REPORT 2023

REPORT 2023, updated 6/23/23, 7:02 AM

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About Rete Ambientalista Al

Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza

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Report della delegazione in Iraq
dal 19 al 31 maggio
Tra le vittime
di una
persecuzione
senza
tempo
ASSOCIAZIONE
“VERSO IL KURDISTAN”
Odv
Verso Shengal
Siamo arrivati in aeroporto a Bagdhad alle 3
e mezza del mattino del 20 maggio. In auto,
abbiamo percorso cinquecentocinquanta
chilometri, da Bagdhad fino a Shengal,
attraverso una sterminata periferia di case
in costruzione, di case abbandonate e in
rovina, baracche in lamiera di frutta e
verdura, box di pneumatici, cresciuti in
mezzo a sterpaglie, cumuli di terra e detriti,
sommersi da un vento forte che sollevava
nubi di polvere a mo’ di tempesta di sabbia.
La strada era costellata da ceck – point
delle varie milizie - peshmerga, milizie
del governo centrale, turcomanne, iraniane
- che controllavano le varie fasce del
territorio.
Siamo finalmente arrivati a Khamasur, al
centro d’accoglienza per gli ospiti, gestito
dall’Autonomia di Shengal.
Domani è un altro giorno e iniziamo le
nostre attività e gli incontri nella piana di
Ninive, la terra degli ezidi.
Oggi, abbiamo appreso che il Campo
rifugiati di Makhmour è stato circondato
dall’esercito iracheno che pretende di
isolarlo, recintandolo!
Le donne e gli uomini sono usciti dal
Campo, opponendosi e formando una
barriera. C’è pure un ferito negli scontri che
è stato trasportato all’ospedale del Campo
I componenti la delegazione:
Antonio Olivieri
co-presidente
Associazione Verso il Kurdistan Odv
Lucia Giusti
co-presidente
Associazione Verso il Kurdistan Odv
Paolo Zammori
insegnante ricercatore
Franco Zavatti
sindacalista Cgil Modena
Mirca Garuti
attivista Modena
Alfonso Augugliaro
medico Messina
Gianni Caruso
medico Torino
Francesco Bellosi
responsabile della Comunità Il Gabbiano
Carla Gagliardini
attivista Casale Monferrato
Giorgio Barbarini
medico Pavia
DAVANTI ALL’ENTRATA DEL NOSTRO OSPEDALE DI SERDEST
Il Campo rifugiati di
Makhmour sotto attacco
L’esercito iracheno, accompagnato
dalla polizia in tenuta antisommossa,
si è presentato al Campo di Makhmour
con blindati e ruspe, con l’intenzione di
recintarlo con una rete metallica.
Migliaia di residenti, già sottoposti ad
embargo totale imposto dal governo
regionale del Kurdistan iracheno,
quello controllato dal clan Barzani, non
sopportano l’idea di essere rinchiusi in
massa. E, oltretutto, verrebbero privati del
diritto all’autodifesa.
La popolazione di Makhmour, composta
soprattutto da donne, bambini e persone
anziane, ha opposto una pacifica resistenza,
ma, ad un certo punto, le truppe irachene
hanno cominciato a sparare sulla folla. La
gente ha resistito, mentre i rappresentanti
dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite
per i Rifugiati continuano a tacere.
Il Consiglio Esecutivo del Congresso
Nazionale del Kurdistan (KNC) ha diffuso
un appello, rimasto sinora senza risposta.
Dal Campo rifugiati di Makhmour giunge
ora notizia di due ragazzi feriti, ma, a causa
dell’embargo che dura ininterrottamente
dal 17 luglio 2019, i feriti non possono
essere trasferiti all’ospedale di Erbil. Si
cerca di curarli nell’ambulatorio attrezzato
(realizzato grazie le donazioni dei cittadini
italiani giunte tramite l’Associazione Verso
il Kurdistan).
L’incontro con il Consiglio
dell’Autonomia di Shengal
Ci rechiamo a Sinjar City dove incontriamo
il Consiglio dell’Autonomia presieduto da
un uomo e da una donna, un co-presidente e
una co-presidente.
