About Rete Ambientalista Al
Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza
I “Forever chemicals” tra salute pubblica, lobbies e industria bellica.
Speciale PFAS.
Speciale PFAS 1. I forever chemicals.
Cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente indistruttibili. I PFAS sono
denominati “forever chemicals”, inquinanti eterni, perché non si degradano nel tempo ma
restano indistruttibili. Si disperdono in natura e hanno invaso ogni angolo del globo:
dalle vette remote più incontaminate fino ai poli, dagli animali marini come i cetacei a
ecosistemi lontani dalle attività dell’uomo, dalla pioggia fino all’acqua di rubinetto delle
nostre case.
Milioni di persone sono esposte ai Pfas attraverso gli alimenti, l’acqua potabile, l’aria,
una infinità di prodotti di consumo, materiali presenti nelle nostre case e nei luoghi di
lavoro, che, grazie ai Pfas, diventano stabili, resistenti alle alte temperature, idrorepellenti,
ignifughi. Nei decenni, hanno trovato impiego in una vasta gamma di applicazioni
industriali e prodotti di largo consumo: imballaggi alimentari, padelle antiaderenti, filo
interdentale, carta da forno, farmaci, dispositivi medici, cosmetici; capi di abbigliamento,
prodotti tessili e di arredamento, capi in pelle; nell’industria galvanica (in particolare
cromatura), scioline, cosmetici, gas refrigeranti, nell’industria elettronica e dei
semiconduttori, nell’attività estrattiva dei combustibili fossili, in alcune applicazioni
dell’industria della gomma e della plastica, nelle cartiere, nei lubrificanti, nei trattamenti
anticorrosione, nelle vernici, in prodotti per l’igiene e la pulizia e nelle schiume antincendio.
Nel corpo umano queste sostanze sono state trovate nel sangue, nelle urine,
nella placenta, nel cordone ombelicale e persino nel latte materno. L’esposizione ai Pfas
è stata associata a una serie di effetti tossici e cancerogeni sulla salute. Problemi
alla tiroide, danni al fegato e al sistema immunitario, riduzione del peso alla nascita dei
neonati, obesità, diabete, elevati livelli di colesterolo e riduzione della risposta
immunitaria ai vaccini, diabete gestazionale, impatto negativo sulla fertilità, oltre che
alcune forme tumorali come il cancro al rene e ai testicoli. Di recente, l’Agenzia
Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità ha completato le valutazioni circa la cancerogenicità di due molecole appartenenti
al gruppo dei Pfas, classificando il Pfoa come “cancerogeno per l’uomo” (Gruppo 1) e il
Pfos come “possibile cancerogeno per l’uomo” (Gruppo 2B). Le altre molecole restano
“sospette”.
Speciale Pfas 2. Una legge per la messa al bando in Italia.
Manca una legge per la messa al bando dei Pfas in Italia. Benchè nella passata legislatura
fosse stato presentato, con la nostra collaborazione, un Disegno di Legge dall’ex senatore
Mattia Crucioli, che detta “Norme relative alla cessazione della produzione e
dell’impiego delle sostanze poli e perfluoroalchiliche (PFAS)”.
Insomma li mette al bando in Italia. Vieta la lavorazione, l’uso, la commercializzazione, il
trattamento e lo smaltimento, nel territorio nazionale, delle sostanze poli e
perfluoroalchiliche (PFAS) e dei prodotti che le contengono, e detta norme per la loro
dismissione dalla produzione e dal commercio, per la cessazione dell’importazione,
dell’esportazione e dell’utilizzazione dei PFAS e dei prodotti che li contengono, per la
realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate
dall’inquinamento da PFAS, per la ricerca finalizzata alla individuazione di materiali
sostitutivi, alla riconversione produttiva e per il controllo sull’inquinamento da PFAS.
Insomma assume le istanze di tutti i Movimenti, Associazioni e Comitati, che da anni si
battono per eliminare questi cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente
indistruttibili, dalle acque, dall’aria, dagli alimenti, insomma dal sangue dei lavoratori e dei
cittadini altrimenti ammalati e uccisi.
Il Disegno di Legge giace sepolto dalla complicità della politica con la lobby industriale.
Speciale Pfas 3. Il manifesto per la messa al bando dei Pfas.
Stante il vuoto legislativo, clicca qui il Manifesto per l’urgente messa al bando dei PFAS,
“sostanze chimiche per sempre” sottoscritto da 122 gruppi della società civile europea e
non solo.
Speciale Pfas 4. Veneto: risoluzione per la messa al bando dei
Pfas.
Il Consiglio regionale del Veneto ha approvato all’unanimità la risoluzione con la quale
l’assemblea legislativa esprime adesione al “Manifesto BanPFAS”per l’urgente messa al
bando dei Pfas.
Speciale Pfas 5. Lombardia: adesione al “Manifesto
BanPFAS”.
I consiglieri lombardi del M5S, nell’audizione in commissione Ambiente sulla presenza di
PFAS in acque e terreni della Lombardia, hanno manifestato la richiesta di adesione al
“Manifesto BanPFAS” manifesto europeo #BanPfas “Chiederemo che la nostra Regione resti
al passo con altri Paesi europei quali: Germania, Danimarca, Olanda, Svezia e Norvegia. In
Lombardia, così come nel resto d’Italia, i PFAS non vengono più prodotti se non in rari casi, ma
sono presenti in una moltitudine di cicli produttivi. L’OCSE ha reso noto che le alternative, meno
dannose per la salute, esistono. Motivo per cui chiederemo alla Giunta di attivarsi presso il
Governo sia per la messa al bando dei PFAS, sia che per la promozione e il sostegno a filiere
produttive alternative”.
Speciale Pfas 6. Emilia Romagna: interrogazione per stop
Pfas.
La consigliera dei Verdi in Regione, Silvia Zamboni, presenta interrogazione alla giunta
Bonaccini: Secondo l’inchiesta giornalistica coordinata dal quotidiano Le Monde anche nella
nostra regione sono presenti alcuni siti contaminati e tantissimi siti potenzialmente contaminati.
Inoltre, non sfugge il dato di realtà che l’Emilia-Romagna confina tramite il corso del Po con
Piemonte, Lombardia e Veneto, tre regioni ad altissimo grado di inquinamento da PFAS, sostanze
molto presenti nei corpi idrici”. Urgente avviare delle contromisure: un programma di
sorveglianza sanitaria della popolazione ubicata nelle zone a rischio mediante l’adozione
di un piano ad hoc per la prevenzione, diagnosi precoce e presa in carico delle patologie
cronico-degenerative potenzialmente associate ai PFAS.
Speciale Pfas 7. Valsusa, petizione per la messa al bando
PFAS.
Da Val di Susa e Piemonte avviata sulla piattaforma Change.org la petizione pubblica al
link https://www.change.org/messa_al_bando_PFAS per la messa al bando totale dell’uso
e della produzione dei Pfas: non devono più essere prodotte, non devono più essere
contenute nell’acqua che beviamo come in nessun prodotto di consumo sia civile che
industriale, non devono essere più smaltite e sversate in qualunque luogo oppure
discarica. Successivamente si promuoverà una proposta di legge di iniziativa popolare
per la messa al bando totale dei pfas per l’Italia da presentare alla Camera dei deputati,
con una campagna di raccolta firme che segua l’iter ufficiale.
Speciale Pfas 8. Bando ai Pfas: Solvay risponde picche.
Se disegni di legge, regioni, comitati, associazioni da tutta Italia chiedono la messa al
bando dei tossici e cancerogeni PFAS (il C6O4, il “nuovo amianto”), la risposta di Solvay,
unico produttore nazionale, è un NO secco e categorico, una sfida aperta. La posizione
ufficiale del colosso belga è stata ribadita da Stefano Calosio nella sede istituzionale più
significativa: la “Commissione Sicurezza e Ambiente” del Comune di Alessandria, per
il quale sobborgo -Spinetta Marengo- il sindaco, malgrado gli competa il dovere di
massima autorità sanitaria locale, si ostina a non emettere ordinanza di fermata delle
produzioni dello stabilimento, spalleggiato dalla complice Regione Piemonte, che a sua
volta evita i monitoraggi del sangue alla popolazione per oscurare le innumerevoli indagini
epidemiologiche e le altrettanto inesorabili indagini ambientali dell’Arpa.
