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(Nota )
Il progetto Edc-MixRisk
L’Unione Europea ha finanziato il progetto Edc-MixRisk, coinvolgendo 15 istituti di ricerca e atenei del
vecchio continente: sette svedesi (tra i quali il Karolinska Institutet e l’Università di Stoccolma), il francese
Cnrs-Muséum d’histoire naturelle, l’Istituto finlandese per la salute e il benessere, l’Università di Lipsia
(Germania), l’Università capodistriana di Atene, l’Università di Edimburgo (Regno Unito) e, per l’Italia, tre
centri milanesi: Human Technopole (Ht), Istituto europeo di oncologia (Ieo) e Università degli studi. Al team
europeo si è unita anche la statunitense Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York.
Lo studio è stato condotto in tre fasi: la prima ha seguito 2.000 donne dall’inizio della
gravidanza all’età scolare dei bambini, identificando un mix di sostanze chimiche nel sangue
e nelle urine delle gestanti – ftalati, bisfenolo A (Bpa) e composti perfluorurati (Pfas) –,
associato a un ritardo nello sviluppo del linguaggio nei bimbi all’età di 30 mesi. In una
seconda fase sono stati scoperti i bersagli molecolari attraverso i quali questo mix alterava
i circuiti endocrini e dei geni coinvolti nell’autismo e nella disabilità intellettiva. Infine, i risultati
delle ricerche sperimentali sono stati utilizzati per sviluppare metodi di valutazione del
rischio specifici per il mix di sostanze. Grazie a queste nuove soglie di rischio, è emerso
come fino al 54% delle gestanti fosse state esposte a un aumentato pericolo di ritardo del
linguaggio nei nascituri. Per Giuseppe Testa, professore di biologia molecolare
all’università di Milano, direttore del centro di neurogenomica allo Human Technopole e
group leader nel dipartimento di Oncologia sperimentale allo Ieo, l’Istituto europeo di
oncologia, e tra i responsabili dello studio, «è ora improcastinabile un adeguamento
legislativo che rispecchi il nuovo quadro evidenziato per la prima volta in modo sistematico
dai nostri dati. La sua unicità sta inoltre nell’aver dimostrato la fattibilità e l’efficacia della
sinergia fra studi di popolazione e di laboratorio: un nuovo metodo che potrà essere
applicato ad altri temi di salute pubblica».
«Abbiamo integrato le evidenze epidemiologiche sul mix di interferenti endocrini con la comprensione dei
suoi meccanismi d’azione - evidenziano Nicolò Caporale e Cristina Cheroni, tra i primi autori dello studio -,
facendo luce su come agisce sul cervello umano e in che modo può creare danni. Pensiamo che uno dei
potenziali della nostra ricerca sia di inaugurare una nuova tossicologia a sostegno della politica ambientale
europea». Dal canto suo l’Ieo, per bocca del direttore scientifico Roberto Orecchia, si dice «orgoglioso di
aver contribuito a questo importantissimo studio, mettendo a disposizione la struttura di ricerca
avanzata». Con questo lavoro, dichiara il prorettore dell’Università di Milano, Maria Pio Abbracchio, viene
dimostrato che «esattamente come avviene per i farmaci, basse dosi di un singolo agente interferente»
possono interagire con altre sostanze, «inducendo effetti anche a dosaggi apparentemente non tossici». Lo
studio introduce inoltre «un metodo affidabile per la valutazione della complessità del rischio,
rivoluzionando il concetto di dose tossica minima per le singole sostanze chimiche».
Il test su 2.000 donne svedesi
Tra i 4mila interferenti endocrini che ci circondano, i ricercatori italiani e i colleghi di vari
Paesi europei ne hanno presi in considerazione 15, rilevati in quantità diverse nel sangue e
nelle urine di un gruppo di 2.000 donne in gravidanza svedesi. “Viste singolarmente, queste
sostanze rientrano tutte nei limiti di legge. Il problema è che nessuna norma prende in
considerazione il loro effetto combinato. E messi tutti insieme, gli interferenti endocrini
possono essere davvero pericolosi. Il nostro studio lo prova in modo solido” spiega Testa.
