provvedimenti di espulsione. Con più di
42 milioni di euro già previsti nell’ultima legge di
Bilancio, il decreto sull’immigrazione varato dopo la
tragedia di Cutro mette in campo procedure

semplificate per la realizzazione di nuovi Cpr. Dai nove
attualmente attivi, infatti, il governo Meloni vuole
arrivare un centro in ogni regione. Non solo: anche il
periodo di trattenimento potrebbe aumentare, dagli
attuali 90 giorni a 120 o addirittura a 180, come
previsto nei decreti sicurezza del primo governo
Conte che la Lega vorrebbe ripristinare. Eppure i
numeri hanno ormai smentito l’efficacia di queste
strutture. “Avere più Cpr non serve a niente, se non a
dare il messaggio simbolico del “li teniamo chiusi qui”,
nient’altro”, assicura Mauro Palma, Presidente del
Garante nazionale dei diritti delle persone private
della libertà personale. Ma nel frattempo, spiega, “in
quei posti le persone cambiano e quando ritornano
nelle nostre comunità, come il più delle volte accade,
sono peggiorate”.
Presidente Palma, rispetto ai 500 mila irregolari
stimati nel nostro Paese, i numeri dei Cpr sono
minuscoli. Chi ci finisce?
Complessivamente ci finiscono 10 mila persone
l’anno, al massimo. Che sono il 2% degli irregolari e il
turnover è molto limitato. Ma non è mai stato
rimpatriato più del 50% dei trattenuti, anche quando
ci stava per periodi più lunghi. Cavalcare l’emergenza
e dire “abbiamo molti migranti, acceleriamo e
ampliamo i Cpr” si scontra con i dati di realtà di cui
disponiamo: delle 6.000 persone rimpatriate in media
ogni anno, il contributo dei centri è di 3.000 rimpatri.
Allora a che serve aumentare i Cpr?

Ci tengo a premettere una cosa: le mie riflessioni sono
sempre volte al funzionamento delle istituzioni, non
al loro abbattimento. E tutelare la nostra civiltà
significa tutelare le persone, anche quelle che vanno
rimpatriate. Ma i Cpr si sono dimostrati uno
strumento inefficace: se non realizzi rapporti bilaterali
ampliando la facilitazione della riaccoglienza dei Paesi
d’origine, i numeri rimarranno gli stessi e questi
luoghi serviranno solo a dare un messaggio simbolico
quanto fuorviante, perché alle persone che non
rimpatri darai un foglio di via che non verrà
ottemperato e si ricomincia.
Qual è il prezzo di questa inefficacia?



14

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo
consente la detenzione di persone contro le quali è in
corso un procedimento d’espulsione, ma va ricordato
che
la Convenzione è del 1950, quando si
contemplavano casi sporadici. Oggi quel fondamento
mi pare tirato come un elastico, mentre nei Cpr
manca del tutto la tutela giurisdizionale e, al contrario
delle carceri, non c’è il magistrato di sorveglianza. Né
ci si preoccupa di trattenere persone senza possibilità
di rimpatrio o di detenerle anche sapendo che non
potranno partire, come si è fatto durante la
pandemia. L’assenza di tutele è evidente anche nella
commistione tra chi ha commesso reati, e sta nel Cpr
per una misura amministrativa aggiuntiva alla
sentenza penale, e chi invece non ha commesso alcun
reato.
Il mensile Altreconomia ha pubblicato i dati sugli
psicofarmaci nei Cpr: l’uso della sedazione sembra
fuori controllo.
Sono dati
inquietanti.
I
comportamenti di
insofferenza acuta sono il prodotto del vuoto delle
giornate, che finiscono per essere riempite o con la
disperazione (con episodi di autolesionismo e suicidi,
ndr) o con il danneggiamento delle strutture. Sono il
frutto di uno spazio dove non sei nulla, non fai nulla e
nulla avviene, salvo rimuginare sul proprio destino
che è un destino di fallimento, quello del rimpatrio.
Investire sulla presenza di mediatori culturali e
operatori sociali sarebbe un modo per ridurre la
disperazione e anche gli psicofarmaci, che in centri
come quelli di Milano e Roma valgono più della metà
dell’intera spesa sanitaria. E come segnala l’inchiesta
di Altreconomia, la maggior parte dei centri non ha
voluto fornire i dati.
Chi si prende la responsabilità?
Per essere ammessa, la persona deve essere
certificata dal Servizio sanitario nazionale, che rilascia
il nulla osta. Ma una volta dentro il medico è quello
dell’ente gestore che ha vinto il bando delle
prefetture, quindi anche eventuali
trattamenti
sanitari già in corso vengono di fatto privatizzati.
Anche la vigilanza Asl sulla salubrità degli ambienti è
molto rada. Non c’è lo Stato, ma c’è un privato e bandi
sempre aggiudicati al risparmio. Nelle stesse strutture
si vogliono sempre più persone e sempre meno
personale. E siccome le rette non sono mai state