“Nel 2014, con l’invasione dell’ISIS – ci
dicono – abbiamo costituito le nostre unità
di resistenza e abbiamo, di fatto, istituito
l’autonomia amministrativa che si fonda
sull’articolo 125 della Costituzione. Per
quanto il governo centrale iracheno e il
governo del Kurdistan del nord di Barzani
cerchino di ostacolarla, cercheremo di
difenderla in ogni modo. Le risorse per il
funzionamento dell’autonomia provengono
solo dalle nostre risorse e dalle rimesse dei
nostri concittadini all’estero.”
Al termine dell’incontro, i rappresentanti
L'INCONTRO CON IL MOVIMENTO DELLE DONNE TAJE
del Consiglio avanzano un’unica richiesta:
il riconoscimento del genocidio dell’ISIS
avvenuto nel 2014 da parte del governo
italiano.
Incontro con il Centro
per la Salute della città di
Khamasur
Nel corso dell’incontro che abbiamo avuto
con il Centro per la Salute della cittadina
di Khamasur, abbiamo discusso di tre
progetti in corso nella provincia di Shengal.
Uno, finanziato direttamente con i fondi
raccolti dalla nostra associazione e con un
contributo dell’associazione Fonti di Pace
di Milano, riguarda la ristrutturazione e
l’ampliamento del presidio sanitario nel
villaggio di Serdest.
Il secondo è un progetto di clinica mobile
a cura di Mezzaluna Rossa Kurda che ci ha
incaricato della consegna di 15 mila euro.
Il terzo è il progetto dell’Arci di Firenze,
finanziato con il contributo della Chiesa
Valdese, per l’apertura di un altro presidio
sanitario in zona.
Nel pomeriggio, abbiamo raggiunto il
villaggio di Serdest, dove è stato realizzato
il centro sanitario che abbiamo finanziato.
In questa comunità, ci sono persone che
vivono in case, nelle tende e persone che
non hanno né casa, né tenda. Molte di
queste arrivano da fuori, perché hanno
avuto le case distrutte dall’Isis nel 2014.
In serata, ci è stato comunicato che
l’intelligence irachena ci chiedeva di
venir ripresi da un video, su richiesta
dell’ambasciata italiana di Baghdad.
C’è stata un po’ di confusione, abbiamo
contattato il Ministero degli Esteri
italiano, e, dopo qualche ora, abbiamo
ricevuto una telefonata da un funzionario
dell’Ambasciata italiana di Baghdad che
ci ha detto che l’Ambasciata non era al
corrente della nostra presenza in zona!
Il giorno successivo, ci arriva l’ordine
di espulsione per l’intera delegazione.
Ci mettiamo in macchina per dirigerci
verso Baghdad con l’intento di recarci
direttamente all’Ambasciata italiana per
avere una risposta ufficiale in merito.
Poi, la situazione si chiarisce. Dopo
circa un centinaio di chilometri, veniamo
richiamati indietro e ci viene garantita la
possibilità di restare fino al completamento
del programma di nostri incontri. Questa
avviene grazie all’impegno del Pade,
CIMITERO DEI MARTIRI
il partito filokurdo ezida, che si è fatto
carico della tutela della nostra ospitalità e
sicurezza a Khamasur.
Il Centro sanitario di
Serdest
Ecco il Centro sanitario (nella foto) che,
come associazione Verso il Kurdistan,
grazie anche al contributo di Fonti di Pace,
abbiamo realizzato nel villaggio di Serdest,
a Shengal, nord Iraq. Verrà inaugurato nelle
prossime settimane.
Oggi, droni turchi hanno bombardato il
villaggio di Xelef, vicino a Shengal.
Ci comunicano che, oggi, per la prima volta
dopo undici anni, funzionari delle Nazioni
Unite hanno visitato il Campo rifugiati di
Makhmour.
Il cimitero dei martiri
“Shahid Lak”
Visitare il cimitero dei martiri “Shahid
Lak” è un passaggio necessario se si
vuole essere catapultati nella realtà della
popolazione ezida di Shengal. Camminando
tra le tombe di questo luogo, costruito tra
le bellissime montagne di questa zona, si
coglie immediatamente che questa follia,
che produce morte tra la popolazione ezida,
sta mietendo vittime tra le/i combattenti
appartenenti alla generazione dei nati negli
anni ’90. Il nostro interprete ci segnala
due tombe, una vicina all’altra. Ci tiene
a raccontarci quella storia perché lui
conosceva bene uno dei due combattenti e
lo stimava. Aveva ventinove anni quando
è stato ucciso da un drone lanciato dal
governo turco. Vicino a lui, nell’altra
tomba, giace suo fratello, ucciso dallo
stesso drone. Aveva diciannove anni. Due
figli strappati ai loro genitori.