Ilham Kadri, presidente di Solvay (Syensqo), per bocca del direttore del polo chimico,
Stefano Colosio, non ha lasciato margini di dubbio: non sarà immediatamente fermato il
cC6O4 né nella unità di ricerca di Bollate né nella unità di produzione appunto di Spinetta
Marengo. Il tono del rifiuto è stato addirittura sprezzante: “Abbandonare un coadiuvante di
polimerizzazione sarebbe come chiedere a un cuoco di fare fritture senza olio, di usare friggitrici
ad aria”, così come a rimarcare la perentorietà delle proprie decisioni.
Decisioni che Solvay motiva con aria di sfida agli scienziati di fama
internazionale. “Innanzitutto il C6O4 è ampiamente meno nocivo del suo predecessore: il
Pfoa.” D’altronde questa sfida per il Pfoa era durata 50 anni: per mezzo secolo Solvay & C.
immediatamente sospettarono e poi in corso d’opera accertarono che era cancerogeno, ma
noncuranti uccisero ambiente, lavoratori e cittadini, e fino all’ultimo negarono, finchè il Pfoa è
stato messo al bando nel mondo. Nel frattempo, Solvay non è stata in inerte attesa della
inevitabile dipartita del miliardario Pfoa, ma ha sperimentato di nascosto e poi brevettato il
suo sostituto, il C6O4, che come tutti i PFAS passati presenti e futuri è tossico e
cancerogeno.
Abbiate voi la pazienza, ha detto Kadri/Calosio, di aspettare che la tragica evidenza della
catastrofica catena ecosanitaria convinca di mettere al bando l’ancor più
miliardario C6O4; intanto il nostro “cuoco” studia come sostituirlo con un Pfas ancora “meno
nocivo”; eliminarli no: non fa business nelle nostre “fritture” sostituire il
nostro “olio” con “friggitrici ad aria”. Anche per il C6O4, perciò, ancora qualche anno di
pazienza, anzi, ad essere franchi “Abbiamo deciso di dismetterlo perché è avverso all’opinione
pubblica, non perché rappresenti dal punto di vista ambientale una vera minaccia”. Ho detto
tutto: “meno nocivo”.
Dunque, noi dovremmo aspettare che queste sostanze, tossiche e cancerogene,
ribattezzate “forever chemicals”, per sempre si accumulino indistruttibili nell’ambiente e nel
sangue, come è avvenuto e sta avvenendo ad Alessandria per PFOA, ADV e C6O4?
Anche su questo aspetto, Kadri/Calosio ha invitato a non esagerare. Dopo Montedison, è
pur vero che il Pfoa per venti anni Solvay l’ha buttato in aria-acqua-suolo e che ancora
oggi l’Arpa (con ADV e C6O4) lo misura -dai camini della fabbrica alle falde- dappertutto in
tutta la provincia, ma Kadri/Calosio invita a pazientare: “La messa in sicurezza operativa, che
riprende l’acqua della falda e la depura, è tuttora un mezzo per purificare il terreno, è chiaro che ci
impiegherà un po’ di tempo ma per il momento è l’unica tecnologia che abbiamo a disposizione.
Analogamente per i nuovi Pfas ADV C6O4 che continuiamo a produrre.”
E Solvay imperterrita continua a produrre (anche) ADV e C6O4 da un quarto di secolo, e non
accetta bandi per il futuro. Kadri/Calosio si è mostrato del tutto indifferente alle migliaia di
Vittime di questo inquinamento, malati e morti, tra lavoratori e cittadini. Anzi, riferendosi proprio
ai soggetti più a rischio, cioè ai lavoratori, Kadri/Calosio ha rassicurato la “Commissione Sicurezza
e Ambiente”: “Nel biomonitoraggio (privato n.d.r.) dei nostri dipendenti che fino al 2013 hanno
utilizzato il Pfoa, abbiamo osservato che la sua concentrazione nel sangue impiega 4 anni a
dimezzarsi”. La Commissione, sbeffeggiata, non ha replicato.
Ci permettiamo di fare un nostro commento all’abnormità: di questi dipendenti, che
fino al 2013 avrebbero utilizzato (per 5-10-20 anni?) il killer Pfoa senza subire
gravissimi danni a tiroide, pancreas, diabete, colesterolo, leucemie, tumori eccetera,
e avrebbero dal 2013 aggiunto nel sangue i “poco nocivi” ADV e C6O4: tranquillizzati
da direttori come Colosio proprio per quanto riguarda il vecchio Pfoa: il loro
fardello di veleno dopo 4 anni non sarebbe scomparso ma si sarebbe dimezzato, e
dopo altri 4 anni la concentrazione si sarebbe ridotta ad un quarto, e via via finchè
in 28 anni (nel 2041) il Pfoa si sarebbe ridotto nel sangue quasi a zero, mentre a sua
volta il “poco nocivo” C6O4 si dimezzerebbe… ancora più in fretta. Tutto questo
“virtuoso” ciclo lavorativo: senza danni ai lavoratori (e ai cittadini) che pesino sulla
coscienza di Kadri/Calosio.
Che si sente men che mai responsabile della omessa bonifica sanzionata dalla
Cassazione: non si tratta di mancati investimenti per lucrare profitti, bensì di mere difficoltà
tecniche: “Non per tutti gli inquinanti nel sottosuolo di Spinetta c’è una tecnologia evidente,
chiara e pratica per arrivare a una bonifica completa del terreno: la barriera idraulica ha un
effetto positivo ma non ancora risolutivo sull’inquinamento del sottosuolo”. Insomma, ci
vogliono altre decine e decine di anni, portate pazienza: “La nostra ricerca è ancora al lavoro per
trovare delle soluzioni per limitare l’impatto ambientale”, sapendo che non potrà essere mai
“impatto zero”: né per l’inquinamento storico della ventina di tossici e cancerogeni né per
l’attuale -ancora più preoccupante- della ventina di tossici e cancerogeni che “ci sfuggono” in
suolo aria acqua, dei quali i Pfas sono solo la punta dell’iceberg.
Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro.
Speciale Pfas 9. Il nuovo processo è stato inventato dai PM:
senza alcun fondamento di reati.
Gli storici avvocati di Solvay, Luca Santa Maria e Dario Bolognesi, sono intervenuti di
peso nel dibattito pubblico e anche con una nota depositata alla Procura di Alessandria,
titolare del (secondo) processo che la multinazionale belga sta tentando di rinviare con
espedienti e cavilli processuali, e prima di ripetere la criminalizzazione del PM (come nel
primo processo).
Se il contenuto vuole essere intimidatorio, il tono è apodittico: affermazioni dogmatiche,
che vorrebbero essere verità assolute, inconfutabili, mentre appaiono senza sostegno di
prove. Affermazioni palesemente infondate, ovvero bugiarde:
La Cassazione ha assolto Solvay per il disastro ambientale: causato invece da Ausimont-
Edison, peraltro venditrice truffaldina a celarlo.
L’incolpevole Solvay si è generosamente fatta carico di Messa in Sicurezza Operativa e
Interventi di Bonifica, ovvero la barriera idraulica.
Così, grazie a Solvay, è indubbio un significativo miglioramento dello stato qualitativo dei
suoli e delle acque sotterranee, sia all’interno che all’esterno del sito.
Per prima, la Cassazione aveva già confermato che l’acqua di Alessandria è sempre
stata potabile.
Anche per quanto riguarda l’aria, le analisi confermano che i PFAS nell’aria sono
inferiori ai limiti di rilevabilità.
Insomma, non sono quindi assolutamente ipotizzabili rischi per la salute pubblica.
Speciale Pfas 10. Pfas a Tortona, roba da Chiodi.
“Tonnellate di Pfas C6O4 nel deposito clandestino di Solvay a Tortona”: avevamo titolato
in un nostro servizio del 2020, vedi anche la cartina. Ma la denuncia, ripresa anche da
altri giornali, era stata sommersa dall’omertà delle amministrazioni alessandrine e
regionali. Ora, dall’indagine di Greenpeace riemerge Tortona quale località con la
presenza di consistenti concentrazioni di PFAS. Però nessuno ha finora messo in
relazione le due notizie. Riavvolgiamo il nastro.