riviste, le risorse messe in campo sono sempre più
limitate. Allungare i tempi di trattenimento non solo
è improduttivo, ma peggiorerà la situazione. Un
comportamento che purtroppo riguarda tanta parte
dell’Unione europea, dove la paura dell’invasione
determina scelte irrazionali.
C’è un altro modo?
Manca una percezione sociale del problema, anche
nell’opinione pubblica più informata. Tutto diventa di
nicchia e ideologico. Serve più calma e si può
innanzitutto ripartire dai dati, che ormai abbiamo.
Facciamo una conferenza nazionale sul problema
degli stranieri che devono tornare nel Paese d’origine
perché non hanno diritto a rimanere. Va data una
valutazione sul piano dell’investimento di spesa e di
rapporto con le comunità locali, che è un processo
lento che non si esaurisce nei messaggi elettorali.
Perché è nelle nostre comunità che tornano le tante
persone che transitano dai Cpr senza essere
rimpatriate, e ci tornano in una condizione peggiore.
Cosa propone?
Prima ancora di guardare dentro ai Cpr, ci vuole
maggiore attenzione all’inserimento lavorativo e
sociale: ho visto nei Cpr persone che parlano
perfettamente l’italiano, da anni nel nostro Paese.
Quanto ai centri, luoghi di attesa come questi devono
avere un investimento nel tempo da spendere lì e ci
vogliono tutele giurisdizionali, anche evitando la
commistione tra chi ha commesso reati e chi è
detenuto per la pura irregolarità amministrativa.
Secondo: impegno e trasparenza sugli accordi con i
paesi di provenienza. Infine, lo ribadisco, mettiamo
insieme le migliori intelligenze per affrontare la
questione in modo strutturale. Le azioni di una
democrazia devono avere la prospettiva più lunga
possibile, non quella di chi mette una toppa di volta
in volta.”

“Il cordoglio di Rete Pace Disarmo per la
scomparsa di Vittorio Bellavite”, 12/04/2023, _
Coord. Campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo
“La Rete Italiana Pace e Disarmo si unisce al cordoglio
dei suoi cari e degli amici per la morte di Vittorio
Bellavite, per lungo tempo presidente di “Noi Siamo


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Chiesa” una delle organizzazioni aderenti alla nostra
Rete (e prima ancora a Rete Italiana Disarmo).
Figura importante dei movimenti per la Pace di
ispirazione cristiana (e attivo anche nelle esperienze
politiche) Vittorio Bellavite non ha mai fatto mancare
il suo sostegno e quello della sua organizzazione alle
campagne ed attività collettive della nostra Rete. Non
avendo potuto partecipare alla recente Assemblea
annuale di RIPD aveva comunque voluto manifestare
con un messaggio la consonanza di obiettivi e percorsi
con parole chiare: “Noi Siamo Chiesa c’è, e partecipa
toto corde a tutte le prese di posizione e le iniziative
di Rete Pace e Disarmo. In altri momenti faremo di
più”. Anche se in realtà Vittorio Bellavite ha sempre e
comunque fatto tanto per la Pace e la Nonviolenza, e
ci
lascia
in coincidenza con
il
sessantesimo
anniversario dell’enciclica “Pacem in Terris” – ultimo
lascito del Papa del Concilio Giovanni XXIII – nel cui
solco si è svolta gran parte della sua azione sociale e
politica.
Rete Italiana Pace e Disarmo si unisce nel cordoglio e
nel conforto alla moglie, ai figli, agli amici di Vittorio.”