I veleni passati attraverso la placenta
Il primo rischio osservato riguarda i figli delle 1.800 donne svedesi. Il 10% di quelli nati dalle
mamme con i valori di interferenti endocrini più alti ha una probabilità 3,3 volte più alta di
soffrire di un problema dello sviluppo neurologico e del linguaggio, rispetto al 10% con i
valori più bassi. Il 54% dei neonati è entrato in contatto, attraverso la placenta della madre,
con concentrazioni pericolose. E i bambini più esposti a 30 mesi usavano meno di 50 parole,
un valore usato come indice di un ritardo significativo del linguaggio.
"Interferiscono con la produzione di ormoni"
I ricercatori di Milano sono poi andati avanti, testando il mix di sostanze su organoidi
cerebrali, parti di cervello in miniatura cresciute in laboratorio partendo dalle cellule
staminali. Le sostanze sotto accusa hanno mostrato di interferire con la produzione di vari
ormoni, fra cui quello della tiroide, influendo – nei bimbi in utero – sullo sviluppo del cervello,
fino a poter essere considerati una concausa del ritardo dello sviluppo cognitivo o
dell’autismo. “Sappiamo che questo disturbo, che oggi nelle sue varie forme riguarda un
nuovo nato su 70, ha una forte componente genetica” spiega Testa. “Negli esperimenti
abbiamo visto che gli interferenti endocrini influiscono anche sull’attività dei geni coinvolti
nella malattia. Sospettiamo che le cause ambientali si intreccino a quelle genetiche”.
E non c'è mascherina che tenga
Come difendersi? “E’ praticamente impossibile a livello individuale” spiega lo scienziato.
“Stiamo parlando di sostanze chimiche onnipresenti, dalle plastiche che contengono acqua
e cibo alle vernici delle nostre case e a diversi cosmetici. Nel caso degli interferenti
endocrini, è la battuta fatta da un mio collega, non c’è mascherina che tenga”. Dagli anni
’60 queste sostanze vengono testate una a una sugli animali per fissare i limiti di legge.
Questo approccio, dimostra oggi la ricerca di Science, non basta a proteggerci. “Ciò che
auspichiamo – spiega Testa – è che la nostra ricerca, finanziata proprio dalla Commissione
europea, venga letta con attenzione dai legislatori, dai produttori e dai cittadini disposti a
mobilitarsi. Noi abbiamo fatto la nostra parte, ora tocca agli altri attori della società fare la
loro”.
Il progetto Edc-MixRisk
L’Unione Europea ha finanziato il progetto Edc-MixRisk, coinvolgendo 15 istituti di ricerca e atenei del
vecchio continente: sette svedesi (tra i quali il Karolinska Institutet e l’Università di Stoccolma), il francese
Cnrs-Muséum d’histoire naturelle, l’Istituto finlandese per la salute e il benessere, l’Università di Lipsia
(Germania), l’Università capodistriana di Atene, l’Università di Edimburgo (Regno Unito) e, per l’Italia, tre
centri milanesi: Human Technopole (Ht), Istituto europeo di oncologia (Ieo) e Università degli studi. Al team
europeo si è unita anche la statunitense Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York.
Lo studio è stato condotto in tre fasi: la prima ha seguito 2.000 donne dall’inizio della
gravidanza all’età scolare dei bambini, identificando un mix di sostanze chimiche nel sangue
e nelle urine delle gestanti – ftalati, bisfenolo A (Bpa) e composti perfluorurati (Pfas) –,
associato a un ritardo nello sviluppo del linguaggio nei bimbi all’età di 30 mesi. In una
seconda fase sono stati scoperti i bersagli molecolari attraverso i quali questo mix alterava
i circuiti endocrini e dei geni coinvolti nell’autismo e nella disabilità intellettiva. Infine, i risultati
delle ricerche sperimentali sono stati utilizzati per sviluppare metodi di valutazione del
rischio specifici per il mix di sostanze. Grazie a queste nuove soglie di rischio, è emerso
come fino al 54% delle gestanti fosse state esposte a un aumentato pericolo di ritardo del
linguaggio nei nascituri. Per Giuseppe Testa, professore di biologia molecolare
all’università di Milano, direttore del centro di neurogenomica allo Human Technopole e
group leader nel dipartimento di Oncologia sperimentale allo Ieo, l’Istituto europeo di
oncologia, e tra i responsabili dello studio, «è ora improcastinabile un adeguamento
legislativo che rispecchi il nuovo quadro evidenziato per la prima volta in modo sistematico
dai nostri dati. La sua unicità sta inoltre nell’aver dimostrato la fattibilità e l’efficacia della
sinergia fra studi di popolazione e di laboratorio: un nuovo metodo che potrà essere
applicato ad altri temi di salute pubblica».