Aumentando la produzione di C6O4, Solvay per lo stoccaggio dei serbatoi affitta un
magazzino esterno allo stabilimento di Spinetta Marengo, precisamente a Torre
Garofoli nei capannoni della ditta Arcese Trasporti. Solvay non ha alcuna
autorizzazione per trasferire fuori dai cancelli, avanti e indietro, un prodotto intermedio,
non destinato alle vendite, pericoloso anche nella fase di trasporto per le variazioni di
temperatura. Anzi, Solvay non aveva ancora neppure l’AIA autorizzazione
all’ampliamento della produzione stessa. Così come non aveva neppure
l’autorizzazione a sperimentare il C604: come denunciammo in Procura nel 2009. In
altre parole, è da venti anni che Solvay non viene fermata dalla Provincia.
Orbene, Provincia, Arpa, Vigili del fuoco sapranno, ora, dirci quante tonnellate di
C6O4 sono state stoccate nel deposito? per quanto tempo? custodito da chi? in quali
condizioni di sicurezza? se il deposito è estraneo ovvero l’inquinamento proviene
direttamente dal sito di Spinetta Marengo? Magari a queste domande risponderà Federico
Chiodi che si ripresenta candidato sindaco nella coalizione di Forza Italia, Lega Salvini,
Nuova Tortona, Fratelli d’Italia.
Speciale Pfas 11. Provincia di Alessandria, vittima sacrificale
di Solvay.
Spinetta Marengo, dove sorge lo stabilimento della Solvay, è appena un sobborgo di
Alessandria, dunque il capoluogo è direttamente interessato dall’inquinamento terra-aria-
acqua di 21 sostanze tossiche e cancerogene: si pensi alle porte della città lo scarico in
Bormida (e dal Tanaro al Po fino all’Adriatico), si pensino i pozzi nel territorio chiusi con
ordinanza municipale, si pensi, nei campioni d’aria prelevati da Arpa, la presenza dei
pfas sia C6O4 che ADV (inoltre il PFOA) sia verso nord che verso sud rispetto al polo
chimico.
Con il Comune di Alessandria, anche la salute della popolazione della Provincia è a
rischio: dell’inquinamento del brevettato pfas C6O4, ad esempio, non solo tramite le acque
reflue e le falde ma anche in atmosfera con la conseguente deposizione al suolo in
ricaduta rispetto alla direzione prevalente dei venti, fino a migliaia di nanogrammi per
metro quadrato in pieno centro di Spinetta, fino ad avvelenare a chilometri di
distanza l’acquedotto del Comune di Montecastello, irreversibilmente chiuso, fino ai
campionamenti attivi -monitorati sempre dall’ARPA Piemonte (e bissati da
Greenpeace)- nei limitrofi Comuni di Alzano Scrivia, Castelnuovo Scrivia, Molino
dei Torti, Guazzora , Tortona, e di Alluvioni Piovera dove pure è presente il pfas
ADV! A tacere gli altri sobborghi e comuni della Fraschetta, dove Arpa è stata
assente.
Speciale Pfas 12. Una delle contaminazioni più gravi in
Europa e nel Mondo.
Si può analizzare la contaminazione da Pfas partendo dal caso particolare per risalire alla
situazione generale, o viceversa. Si può, cioè, partire da Spinetta Marengo, in provincia
di Alessandria, l’unico sito di produzione di queste sostanze in Italia. Qui, intorno al
colosso della chimica, Solvay Specialty Polymers, ci si ammala di più. A confermalo
sono gli studi epidemiologici condotti dall’Arpa e dall’azienda sanitaria locale. Chi vive nei
pressi dello stabilimento Solvay registra un incremento del 19% delle patologie tumorali,
in particolare del polmone, della pleura e dell’apparato emolinfopoietico, rispetto al resto
del territorio alessandrino e piemontese. Anche qui l’attivismo ecologista locale, insieme a
Greenpeace, da anni denuncia gli impatti e rischi ambientali della produzione di Pfas. I
risultati degli studi sono purtroppo una triste conferma delle nostre ragioni di lotta.
Si può, invece, partire dallo IARC, dalla l’agenzia internazionale per la ricerca sul
cancro che ha decretato alcuni di questi composti come certamente cancerogeni per
l’uomo, tra questi ci sono il Pfoa,(acido perfluoroottanoico). Ma anche quelli che rientrano
nella categoria “possibilmente cancerogeni” portano alti livelli di nocività per la salute, in
particolare danni al fegato, malattie della tiroide, obesità e problemi di fertilità. “Molti Pfas
sono distruttori endocrini, influenzano quindi la fertilità maschile e femminile. Inoltre, hanno
effetti sul controllo del peso corporeo, sulla funzionalità della tiroide e della ghiandola
mammaria, causano immunotossicità. Anche nei bambini sono stati osservati effetti sullo
sviluppo, come l’alterazione del comportamento, pubertà precoce e anche nei neonati è
stata riscontrata una diminuzione del peso alla nascita. L’esposizione a lungo termini a
Pfas è stata associata a un aumento del rischio del cancro, soprattutto ai reni, alla prostata
e ai testicoli. Il principale problema è che esistono più di quattromila sostanze appartenenti
ai Pfas.
Il seguente lungo articolo, clicca qui, affronta la problematica da entrambi i puti di
partenza.
Speciale Pfas 13. Un disastro ambientale e sanitario.
Secondo Greenpeace “in Piemonte, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana sono
state rilevate concentrazioni di Pfas a volte persino superiori a 500 ng/l. Una situazione
allarmante, soprattutto alla luce del fatto che il limite ‘accettabile’ ‘stabilito dalla Direttiva
Europea 2020/2184 è pari a 100 nanogrammi per litro (ng/l)”. In Italia i siti più contaminati
sarebbero 1.600, oltre 17mila in tutta Europa.
Clicca qui gli effetti dei PFAS sulla salute umana e sull’ambiente analizzati dagli
studiosi dell’Alma Mater e dell’Università di Padova, e dal Dipartimento di Farmacia
e Biotecnologie dell’Università di Bologna.
Speciale Pfas 14. Deleterio distinguere i PFAS in “certamente
cancerogeni” e “possibilmente cancerogeni”.
Lo studio ha voluto misurare i Pfas nei contenitori alimentari in carta, cartone,
metallo e plastica. Ne ha trovati 68 diversi, 61 dei quali “inaspettati”, ossia non
dichiarati (né controllati) per l’uso in quegli imballaggi. La soluzione? Vietarli
integralmente spiegano i ricercatori.
Environmental Science & Technology (ES&T) riporta quanto attestato da ben 47 studi
scientifici in molti Paesi del mondo: all’interno di imballaggi alimentari e molti altri
materiali che vengono posti direttamente a contatto con il cibo sono infatti state rinvenute
ben 68 tipologie di PFAS, 61 delle quali “inaspettate”, in quanto non autorizzate per
l’utilizzo in alcun inventario normativo o industriale nelle specifiche confezioni. In
larga parte dei casi, precisamente il 72,5%, gli PFAS sono stati trovati nella carta e nel
cartone, ma essi sono stati identificati anche all’interno di imballaggi in plastica, nonché in
metalli rivestiti.
L’indagine ha messo in evidenza che vietare singolarmente questo o quello PFAS non
serve, poiché sul mercato sono presenti numerosi PFAS diversi che possono avere
funzioni simili e potrebbero essere utilizzati come alternative, dunque ritiene opportuno
un divieto globale dei PFAS, superando la fase del “sospetto”. Recentemente, nella
rivista The Lancet Oncology è stato pubblicato un articolo scientifico in cui trenta scienziati
dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) hanno concluso che una delle
tipologie di PFAS più diffuse, quella dei PFOA, è certamente cancerogena (Gruppo 1),
mentre es. i PFOS, altro appartenente al gruppo dei PFAS, sono stati indicati
come “possibilmente” cancerogeni (Gruppo 2B). (Clicca qui), come si è arrivati
finalmente a dichiarare cancerogeno il PFOA della Solvay. Finalmente! Ma dieci anni dopo
ad Alessandria uccide indistruttibile in terra cielo aria.
Speciale Pfas 15. Ineliminabili i PFAS dalle acque potabili.
Come ben dimostrano le cosiddette “barriere idrauliche” della Solvay di Spinetta Marengo,
i Pfas sono irrefrenabili e poi ineliminabili. I sistemi di trattamento per eliminare i Pfas si
rivelano sempre costosi e fallimentari. Esempio il sistema di filtrazione granulare di
carbone attivo (GAC) che lo Stato di New York aveva richiesto alle parti responsabili di
installare sul sistema di trattamento dell’acqua del villaggio di Hoosick Falls (il PFOA era
stato rilevato nel 2016 fornitura pubblica di acqua potabile e nei pozzi privati di acqua
potabile, al di sopra del livello di 70 parti per trilione ppt). Fallito il sistema, il governatore
Kathy Hochul ha annunciato la costruzione di una nuova linea di trasmissione dell’acqua
permanente per fornire una nuova fonte di approvvigionamento idrico per il villaggio. Le
aziende sono tenute a pagare 30 milioni di dollari di costi passati sostenuti dai
contribuenti statali.