Incontro con il Taje e con
Yazidi Women’s Support
Association
Incontriamo il Movimento per la Libertà
delle donne ezide, “Taje”, movimento
costituito dopo il massacro dell’Isis per dare
dignità e speranza all’indomani del dramma
subito.
Taje lavora per far comprendere a
tutta la comunità i valori della libertà e
della democrazia, che sono i valori del
confederalismo democratico.
In questo nostro incontro nella loro sede
IL CENTRO SANITARIO CHE ABBIAMO REALIZZATO A SERDEST
di Sinjar, rimarcano il desiderio che la loro
voce possa arrivare al mondo intero.
Ricordano, infatti, che durante l’invasione
dell’Isis, i soldati iracheni e i peshmerga
di Barzani, che si erano assunti il compito
di proteggerli, sono fuggiti davanti
all’invasore, lasciandoli soli. Per questo
non si fidano più di nessuno. Sono stati
abbandonati a loro stessi e la parte più
colpita è stata quella delle donne.
Fino al 2014, la vita delle donne dipendeva
dagli uomini, ma dopo essere state rapite,
vendute e stuprate dall’Isis, hanno deciso di
imbracciare le armi per difendersi ed hanno
liberato le donne prigioniere.
E’ la conseguenza della follia della guerra e
delle sue atrocità.
Il genocidio continua perché viene impedito
loro di tornare a Shengal e vivono tuttora in
tende nei campi profughi. Dal 2014, circa
il 70% della popolazione è fuggita, molti
non sono tornati, vittime di una strategia
da parte, da un lato, del governo turco e
dall’altro, del governo regionale del clan
Barzani.
Al dramma delle donne rapite e violate, si
unisce il dramma dei bambini nati da questa
violenza, bambini senza colpa, ma con un
destino già segnato, in quanto non vengono
accettati dalla comunità.
Nel pomeriggio, incontriamo l’associazione
di supporto delle donne ezide. Si chiama
“Yazidi women’s support association”.
Dispongono di un’accademia, di una scuola
per ragazze dove s’insegna a leggere e a
scrivere e di una scuola di sartoria.
Sono in costante contatto e si coordinano
con l’associazione Taje.
L’incontro con le YBS/YJS
Il nostro programma termina con l’incontro
con le unità di difesa ezida (YBS/YJS),
maschili e femminili.
Sono presenti un uomo e una donna che ci
parlano dell’odierna situazione.
“Se vuoi proteggere la tua comunità - così
inizia il rappresentante delle YBS – lo devi
fare in prima persona. Così è nata lo voglia
di formare un’unità di difesa al posto di
quelli che ci hanno abbandonati e traditi”.
Le migliaia di persone che compongono le
due unità di difesa sono tutti volontari ed
hanno medesimi obiettivi, la stessa cultura e
la stessa lingua.
DISTRUZIONE AD OPERA DELL’ISIS E DEI BOMBARDAMENTI DELLA COALIZIONE DI SINJAR CITY
Incontro con il Pade
(Partiya Azadi’ u
Demugratiya Ezidya)
Incontriamo alcuni membri del Pade,
il partito ezida della libertà e della
democrazia, nella loro sede di Sinun, a
Shengal.
Tiene l’incontro Selemanhji, un
responsabile del partito.
Il partito è nato nel 2016, dopo il genocidio,
causato dall’abbandono di 25 mila milizie
irachene e 15 mila peshmerga allora
presenti e che avrebbero dovuto difendere i
civili dagli attacchi dell’ISIS ai villaggi.
Il Pade risponde alle necessità della
popolazione con l’obiettivo di fornire
i servizi essenziali (come strade, linee
elettriche, ecc) e diffondere la democrazia a
livello di base.
Prima del genocidio, la popolazione di
Shengal era composta da 500 mila persone,
ma, subito dopo, 100 mila sono fuggite in
Europa, 350 mila si sono rifugiate nei campi
profughi del Kurdistan del nord e 5 mila
sono rimaste in montagna.