“Intervista
al
presidente
del
Comit.
«Generazioni Future»: «Temi fondamentali,
possiamo farcela»”, 13/04/2023, - Paolo Viana.
Fonte: sito internet del quotidiano “Avvenire”
“Il giurista Mattei: le armi a Kiev sono un atto di
guerra, nella sanità vogliamo eliminare conflitti
d'interesse”
“Professor Mattei, lei è uno dei promotori del
referendum abrogativo in materia di contrasto alla
guerra e sostegno alla sanità pubblica. Parliamo di
due quesiti già pubblicati in Gazzetta Ufficiale e sui
quali Generazioni Future (ex Comitato Rodotà)
inizierà a raccogliere le 500mila firme necessarie dal
22 aprile. Ci chiediamo, tuttavia, se il referendum sia
ancora uno strumento democratico utile, visto che
per trovarne uno che abbia raggiunto il quorum
bisogna tornare indietro di undici anni?


È normale che siano pochi i referendum a riuscire.
Organizzarli è molto complesso e il quorum del 50%
oggi non lo si raggiunge neppure alle elezioni! Il
nostro referendum ex Art. 75 della Costituzione
tuttavia è una risorsa costituzionale preziosa perché
consente ai cittadini di esprimersi con atti aventi forza
di legge senza la mediazione dei partiti. Quando i temi
sono fondamentali e i cittadini si sentono traditi dai
rappresentanti, i referendum possono riuscire e avere
un impatto forte. È scandaloso portare un popolo in
guerra senza consultarlo.
Undici anni fa si votava su nucleare e impeachment,
ma soprattutto sull'acqua come bene comune. Quali
conseguenze reali ha avuto quel voto?
Gli esiti referendari non si comparano con un mondo
ideale, ma con cosa sarebbe successo se non si
fossero tenuti. Nel caso dell'acqua e del Decreto
Ronchi sui servizi pubblici di interesse economico,
non fare il referendum avrebbe significato una nuova
privatizzazione massiccia il 31 dicembre del 2011, che
avrebbe sottratto ai cittadini - a favore del capitale -
circa 250 miliardi! Gli italiani si sono salvati in corner.
Vero, le cose non sono cambiate in meglio, ma
abbiamo evitato il molto peggio.
Veniamo ai quesiti che avete proposto. Uno vuole
impedire che l'Italia mandi armi agli ucraini, l'altro
che
le Regioni finanzino
la sanità privata
convenzionata e le istituzioni prive di scopo di lucro.
Cosa li unisce?
Noi non siamo contrari al finanziamento della sanità
convenzionata, isamo contrari al fatto che gli enti
finanziati decidano
sui
propri
finanziamenti.
Crediamo che la sanità convenzionata possa essere
preziosa per il Paese ma che sia una distorsione che
essa stessa decida o influenzi le decisioni di spesa che
vanno prese da soggetti politicamente responsabili
dell'interesse pubblico, non di quello dei settori
privati finanziati. Il nostro è un referendum contro il
conflitto di interessi, non contro la sanità privata. Il
conflitto di interessi ha determinato la sotto-
strutturazione delle terapie intensive (tragica in
pandemia) e ne ha pervaso sotto molti aspetti la
gestione. Il conflitto di interessi spiega anche lo zelo


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con cui i politici europei si asserviscono ai diktat del
complesso militare industriale, anche qui con tragiche
conseguenze di morte; per ora in Russia e Ucraina, ma
l'escalation non può essere esclusa.
Perché un comitato che si schiera per la pace? e
quindi sarà favorevole, ad esempio, alle formazioni
sociali impegnate nel campo dell'assistenza ai
profughi? si schiera contro altre formazioni sociali
che, analogamente non profit, prestano assistenza ai
malati?
Ribadisco: Generazioni Future si batte per
il
pluralismo, la sussidiarietà e i beni comuni in tutti i
settori. Certamente anche per la sanità come bene
comune. Il nostro referendum è contrario solo alle
distorsioni generate dal conflitto di
interessi
nell'assegnazione delle risorse pubbliche. Tutto il
settore sociale no profit ne beneficerebbe e deve
sostenerci per evitare di fare da foglia di fico ai veri
beneficiari di questi processi distorti: le for profit e Big
Pharma.
Veniamo al secondo quesito. La Costituzione recita
che "l'Italia ripudia la guerra" ma produciamo e
vendiamo armi da sempre. Perché è importante
abrogare la legge che le cede all'Ucraina?
Mandare armi in Ucraina è un atto di guerra volto a
risolvere con la violenza un conflitto internazionale di
cui peraltro non siamo parte. Proprio ciò che i
costituenti ripudiavano. Il fatto che sempre ci si sia
comportati male (si pensi all'aggressione Nato a
Belgrado, partita dalle nostre basi con il governo
D'Alema) non significa che si debba continuare a
farlo.
Se gli italiani arriveranno a esprimersi, molti si
chiederanno: togliere le armi a Kiev vuol dire
spianare la strada a Putin? Risponda lei.
Ridurre le questioni serie in tifoserie opposte è una
strategia di governamentalità (modello di controllo,
ndr) che il potere usa da sempre. Lo abbiamo visto in
pandemia con la costruzione mediatica dei no-Vax e
le famiglie che si sono divise, lo vediamo ora nel derby
fra putinisti e zelenskyani. Certo, i media dominanti