«Abbiamo integrato le evidenze epidemiologiche sul mix di interferenti endocrini con la comprensione dei
suoi meccanismi d’azione - evidenziano Nicolò Caporale e Cristina Cheroni, tra i primi autori dello studio -,
facendo luce su come agisce sul cervello umano e in che modo può creare danni. Pensiamo che uno dei
potenziali della nostra ricerca sia di inaugurare una nuova tossicologia a sostegno della politica ambientale
europea». Dal canto suo l’Ieo, per bocca del direttore scientifico Roberto Orecchia, si dice «orgoglioso di
aver contribuito a questo importantissimo studio, mettendo a disposizione la struttura di ricerca
avanzata». Con questo lavoro, dichiara il prorettore dell’Università di Milano, Maria Pio Abbracchio, viene
dimostrato che «esattamente come avviene per i farmaci, basse dosi di un singolo agente interferente»
possono interagire con altre sostanze, «inducendo effetti anche a dosaggi apparentemente non tossici». Lo
studio introduce inoltre «un metodo affidabile per la valutazione della complessità del rischio,
rivoluzionando il concetto di dose tossica minima per le singole sostanze chimiche».
Il test su 2.000 donne svedesi
Tra i 4mila interferenti endocrini che ci circondano, i ricercatori italiani e i colleghi di vari
Paesi europei ne hanno presi in considerazione 15, rilevati in quantità diverse nel sangue e
nelle urine di un gruppo di 2.000 donne in gravidanza svedesi. “Viste singolarmente, queste
sostanze rientrano tutte nei limiti di legge. Il problema è che nessuna norma prende in
considerazione il loro effetto combinato. E messi tutti insieme, gli interferenti endocrini
possono essere davvero pericolosi. Il nostro studio lo prova in modo solido” spiega Testa.
I veleni passati attraverso la placenta
Il primo rischio osservato riguarda i figli delle 1.800 donne svedesi. Il 10% di quelli nati dalle
mamme con i valori di interferenti endocrini più alti ha una probabilità 3,3 volte più alta di
soffrire di un problema dello sviluppo neurologico e del linguaggio, rispetto al 10% con i
valori più bassi. Il 54% dei neonati è entrato in contatto, attraverso la placenta della madre,
con concentrazioni pericolose. E i bambini più esposti a 30 mesi usavano meno di 50 parole,
un valore usato come indice di un ritardo significativo del linguaggio.
"Interferiscono con la produzione di ormoni"
I ricercatori di Milano sono poi andati avanti, testando il mix di sostanze su organoidi
cerebrali, parti di cervello in miniatura cresciute in laboratorio partendo dalle cellule
staminali. Le sostanze sotto accusa hanno mostrato di interferire con la produzione di vari
ormoni, fra cui quello della tiroide, influendo – nei bimbi in utero – sullo sviluppo del cervello,
fino a poter essere considerati una concausa del ritardo dello sviluppo cognitivo o
dell’autismo. “Sappiamo che questo disturbo, che oggi nelle sue varie forme riguarda un
nuovo nato su 70, ha una forte componente genetica” spiega Testa. “Negli esperimenti
abbiamo visto che gli interferenti endocrini influiscono anche sull’attività dei geni coinvolti
nella malattia. Sospettiamo che le cause ambientali si intreccino a quelle genetiche”.
E non c'è mascherina che tenga
Come difendersi? “E’ praticamente impossibile a livello individuale” spiega lo scienziato.
“Stiamo parlando di sostanze chimiche onnipresenti, dalle plastiche che contengono acqua
e cibo alle vernici delle nostre case e a diversi cosmetici. Nel caso degli interferenti
endocrini, è la battuta fatta da un mio collega, non c’è mascherina che tenga”. Dagli anni
’60 queste sostanze vengono testate una a una sugli animali per fissare i limiti di legge.
Questo approccio, dimostra oggi la ricerca di Science, non basta a proteggerci. “Ciò che
auspichiamo – spiega Testa – è che la nostra ricerca, finanziata proprio dalla Commissione
europea, venga letta con attenzione dai legislatori, dai produttori e dai cittadini disposti a
mobilitarsi. Noi abbiamo fatto la nostra parte, ora tocca agli altri attori della società fare la
loro”.