Sono sei anni che si sono liberati dall’ISIS,
ma la gente che si trova ancora nei campi
profughi, difficilmente riesce a tornare
perché spesso bombardano i campi profughi
per spaventarli e scoraggiarli a fare ritorno.
L’obiettivo è quello di dividere e disperdere
la comunità.
Le persone massacrate dall’ISIS sono state
circa 5 mila tra uomini, donne e bambini,
mentre le donne rapite sono state tra le 6.500
e 7.000. I profughi sono stati 350 mila
Gli attuali abitanti in questa parte del
Monte Shengal, catena montuosa lunga un
centinaio di chilometri che divide a metà il
nord e il sud, sono 130 mila, mentre dall’altra
parte della montagna sono 230/250 mila.
Quindi, devono ancora rientrare circa
100/120 mila persone.
La questione femminile è molto importante
per il partito, dove le donne rappresentano
il 25% del totale dei militanti. Il loro
programma, prima di tutto, vuole garantire
lo studio e la libertà per le donne.
La realizzazione dell’autonomia non ha
ancora raggiunto il 100%, attualmente
è intorno all’80% e le questioni tuttora
aperte sono sia economiche che politiche.
La causa è dovuta al fatto che gli articoli
della Costituzione irachena riguardanti
l’autonomia non sono ancora del tutto
rispettati. Anche l’accordo del 9 ottobre
TENDE DI EZIDI CHE STANNO TORNANDO IL CIMITERO DEI MARTIRI

2020, riguardante la regione, siglato tra
il governo regionale e quello centrale
iracheno, in coordinamento con le Nazioni
Unite, senza però alcun coinvolgimento
dell’Autonomia di Shengal, , ostacola la
realizzazione del programma e il rientro
della popolazione.
Il gruppo dirigente del partito Pade è
formato da 101 persone votate in ogni
villaggio. Dal momento che sono totalmente
contrari al sistema capitalista, si mette
in pratica il sistema circolare di Ocalan,
attraverso il principio dell’uguaglianza
all’interno delle varie istituzioni. La gente
decide e il partito fa.
Anche il Pade richiede che l’Italia
riconosca il genocidio del 2014.
Sinjar vecchia
Le rovine della vecchia Sinjar non sono il
frutto del trascorrere del tempo, ma l’effetto
della devastazione operata dall’ISIS che nel
2014 è entrato nella regione di Shengal e
che nel 2015 ha raso al suolo questa città.
La zona continua ad essere presidiata dalle
forze di autodifesa e la loro presenza, che
peraltro è ovunque nel Paese, unita al
cumulo di macerie, dà la sensazione di una
guerra che continua.
L’ISIS è stato fortemente sconfitto grazie
al coraggio della popolazione ezida e
delle loro unità di resistenza maschili
e femminili, ma la popolazione ora è
sotto l’attacco continuo dei droni turchi,
che, entrando nel territorio da un altro
stato, quello turco, quasi giornalmente
bombardano i loro villaggi.
Un’espulsione di fatto
A venti chilometri dal Campo di Makhmour,
siamo stati bloccati dalla milizia irachena,
ci hanno sequestrato i passaporti, poi ce li
hanno restituiti dopo averci accompagnato
a Mosul, intimandoci di raggiungere
Baghdad per imbarcarci sul primo volo per
l’Italia. Una espulsione di fatto alla quale ci
siamo opposti con forza.
Abbiamo incontrato l’ambasciatore italiano
nella hall dell’albergo alle tre del mattino
e per l’indomani abbiamo manifestato
l’intenzione di incontrare l’UNHCR. Senza
risultato.
L’UNHCR non ha una sede visibile
in Baghdad, né tantomeno un numero
telefonico, solo un indirizzo mail al quale ci
siamo rivolti. Inutilmente.
I compagni di Makhmour sono stati gentili,
ci hanno accompagnato fino a Baghdad
con lunghe fermate ai posti di blocco e
con l’obbligo, imposto dall’intellingence
irachena, di segnalare la nostra posizione
ogni tre ore inviando una foto collettiva.
Nei giorni seguenti, ci hanno tenuti
costantemente informati sull’evoluzione
della situazione, fino all’accordo raggiunto
con le autorità irachene per il ritiro dei
militari che assediavano il Campo di
Makhmour.
l'intera delegazione con i responsabili del Campo di Makhmour