cercheranno di usare anche quella carta per
sconfiggere i referendum. Ma il popolo italiano non è
stupido. Questo referendum non si schiera. Ai nostri
banchetti sono vietate le bandiere, sia russe che
ucraine. Non si lavora per la pace prendendo partito.
C'è un filo rosso che unisce pacifismo e politica
extraparlamentare: la politica "ufficiale" non li
riconosce, li considera espressioni impo-litiche, se
non rivoluzionarie. Referendum e comitati hanno
delle possibilità di lasciare un segno nella Storia di
questo Paese?
Per questo il referendum è un'arma preziosa.
Possiamo certificare con atti aventi forza di legge che
il popolo in maggioranza vuole welfare e non vuole
warfare. Se raggiungiamo il quorum e vinciamo si
apre una questione politica grande come una casa,
che dobbiamo essere bravi a far maturare, per
diventare
davvero
determinanti
contro
il
neoliberismo e l'emergenzialismo che uccidono.”

“Pace e sanità beni comuni. Dovere di disarmo
e diritto alla salute. Al via la campagna per tre
referendum”, 13/04/2023, - Paolo Viana. Fonte: sito
internet del quotidiano “Avvenire”
“Il tre marzo 2023 sono stati pubblicati in Gazzetta
Ufficiale tre quesiti referendari. Due, uno sul disarmo
e uno sulla sanità, sono promossi da Generazioni
Future (ex Comitato Rodot, lo stesso dei due
referendum sull'acqua del 2011); un terzo, sul
disarmo, dal comitato "Ripudia la guerra". I comitati
collaboreranno nella raccolta delle firme. Due hanno
come obiettivo il disarmo e uno la salute pubblica,
intesi come beni comuni da governare nell'interesse
delle generazioni future, secondo la definizione che
oggi
in Costituzione
("Tutela
l'ambiente,
la
biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse
delle future generazioni", recita l'articolo 9).
La raccolta delle firme su tutti i tre quesiti (che
riportiamo a parte in questa pagina), riconoscibili dal
titolo "Italia per la pace", inizierà il 22 aprile,
significativamente nei giorni che conducono alla Festa
della Liberazione del 25 aprile. Durer tre mesi e dovrà
raggiungere 500mila firme valide da presentare alla


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Corte di Cassazione e poi a quella Costituzionale, al
fine di poter celebrare il referendum. Un contratto
con la piattaforma Agile consentirà la raccolta online
delle firme. Per partecipare ci si può registrare su
generazionifuture.org. La decisione finale della Corte
Costituzionale sull'ammissibilità, presumibilmente,
arriverà entro fine 2023, per poi votare fra il 15 aprile
e il 15 giugno 2024. L'iniziativa disarmo + sanità è
stata portata avanti finora dal "Comitato di
Liberazione Nazionale" presieduto da Ugo Mattei. Il
comitato "Ripudia la guerra" guidato da Enzo
Pennetta.
Per quanto riguarda il primo quesito, l'abrogazione
andrebbe ad incidere sulla normativa in base alla
quale il Piano sanitario regionale rappresenta il piano
strategico degli interventi per gli obiettivi di salute e il
funzionamento dei servizi per soddisfare le esigenze
specifiche della popolazione regionale anche in
riferimento agli obiettivi del Piano sanitario
nazionale. Le regioni, entro centocinquanta giorni
dalla data di entrata in vigore del Piano sanitario
nazionale, adottano o adeguano i Piani sanitari
regionali, prevedendo forme di partecipazione delle
autonomie locali, ai sensi dell'articolo 2, comma 2bis,
nonché delle formazioni sociali private non aventi
scopo di lucro impegnate nel campo dell'assistenza
sociale e sanitaria, delle organizzazioni sindacali degli
operatori sanitari pubblici e privati e delle strutture
private accreditate dal Servizio sanitario nazionale.
Secondo i promotori, attraverso la cancellazione
dell'ultima parte della legge, per cui le Regioni, cui
compete la gestione del sistema sanitario a livello
territoriale, possono prevedere la partecipazione
nella programmazione della sanità anche di soggetti
privati, si
impedisce
il
conflitto di
interessi
nell'allocazione degli ingenti fondi pubblici. Non
chiaro, e probabilmente sarà chiarito durante la
campagna referendaria, se e come una vittoria di
questo quesito possa nuocere alla sanità privata
convenzionata, che ha una funzione pubblica, e non
solo alla sanità privata profit, che trae esclusivamente
un vantaggio economico dall'assistenza sanitaria.
L'intervista a Mattei che pubblichiamo inizia ad
affrontare anche questo tema.
Il quesito sanitario si intreccia poi con il tema bellico,
in base all'assunto che la guerra sottrae risorse
pubbliche alla salute e lo fa per finanziare la cessione
di armi all'Ucraina.