Speciale Pfas 16. Un mondo senza PFAS è possibile.
Si possono fare pentole antiaderenti, giacconi repellenti all’acqua senza PFAS e
quant’altro. Produrre senza PFAS si può. E conviene anche. Però non alle
multinazionali.
La Pure Print produce contenitori per prodotti alimentari senza PFAS in Danimarca (che è
PFAS free dal 2020): usano prodotti compostabili, come carta o cartone. Hanno cambiato
produzione sin dal 2007, per rimanere sul mercato, per realizzare un prodotto sostenibile:
il prodotto ha costi maggiori, ma i loro prodotti hanno una resa molto promettente.
La Coop danese, la catena di supermercati, ha fatto sparire i prodotti coi PFAS dai loro
scaffali, senza aspettare che si muovesse la politica.
In Italia si stanno sperimentando pompe di calore e impianti di refrigerazione senza PFAS:
i gas refrigeranti non sono pensati per essere emessi nell’atmosfera – racconta il professor
Del Colle che nei suoi esperimenti sta usando gas naturali. È quello che sta facendo
la Epta Group, una azienda che si occupa di macchine per refrigerazione: anche loro non
hanno aspettato la politica ma si sono mossi prima per un principio di precauzione.
Alla Daykem a Prato si stanno sperimentando tessuti impermeabili senza PFAS: le
performance che stanno ottenendo sono anche superiori. Il responsabile dell’azienda è
fiducioso, tra qualche anno potremmo arrivare ad un mercato PFAS free.
In Germania c’è l’azienda Vaude, specializzata nel vestiario per gli sport di montagna: i
loro prodotti devono essere impermeabili. Dopo anni di ricerca, i tessuti di nuova
generazione hanno la stessa idrorepellenza, ma non contengono i PFAS, ma usano una
tecnologia in poliuretano: “non è vero che nel tessile ai PFAS non c’è alternativa, al giorno
d’oggi non c’è motivo per continuare ad usarli, tante aziende li usano ancora perché è
economico ed è più semplice”.
Speciale Pfas 17. L’interesse PFAS delle lobby è anche bellico.
Ben oltre pentole antiaderenti e giacche goretex. Ben oltre settori sanitario, siderurgico e
metallurgico, packaging, automobilistico, elettronico e energia. La serrata attività di
lobbying portata avanti a livello globale da Solvay e dagli altri colossi del settore chimico
si esprime in particolare nel settore militare. I PFAS infatti, trovano largo impiego in molti
settori industriali strategici, tra i quali spicca quello militare e duale (dual use: civile e
militare), che in tempi di guerra come questi ne garantiscono uno status di relativa
“immunità”, anche quando è di dominio pubblico che la produzione di queste sostanze
cancerogene “forever chemicals” va a discapito della salute pubblica e dell’ambiente.
Gli usi critici dei PFAS sono identificati in quasi tutte le principali categorie di sistemi
d’arma, compresi ma non limitati a velivoli ad ala fissa (addestratori, caccia, bombardieri,
trasporti, rifornitori di carburante, supporto a terra, senza equipaggio e apparecchiature di
supporto associate); velivoli ad ala rotante (da attacco, trasporto, trasporto pesante,
ricerca e salvataggio e attrezzature di supporto associate); navi di superficie
(combattimento, cacciatorpediniere, portaerei, cutter, mezzi da sbarco); sottomarini; missili
(aria-aria, terra-aria, aria-terra, balistica); sistemi di siluri; sistemi radar; e carri armati,
veicoli d’assalto e di trasporto per la fanteria.
Il Pentagono è il principale alleato delle lobby industriali: “I PFAS sono fondamentali per
raggiungere e centrare gli obiettivi del Dipartimento della Difesa e per molti settori nazionali […].
Collettivamente, azioni normative internazionali e statunitensi per gestire gli impatti ambientali
dei PFAS, identificarli ed eliminarli dal mercato, e i successivi cambiamenti del mercato,
pongono rischi per le operazioni del DoD Departement of Defence e la catena di fornitura della
base industriale della difesa. Inoltre, gli impatti sulla catena di approvvigionamento globale dei
PFAS presenteranno rischi per il programma di vendite militari estere del Dipartimento della
Difesa e per l’Interoperabilità del North Atlantic Treaty Organization (NATO)”.
Dunque l’industria bellica americana afferma il ruolo di alcuni di questi composti PFAS
insostituibile, o difficilmente sostituibile, per cui “occorrerà un decennio o più per trovare validi
sostituti”. D’altronde gli USA sono il Paese che spende più di ogni altro in armamenti (nel
2022 la spesa militare degli USA è stata di 877 miliardi di dollari, il 39% della spesa
militare globale) e che vanta nel proprio territorio 51 tra le 100 maggiori industrie belliche
del mondo (nel 2022 il fatturato delle 100 maggiori industrie belliche del mondo è stato di
597 miliardi di dollari). Di conseguenza, per fronteggiare le restrizioni normative sui
PFAS, le lobby industriali degli States si sono riunite, nel 2022, sotto la
sigla “Sustainable PFAS Action” (SPAN).
Anche in Europa l’attività di lobbying attorno ai fluoro-composti si fa sempre più
martellante, specie dopo l’iniziativa – presa da Danimarca, Germania, Paesi Bassi,
Norvegia e Svezia, nel febbraio del 2023 – per introdurre una restrizione universale sui
PFAS a livello dell’Unione Europea, per vietarne la produzione, la vendita e l’utilizzo.
Infatti, la European Chemical Industry Council (CEFIC, la lobby delle industrie chimiche
europee), ha istituito “FluoroProducts &PFAS for Europe ” (FPPFE), riunendo alcuni
dei maggiori produttori e consumatori di PFAS, tra cui figurano AGC, ARKEMA,
BASF, Bayer, Chemours, Daikin, DU Pont, ExxonMobil, GFL, Merck, Gore, e
naturalmente Solvay Syensqo.
Per avere una dimensione del business, si consideri che l’industria PFAS può contare
su 72 singoli lobbisti attivi a Bruxelles, con una spesa annuale compresa tra 18,6 e
21,1 milioni di euro e 59 pass al Parlamento Europeo.
Speciale Pfas 18. Pfas del Tav nelle contaminazioni in Valsusa.
La società TELT (incaricata di realizzare il progetto Tav Tunnel Euroalpin Lyon Turin), in
relazione ai lavori nel cantiere di Chiomonte per il tunnel Maddalena, e per quanto
riguarda gli PFAS presenti nell’acqua potabile in Valsusa denunciati dall’indagine
di Greenpeace (contaminazione da PFAS nell’area metropolitana di Torino, con oltre 70
comuni coinvolti, inclusi 19 comuni della Valle di Susa), respinge l’ipotesi che
l’inquinamento da PFAS nell’area fosse collegato all’utilizzo di prodotti oleorepellenti o
tensioattivi impiegati nello scavo con la “talpa” TBM.
A detta di TELT, “a Chiomonte non è stato richiesto schiume né un uso massiccio di cementi a
presa rapida”, “è priva di fondamento l’affermazione che vorrebbe correlare l’utilizzo del Robot
AXEL a specifiche condizioni di inquinamento da PFAS dell’aria in galleria”. Smentite che non
convincono, tant’è che, per l’avvenire, TELT ammette che “Le lavorazioni previste per lo
scavo del tunnel di base in Italia faranno probabilmente uso di additivi durante la fase di sotto-
attraversamento del Cenischia. In fase di progettazione esecutiva si valuterà se si rende necessario
l’impiego di additivi contenenti PFAS e in quali quantità”, e già mette le mani avanti negando
che “i PFAS possano essere trasportati dall’aria convogliata dagli impianti di ventilazione”.
Speciale Pfas 19. La Regione ignora la contaminazione Pfas in
Toscana.
Dopo il Veneto, la Lombardia e il Piemonte, Greenpeace ha rivolto le indagini alla
Toscana, per analizzare la concentrazione dei Pfas nei corsi d’acqua vicini agli scarichi dei
distretti dell’industria conciaria, tessile, florovivaistica e della carta, e per verificare se la
presenza di questi distretti contribuisca alla contaminazione ambientale. I campionamenti
sono stati effettuati per lo più nei fiumi sia a monte che a valle di questi noti impianti di
depurazione industriale: il consorzio Torrente Pescia e Aquapur (distretto carta); i
depuratori del distretto conciario (depuratore Aquarno) e del cuoio (depuratore Cuoio-
Depur, che scarica nel Rio Malucco); i fiumi Ombrone, Bisenzio e Fosso Calicino (distretto
tessile); il torrente Brana (distretto florovivaistico).
Le concentrazioni più elevate sono state rilevate nel Rio Malucco, nel Fosso Calicino,
nel fiume Ombrone e nel Rio Frizzone a Porcari a valle del depuratore Aquapur.
Nel fiume Ombrone la concentrazione a valle del distretto tessile è risultata circa 20 volte
superiore rispetto a monte, mentre nel Rio Frizzone a valle del depuratore la presenza di
PFAS era di circa 9 volte rispetto a monte.
Le contaminazioni più preoccupanti sono a valle di uno dei depuratori del distretto
tessile a Prato, quello di Calice (4.800 nanogrammi/litro), seguito dal canale Usciana a
valle del depuratore Aquarno che riceve gli scarichi del distretto conciario (4.500
nanogrammi/litro) e nel Rio Frizzone a valle del depuratore Aquapur (3.900
nanogrammi/litro) a Porcari, nel distretto cartario lucchese” .
Sono casi ben documentati da almeno dieci anni, ma la Regione Toscana non ha mai
affrontato seriamente il problema, né adottato un provvedimento sugli scarichi
industriali.
Ben prima, a Prato un gruppo di aziende tessili ha eliminato Pfas dal 2016.
Speciale Pfas 20. Pfas in tribunale a Lione.
La città metropolitana di Lione ha depositato un atto di citazione sommaria presso il
tribunale di Lione contro i gruppi Arkema France e Daikin Chemical France, a capo dei poli
industriali con sede nella “valle della chimica”, a sud della capitale della Gallia.
Secondo Le Monde, infatti, la comunità ha depositato una richiesta per una perizia
sull’inquinamento da Pfas delle acque circostanti. Questa procedura civile mira a stabilire
la realtà, la durata, l’entità e la fonte di questi “eterni inquinanti”.
Messaggio di pace e salute a 39.884 destinatari da Lino Balza Movimento di lotta per la
salute Maccacaro tramite RETE AMBIENTALISTA - Movimenti di Lotta per la Salute,
l’Ambiente, la Pace e la Nonviolenza
Nel rispetto del Regolamento (UE) 2016 / 679 del 27.04.2016 e della normativa di legge.
Eventualmente rispondi: cancellami.
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Speciale PFAS.
Speciale PFAS 1. I forever chemicals.
Cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente indistruttibili. I PFAS sono
denominati “forever chemicals”, inquinanti eterni, perché non si degradano nel tempo ma
restano indistruttibili. Si disperdono in natura e hanno invaso ogni angolo del globo:
dalle vette remote più incontaminate fino ai poli, dagli animali marini come i cetacei a
ecosistemi lontani dalle attività dell’uomo, dalla pioggia fino all’acqua di rubinetto delle
nostre case.
Milioni di persone sono esposte ai Pfas attraverso gli alimenti, l’acqua potabile, l’aria,
una infinità di prodotti di consumo, materiali presenti nelle nostre case e nei luoghi di
lavoro, che, grazie ai Pfas, diventano stabili, resistenti alle alte temperature, idrorepellenti,
ignifughi. Nei decenni, hanno trovato impiego in una vasta gamma di applicazioni
industriali e prodotti di largo consumo: imballaggi alimentari, padelle antiaderenti, filo
interdentale, carta da forno, farmaci, dispositivi medici, cosmetici; capi di abbigliamento,
prodotti tessili e di arredamento, capi in pelle; nell’industria galvanica (in particolare
cromatura), scioline, cosmetici, gas refrigeranti, nell’industria elettronica e dei
semiconduttori, nell’attività estrattiva dei combustibili fossili, in alcune applicazioni
dell’industria della gomma e della plastica, nelle cartiere, nei lubrificanti, nei trattamenti
anticorrosione, nelle vernici, in prodotti per l’igiene e la pulizia e nelle schiume antincendio.
Nel corpo umano queste sostanze sono state trovate nel sangue, nelle urine,
nella placenta, nel cordone ombelicale e persino nel latte materno. L’esposizione ai Pfas
è stata associata a una serie di effetti tossici e cancerogeni sulla salute. Problemi
alla tiroide, danni al fegato e al sistema immunitario, riduzione del peso alla nascita dei
neonati, obesità, diabete, elevati livelli di colesterolo e riduzione della risposta
immunitaria ai vaccini, diabete gestazionale, impatto negativo sulla fertilità, oltre che
alcune forme tumorali come il cancro al rene e ai testicoli. Di recente, l’Agenzia
Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità ha completato le valutazioni circa la cancerogenicità di due molecole appartenenti
al gruppo dei Pfas, classificando il Pfoa come “cancerogeno per l’uomo” (Gruppo 1) e il
Pfos come “possibile cancerogeno per l’uomo” (Gruppo 2B). Le altre molecole restano
“sospette”.
Speciale Pfas 2. Una legge per la messa al bando in Italia.
Manca una legge per la messa al bando dei Pfas in Italia. Benchè nella passata legislatura
fosse stato presentato, con la nostra collaborazione, un Disegno di Legge dall’ex senatore
Mattia Crucioli, che detta “Norme relative alla cessazione della produzione e
dell’impiego delle sostanze poli e perfluoroalchiliche (PFAS)”.
Insomma li mette al bando in Italia. Vieta la lavorazione, l’uso, la commercializzazione, il
trattamento e lo smaltimento, nel territorio nazionale, delle sostanze poli e
perfluoroalchiliche (PFAS) e dei prodotti che le contengono, e detta norme per la loro
dismissione dalla produzione e dal commercio, per la cessazione dell’importazione,
dell’esportazione e dell’utilizzazione dei PFAS e dei prodotti che li contengono, per la
realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate
dall’inquinamento da PFAS, per la ricerca finalizzata alla individuazione di materiali
sostitutivi, alla riconversione produttiva e per il controllo sull’inquinamento da PFAS.
Insomma assume le istanze di tutti i Movimenti, Associazioni e Comitati, che da anni si
battono per eliminare questi cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente
indistruttibili, dalle acque, dall’aria, dagli alimenti, insomma dal sangue dei lavoratori e dei
cittadini altrimenti ammalati e uccisi.
Il Disegno di Legge giace sepolto dalla complicità della politica con la lobby industriale.
Speciale Pfas 3. Il manifesto per la messa al bando dei Pfas.
Stante il vuoto legislativo, clicca qui il Manifesto per l’urgente messa al bando dei PFAS,
“sostanze chimiche per sempre” sottoscritto da 122 gruppi della società civile europea e
non solo.
Speciale Pfas 4. Veneto: risoluzione per la messa al bando dei
Pfas.
Il Consiglio regionale del Veneto ha approvato all’unanimità la risoluzione con la quale
l’assemblea legislativa esprime adesione al “Manifesto BanPFAS”per l’urgente messa al
bando dei Pfas.
Speciale Pfas 5. Lombardia: adesione al “Manifesto
BanPFAS”.
I consiglieri lombardi del M5S, nell’audizione in commissione Ambiente sulla presenza di
PFAS in acque e terreni della Lombardia, hanno manifestato la richiesta di adesione al
“Manifesto BanPFAS” manifesto europeo #BanPfas “Chiederemo che la nostra Regione resti
al passo con altri Paesi europei quali: Germania, Danimarca, Olanda, Svezia e Norvegia. In
Lombardia, così come nel resto d’Italia, i PFAS non vengono più prodotti se non in rari casi, ma
sono presenti in una moltitudine di cicli produttivi. L’OCSE ha reso noto che le alternative, meno
dannose per la salute, esistono. Motivo per cui chiederemo alla Giunta di attivarsi presso il
Governo sia per la messa al bando dei PFAS, sia che per la promozione e il sostegno a filiere
produttive alternative”.
Speciale Pfas 6. Emilia Romagna: interrogazione per stop
Pfas.