I nostri rappresentanti hanno deciso di destinare
ingenti somme di denaro alla produzione di armi da
inviare all'Ucraina. Noi riteniamo che il popolo in
maggioranza non sia d'accordo e con il referendum
intendiamo provarlo. Si badi: la devoluzione di soldi
pubblici alle armi non limitata alla vicenda tra russi e
ucraini, ma si mantiene viva ordinariamente, sempre,
solo massimizzandosi in questi anni di guerra
corrente, affermano i promotori del referendum. E
veniamo qui al terzo quesito, che riguarda la legge
185 del 1990 che proibisce all'Italia l'esportazione e il
transito sul territorio nazionale di armamenti
destinati a Paesi in guerra. L'obiettivo dunque
politico: se l'esito del referendum dovesse essere
positivo e la legge cancellata, per i partiti non sarebbe
pi possibile introdurre altre leggi che riproducessero
la stessa sostanza di autorizzazione al finanziamento
della guerra. Questo quesito mira a far s che non basti
l'informativa del Governo al Parlamento per derogare
al divieto di inviare armi in teatri di guerra, ma occorra
una legge formale per derogare alla Legge 185.
I quesiti
1 Questione sanitaria
«Volete voi abrogare l'Art. 1 (Program-mazione
sanitaria nazionale e definizione dei livelli uniformi di
assistenza), comma 13, D.lgs 502/1992 (Riordino della
disciplina in materia sanitaria), limitatamente alle
parole "e privati e delle strutture private accreditate
dal Servizio sanitario nazionale"?»
2 Armi all'Ucraina
«Volete voi che sia abrogato l'Art. 1 del Dl 2 dicembre
2022 n. 185, convertito in legge n. 8 del 27 gennaio
2023: "È prorogata, fino al 31 dicembre 2023, previo
atto di indirizzo delle Camere, l'autorizzazione alla
cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti
militari
in
favore delle autorità governative
dell'Ucraina, di cui all'articolo 2-bis del decreto-legge
25 febbraio 2022, n. 14, convertito, con modificazioni,
dalla legge 5 aprile 2022, n. 28, nei termini e con le
modalità ivi stabilite?»
3 Export bellico
«Volete voi che sia abrogato l'art. 1, comma 6, lettera
a), legge 09 luglio 1990, n. 185, rubricata "Nuove
norme sul controllo dell'esportazione, importazione e


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transito dei materiali di armamento", e successive
modificazioni
(che prevede: "L'esportazione,
il
transito,
il
trasferimento
intracomunitario
e
l'intermediazione di materiali di armamento sono
altresì vietati: a) verso i Paesi in stato di conflitto
armato, in contrasto con i princìpi dell'articolo 51
della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto
degli obblighi internazionali dell'Italia o le diverse
deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare
previo parere delle Camere" limitatamente alle
parole "o le diverse deliberazioni del Consiglio dei
Ministri, da adottare previo parere delle Camere"?»






“Prima che I nostri fratelli bianchi venissero a
civilizzarci, non avevamo prigioni. Quindi, non
avevamo criminali. Non avevamo neanche chiusure
a serratura e relative chiavi. Non c’erano ladri da noi.
Se un uomo era così povero da non avere né un
cavallo, né un teepee e una coperta, qualcuno che gli
fornisse quelle cose ci sarebbe stato. Eravamo troppo
incivili per attribuire tanto valore ai possedimenti
personali. Volevamo procurarci cose solo per avere
la possibilità di elargirle. Non avevamo il denaro, e
quindi il valore di un uomo non poteva essere
misurato da un tale strumento.”
-
John Fire «Lame Deer», Sioux Lakota




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