La consigliera dei Verdi in Regione, Silvia Zamboni, presenta interrogazione alla giunta
Bonaccini: Secondo l’inchiesta giornalistica coordinata dal quotidiano Le Monde anche nella
nostra regione sono presenti alcuni siti contaminati e tantissimi siti potenzialmente contaminati.
Inoltre, non sfugge il dato di realtà che l’Emilia-Romagna confina tramite il corso del Po con
Piemonte, Lombardia e Veneto, tre regioni ad altissimo grado di inquinamento da PFAS, sostanze
molto presenti nei corpi idrici”. Urgente avviare delle contromisure: un programma di
sorveglianza sanitaria della popolazione ubicata nelle zone a rischio mediante l’adozione
di un piano ad hoc per la prevenzione, diagnosi precoce e presa in carico delle patologie
cronico-degenerative potenzialmente associate ai PFAS.
Speciale Pfas 7. Valsusa, petizione per la messa al bando
PFAS.
Da Val di Susa e Piemonte avviata sulla piattaforma Change.org la petizione pubblica al
link https://www.change.org/messa_al_bando_PFAS per la messa al bando totale dell’uso
e della produzione dei Pfas: non devono più essere prodotte, non devono più essere
contenute nell’acqua che beviamo come in nessun prodotto di consumo sia civile che
industriale, non devono essere più smaltite e sversate in qualunque luogo oppure
discarica. Successivamente si promuoverà una proposta di legge di iniziativa popolare
per la messa al bando totale dei pfas per l’Italia da presentare alla Camera dei deputati,
con una campagna di raccolta firme che segua l’iter ufficiale.
Speciale Pfas 8. Bando ai Pfas: Solvay risponde picche.
Se disegni di legge, regioni, comitati, associazioni da tutta Italia chiedono la messa al
bando dei tossici e cancerogeni PFAS (il C6O4, il “nuovo amianto”), la risposta di Solvay,
unico produttore nazionale, è un NO secco e categorico, una sfida aperta. La posizione
ufficiale del colosso belga è stata ribadita da Stefano Calosio nella sede istituzionale più
significativa: la “Commissione Sicurezza e Ambiente” del Comune di Alessandria, per
il quale sobborgo -Spinetta Marengo- il sindaco, malgrado gli competa il dovere di
massima autorità sanitaria locale, si ostina a non emettere ordinanza di fermata delle
produzioni dello stabilimento, spalleggiato dalla complice Regione Piemonte, che a sua
volta evita i monitoraggi del sangue alla popolazione per oscurare le innumerevoli indagini
epidemiologiche e le altrettanto inesorabili indagini ambientali dell’Arpa.
Ilham Kadri, presidente di Solvay (Syensqo), per bocca del direttore del polo chimico,
Stefano Colosio, non ha lasciato margini di dubbio: non sarà immediatamente fermato il
cC6O4 né nella unità di ricerca di Bollate né nella unità di produzione appunto di Spinetta
Marengo. Il tono del rifiuto è stato addirittura sprezzante: “Abbandonare un coadiuvante di
polimerizzazione sarebbe come chiedere a un cuoco di fare fritture senza olio, di usare friggitrici
ad aria”, così come a rimarcare la perentorietà delle proprie decisioni.
Decisioni che Solvay motiva con aria di sfida agli scienziati di fama
internazionale. “Innanzitutto il C6O4 è ampiamente meno nocivo del suo predecessore: il
Pfoa.” D’altronde questa sfida per il Pfoa era durata 50 anni: per mezzo secolo Solvay & C.
immediatamente sospettarono e poi in corso d’opera accertarono che era cancerogeno, ma
noncuranti uccisero ambiente, lavoratori e cittadini, e fino all’ultimo negarono, finchè il Pfoa è
stato messo al bando nel mondo. Nel frattempo, Solvay non è stata in inerte attesa della
inevitabile dipartita del miliardario Pfoa, ma ha sperimentato di nascosto e poi brevettato il
suo sostituto, il C6O4, che come tutti i PFAS passati presenti e futuri è tossico e
cancerogeno.
Abbiate voi la pazienza, ha detto Kadri/Calosio, di aspettare che la tragica evidenza della
catastrofica catena ecosanitaria convinca di mettere al bando l’ancor più
miliardario C6O4; intanto il nostro “cuoco” studia come sostituirlo con un Pfas ancora “meno
nocivo”; eliminarli no: non fa business nelle nostre “fritture” sostituire il
nostro “olio” con “friggitrici ad aria”. Anche per il C6O4, perciò, ancora qualche anno di
pazienza, anzi, ad essere franchi “Abbiamo deciso di dismetterlo perché è avverso all’opinione
pubblica, non perché rappresenti dal punto di vista ambientale una vera minaccia”. Ho detto
tutto: “meno nocivo”.
Dunque, noi dovremmo aspettare che queste sostanze, tossiche e cancerogene,
ribattezzate “forever chemicals”, per sempre si accumulino indistruttibili nell’ambiente e nel
sangue, come è avvenuto e sta avvenendo ad Alessandria per PFOA, ADV e C6O4?
Anche su questo aspetto, Kadri/Calosio ha invitato a non esagerare. Dopo Montedison, è
pur vero che il Pfoa per venti anni Solvay l’ha buttato in aria-acqua-suolo e che ancora
oggi l’Arpa (con ADV e C6O4) lo misura -dai camini della fabbrica alle falde- dappertutto in
tutta la provincia, ma Kadri/Calosio invita a pazientare: “La messa in sicurezza operativa, che
riprende l’acqua della falda e la depura, è tuttora un mezzo per purificare il terreno, è chiaro che ci
impiegherà un po’ di tempo ma per il momento è l’unica tecnologia che abbiamo a disposizione.
Analogamente per i nuovi Pfas ADV C6O4 che continuiamo a produrre.”
E Solvay imperterrita continua a produrre (anche) ADV e C6O4 da un quarto di secolo, e non
accetta bandi per il futuro. Kadri/Calosio si è mostrato del tutto indifferente alle migliaia di
Vittime di questo inquinamento, malati e morti, tra lavoratori e cittadini. Anzi, riferendosi proprio
ai soggetti più a rischio, cioè ai lavoratori, Kadri/Calosio ha rassicurato la “Commissione Sicurezza
e Ambiente”: “Nel biomonitoraggio (privato n.d.r.) dei nostri dipendenti che fino al 2013 hanno
utilizzato il Pfoa, abbiamo osservato che la sua concentrazione nel sangue impiega 4 anni a
dimezzarsi”. La Commissione, sbeffeggiata, non ha replicato.
Ci permettiamo di fare un nostro commento all’abnormità: di questi dipendenti, che
fino al 2013 avrebbero utilizzato (per 5-10-20 anni?) il killer Pfoa senza subire
gravissimi danni a tiroide, pancreas, diabete, colesterolo, leucemie, tumori eccetera,
e avrebbero dal 2013 aggiunto nel sangue i “poco nocivi” ADV e C6O4: tranquillizzati
da direttori come Colosio proprio per quanto riguarda il vecchio Pfoa: il loro
fardello di veleno dopo 4 anni non sarebbe scomparso ma si sarebbe dimezzato, e
dopo altri 4 anni la concentrazione si sarebbe ridotta ad un quarto, e via via finchè
in 28 anni (nel 2041) il Pfoa si sarebbe ridotto nel sangue quasi a zero, mentre a sua
volta il “poco nocivo” C6O4 si dimezzerebbe… ancora più in fretta. Tutto questo
“virtuoso” ciclo lavorativo: senza danni ai lavoratori (e ai cittadini) che pesino sulla
coscienza di Kadri/Calosio.
Che si sente men che mai responsabile della omessa bonifica sanzionata dalla
Cassazione: non si tratta di mancati investimenti per lucrare profitti, bensì di mere difficoltà
tecniche: “Non per tutti gli inquinanti nel sottosuolo di Spinetta c’è una tecnologia evidente,
chiara e pratica per arrivare a una bonifica completa del terreno: la barriera idraulica ha un
effetto positivo ma non ancora risolutivo sull’inquinamento del sottosuolo”. Insomma, ci
vogliono altre decine e decine di anni, portate pazienza: “La nostra ricerca è ancora al lavoro per
trovare delle soluzioni per limitare l’impatto ambientale”, sapendo che non potrà essere mai
“impatto zero”: né per l’inquinamento storico della ventina di tossici e cancerogeni né per
l’attuale -ancora più preoccupante- della ventina di tossici e cancerogeni che “ci sfuggono” in
suolo aria acqua, dei quali i Pfas sono solo la punta dell’iceberg.
Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro.
Speciale Pfas 9. Il nuovo processo è stato inventato dai PM:
senza alcun fondamento di reati.
Gli storici avvocati di Solvay, Luca Santa Maria e Dario Bolognesi, sono intervenuti di
peso nel dibattito pubblico e anche con una nota depositata alla Procura di Alessandria,
titolare del (secondo) processo che la multinazionale belga sta tentando di rinviare con
espedienti e cavilli processuali, e prima di ripetere la criminalizzazione del PM (come nel
primo processo).
Se il contenuto vuole essere intimidatorio, il tono è apodittico: affermazioni dogmatiche,
che vorrebbero essere verità assolute, inconfutabili, mentre appaiono senza sostegno di
prove. Affermazioni palesemente infondate, ovvero bugiarde:
La Cassazione ha assolto Solvay per il disastro ambientale: causato invece da Ausimont-
Edison, peraltro venditrice truffaldina a celarlo.
L’incolpevole Solvay si è generosamente fatta carico di Messa in Sicurezza Operativa e
Interventi di Bonifica, ovvero la barriera idraulica.
Così, grazie a Solvay, è indubbio un significativo miglioramento dello stato qualitativo dei
suoli e delle acque sotterranee, sia all’interno che all’esterno del sito.
Per prima, la Cassazione aveva già confermato che l’acqua di Alessandria è sempre
stata potabile.
Anche per quanto riguarda l’aria, le analisi confermano che i PFAS nell’aria sono
inferiori ai limiti di rilevabilità.
Insomma, non sono quindi assolutamente ipotizzabili rischi per la salute pubblica.
Speciale Pfas 10. Pfas a Tortona, roba da Chiodi.
“Tonnellate di Pfas C6O4 nel deposito clandestino di Solvay a Tortona”: avevamo titolato
in un nostro servizio del 2020, vedi anche la cartina. Ma la denuncia, ripresa anche da
altri giornali, era stata sommersa dall’omertà delle amministrazioni alessandrine e
regionali. Ora, dall’indagine di Greenpeace riemerge Tortona quale località con la
presenza di consistenti concentrazioni di PFAS. Però nessuno ha finora messo in
relazione le due notizie. Riavvolgiamo il nastro.
Aumentando la produzione di C6O4, Solvay per lo stoccaggio dei serbatoi affitta un
magazzino esterno allo stabilimento di Spinetta Marengo, precisamente a Torre
Garofoli nei capannoni della ditta Arcese Trasporti. Solvay non ha alcuna
autorizzazione per trasferire fuori dai cancelli, avanti e indietro, un prodotto intermedio,
non destinato alle vendite, pericoloso anche nella fase di trasporto per le variazioni di
temperatura. Anzi, Solvay non aveva ancora neppure l’AIA autorizzazione
all’ampliamento della produzione stessa. Così come non aveva neppure
l’autorizzazione a sperimentare il C604: come denunciammo in Procura nel 2009. In
altre parole, è da venti anni che Solvay non viene fermata dalla Provincia.
Orbene, Provincia, Arpa, Vigili del fuoco sapranno, ora, dirci quante tonnellate di
C6O4 sono state stoccate nel deposito? per quanto tempo? custodito da chi? in quali
condizioni di sicurezza? se il deposito è estraneo ovvero l’inquinamento proviene
direttamente dal sito di Spinetta Marengo? Magari a queste domande risponderà Federico
Chiodi che si ripresenta candidato sindaco nella coalizione di Forza Italia, Lega Salvini,
Nuova Tortona, Fratelli d’Italia.
Speciale Pfas 11. Provincia di Alessandria, vittima sacrificale
di Solvay.
Spinetta Marengo, dove sorge lo stabilimento della Solvay, è appena un sobborgo di
Alessandria, dunque il capoluogo è direttamente interessato dall’inquinamento terra-aria-
acqua di 21 sostanze tossiche e cancerogene: si pensi alle porte della città lo scarico in
Bormida (e dal Tanaro al Po fino all’Adriatico), si pensino i pozzi nel territorio chiusi con
ordinanza municipale, si pensi, nei campioni d’aria prelevati da Arpa, la presenza dei
pfas sia C6O4 che ADV (inoltre il PFOA) sia verso nord che verso sud rispetto al polo
chimico.
Con il Comune di Alessandria, anche la salute della popolazione della Provincia è a
rischio: dell’inquinamento del brevettato pfas C6O4, ad esempio, non solo tramite le acque
reflue e le falde ma anche in atmosfera con la conseguente deposizione al suolo in
ricaduta rispetto alla direzione prevalente dei venti, fino a migliaia di nanogrammi per
metro quadrato in pieno centro di Spinetta, fino ad avvelenare a chilometri di
distanza l’acquedotto del Comune di Montecastello, irreversibilmente chiuso, fino ai
campionamenti attivi -monitorati sempre dall’ARPA Piemonte (e bissati da
Greenpeace)- nei limitrofi Comuni di Alzano Scrivia, Castelnuovo Scrivia, Molino
dei Torti, Guazzora , Tortona, e di Alluvioni Piovera dove pure è presente il pfas
ADV! A tacere gli altri sobborghi e comuni della Fraschetta, dove Arpa è stata
assente.
Speciale Pfas 12. Una delle contaminazioni più gravi in
Europa e nel Mondo.
Si può analizzare la contaminazione da Pfas partendo dal caso particolare per risalire alla
situazione generale, o viceversa. Si può, cioè, partire da Spinetta Marengo, in provincia
di Alessandria, l’unico sito di produzione di queste sostanze in Italia. Qui, intorno al
colosso della chimica, Solvay Specialty Polymers, ci si ammala di più. A confermalo
sono gli studi epidemiologici condotti dall’Arpa e dall’azienda sanitaria locale. Chi vive nei
pressi dello stabilimento Solvay registra un incremento del 19% delle patologie tumorali,
in particolare del polmone, della pleura e dell’apparato emolinfopoietico, rispetto al resto
del territorio alessandrino e piemontese. Anche qui l’attivismo ecologista locale, insieme a
Greenpeace, da anni denuncia gli impatti e rischi ambientali della produzione di Pfas. I
risultati degli studi sono purtroppo una triste conferma delle nostre ragioni di lotta.
Si può, invece, partire dallo IARC, dalla l’agenzia internazionale per la ricerca sul
cancro che ha decretato alcuni di questi composti come certamente cancerogeni per
l’uomo, tra questi ci sono il Pfoa,(acido perfluoroottanoico). Ma anche quelli che rientrano
nella categoria “possibilmente cancerogeni” portano alti livelli di nocività per la salute, in
particolare danni al fegato, malattie della tiroide, obesità e problemi di fertilità. “Molti Pfas
sono distruttori endocrini, influenzano quindi la fertilità maschile e femminile. Inoltre, hanno
effetti sul controllo del peso corporeo, sulla funzionalità della tiroide e della ghiandola
mammaria, causano immunotossicità. Anche nei bambini sono stati osservati effetti sullo
sviluppo, come l’alterazione del comportamento, pubertà precoce e anche nei neonati è
stata riscontrata una diminuzione del peso alla nascita. L’esposizione a lungo termini a
Pfas è stata associata a un aumento del rischio del cancro, soprattutto ai reni, alla prostata
e ai testicoli. Il principale problema è che esistono più di quattromila sostanze appartenenti
ai Pfas.
Il seguente lungo articolo, clicca qui, affronta la problematica da entrambi i puti di
partenza.
Speciale Pfas 13. Un disastro ambientale e sanitario.
Secondo Greenpeace “in Piemonte, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana sono
state rilevate concentrazioni di Pfas a volte persino superiori a 500 ng/l. Una situazione
allarmante, soprattutto alla luce del fatto che il limite ‘accettabile’ ‘stabilito dalla Direttiva
Europea 2020/2184 è pari a 100 nanogrammi per litro (ng/l)”. In Italia i siti più contaminati
sarebbero 1.600, oltre 17mila in tutta Europa.
Clicca qui gli effetti dei PFAS sulla salute umana e sull’ambiente analizzati dagli
studiosi dell’Alma Mater e dell’Università di Padova, e dal Dipartimento di Farmacia
e Biotecnologie dell’Università di Bologna.
Speciale Pfas 14. Deleterio distinguere i PFAS in “certamente
cancerogeni” e “possibilmente cancerogeni”.
Lo studio ha voluto misurare i Pfas nei contenitori alimentari in carta, cartone,
metallo e plastica. Ne ha trovati 68 diversi, 61 dei quali “inaspettati”, ossia non
dichiarati (né controllati) per l’uso in quegli imballaggi. La soluzione? Vietarli
integralmente spiegano i ricercatori.
Environmental Science & Technology (ES&T) riporta quanto attestato da ben 47 studi
scientifici in molti Paesi del mondo: all’interno di imballaggi alimentari e molti altri
materiali che vengono posti direttamente a contatto con il cibo sono infatti state rinvenute
ben 68 tipologie di PFAS, 61 delle quali “inaspettate”, in quanto non autorizzate per
l’utilizzo in alcun inventario normativo o industriale nelle specifiche confezioni. In
larga parte dei casi, precisamente il 72,5%, gli PFAS sono stati trovati nella carta e nel
cartone, ma essi sono stati identificati anche all’interno di imballaggi in plastica, nonché in
metalli rivestiti.
L’indagine ha messo in evidenza che vietare singolarmente questo o quello PFAS non
serve, poiché sul mercato sono presenti numerosi PFAS diversi che possono avere
funzioni simili e potrebbero essere utilizzati come alternative, dunque ritiene opportuno
un divieto globale dei PFAS, superando la fase del “sospetto”. Recentemente, nella
rivista The Lancet Oncology è stato pubblicato un articolo scientifico in cui trenta scienziati
dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) hanno concluso che una delle
tipologie di PFAS più diffuse, quella dei PFOA, è certamente cancerogena (Gruppo 1),
mentre es. i PFOS, altro appartenente al gruppo dei PFAS, sono stati indicati
come “possibilmente” cancerogeni (Gruppo 2B). (Clicca qui), come si è arrivati
finalmente a dichiarare cancerogeno il PFOA della Solvay. Finalmente! Ma dieci anni dopo
ad Alessandria uccide indistruttibile in terra cielo aria.
Speciale Pfas 15. Ineliminabili i PFAS dalle acque potabili.
Come ben dimostrano le cosiddette “barriere idrauliche” della Solvay di Spinetta Marengo,
i Pfas sono irrefrenabili e poi ineliminabili. I sistemi di trattamento per eliminare i Pfas si
rivelano sempre costosi e fallimentari. Esempio il sistema di filtrazione granulare di
carbone attivo (GAC) che lo Stato di New York aveva richiesto alle parti responsabili di
installare sul sistema di trattamento dell’acqua del villaggio di Hoosick Falls (il PFOA era
stato rilevato nel 2016 fornitura pubblica di acqua potabile e nei pozzi privati di acqua
potabile, al di sopra del livello di 70 parti per trilione ppt). Fallito il sistema, il governatore
Kathy Hochul ha annunciato la costruzione di una nuova linea di trasmissione dell’acqua
permanente per fornire una nuova fonte di approvvigionamento idrico per il villaggio. Le
aziende sono tenute a pagare 30 milioni di dollari di costi passati sostenuti dai
contribuenti statali.
Speciale Pfas 16. Un mondo senza PFAS è possibile.
Si possono fare pentole antiaderenti, giacconi repellenti all’acqua senza PFAS e
quant’altro. Produrre senza PFAS si può. E conviene anche. Però non alle
multinazionali.
La Pure Print produce contenitori per prodotti alimentari senza PFAS in Danimarca (che è
PFAS free dal 2020): usano prodotti compostabili, come carta o cartone. Hanno cambiato
produzione sin dal 2007, per rimanere sul mercato, per realizzare un prodotto sostenibile:
il prodotto ha costi maggiori, ma i loro prodotti hanno una resa molto promettente.
La Coop danese, la catena di supermercati, ha fatto sparire i prodotti coi PFAS dai loro
scaffali, senza aspettare che si muovesse la politica.
In Italia si stanno sperimentando pompe di calore e impianti di refrigerazione senza PFAS:
i gas refrigeranti non sono pensati per essere emessi nell’atmosfera – racconta il professor
Del Colle che nei suoi esperimenti sta usando gas naturali. È quello che sta facendo
la Epta Group, una azienda che si occupa di macchine per refrigerazione: anche loro non
hanno aspettato la politica ma si sono mossi prima per un principio di precauzione.
Alla Daykem a Prato si stanno sperimentando tessuti impermeabili senza PFAS: le
performance che stanno ottenendo sono anche superiori. Il responsabile dell’azienda è
fiducioso, tra qualche anno potremmo arrivare ad un mercato PFAS free.
In Germania c’è l’azienda Vaude, specializzata nel vestiario per gli sport di montagna: i
loro prodotti devono essere impermeabili. Dopo anni di ricerca, i tessuti di nuova
generazione hanno la stessa idrorepellenza, ma non contengono i PFAS, ma usano una
tecnologia in poliuretano: “non è vero che nel tessile ai PFAS non c’è alternativa, al giorno
d’oggi non c’è motivo per continuare ad usarli, tante aziende li usano ancora perché è
economico ed è più semplice”.
Speciale Pfas 17. L’interesse PFAS delle lobby è anche bellico.
Ben oltre pentole antiaderenti e giacche goretex. Ben oltre settori sanitario, siderurgico e
metallurgico, packaging, automobilistico, elettronico e energia. La serrata attività di
lobbying portata avanti a livello globale da Solvay e dagli altri colossi del settore chimico
si esprime in particolare nel settore militare. I PFAS infatti, trovano largo impiego in molti
settori industriali strategici, tra i quali spicca quello militare e duale (dual use: civile e
militare), che in tempi di guerra come questi ne garantiscono uno status di relativa
“immunità”, anche quando è di dominio pubblico che la produzione di queste sostanze
cancerogene “forever chemicals” va a discapito della salute pubblica e dell’ambiente.
Gli usi critici dei PFAS sono identificati in quasi tutte le principali categorie di sistemi
d’arma, compresi ma non limitati a velivoli ad ala fissa (addestratori, caccia, bombardieri,
trasporti, rifornitori di carburante, supporto a terra, senza equipaggio e apparecchiature di
supporto associate); velivoli ad ala rotante (da attacco, trasporto, trasporto pesante,
ricerca e salvataggio e attrezzature di supporto associate); navi di superficie
(combattimento, cacciatorpediniere, portaerei, cutter, mezzi da sbarco); sottomarini; missili
(aria-aria, terra-aria, aria-terra, balistica); sistemi di siluri; sistemi radar; e carri armati,
veicoli d’assalto e di trasporto per la fanteria.
Il Pentagono è il principale alleato delle lobby industriali: “I PFAS sono fondamentali per
raggiungere e centrare gli obiettivi del Dipartimento della Difesa e per molti settori nazionali […].
Collettivamente, azioni normative internazionali e statunitensi per gestire gli impatti ambientali
dei PFAS, identificarli ed eliminarli dal mercato, e i successivi cambiamenti del mercato,
pongono rischi per le operazioni del DoD Departement of Defence e la catena di fornitura della
base industriale della difesa. Inoltre, gli impatti sulla catena di approvvigionamento globale dei
PFAS presenteranno rischi per il programma di vendite militari estere del Dipartimento della
Difesa e per l’Interoperabilità del North Atlantic Treaty Organization (NATO)”.
Dunque l’industria bellica americana afferma il ruolo di alcuni di questi composti PFAS
insostituibile, o difficilmente sostituibile, per cui “occorrerà un decennio o più per trovare validi
sostituti”. D’altronde gli USA sono il Paese che spende più di ogni altro in armamenti (nel
2022 la spesa militare degli USA è stata di 877 miliardi di dollari, il 39% della spesa
militare globale) e che vanta nel proprio territorio 51 tra le 100 maggiori industrie belliche
del mondo (nel 2022 il fatturato delle 100 maggiori industrie belliche del mondo è stato di
597 miliardi di dollari). Di conseguenza, per fronteggiare le restrizioni normative sui
PFAS, le lobby industriali degli States si sono riunite, nel 2022, sotto la
sigla “Sustainable PFAS Action” (SPAN).
Anche in Europa l’attività di lobbying attorno ai fluoro-composti si fa sempre più
martellante, specie dopo l’iniziativa – presa da Danimarca, Germania, Paesi Bassi,
Norvegia e Svezia, nel febbraio del 2023 – per introdurre una restrizione universale sui
PFAS a livello dell’Unione Europea, per vietarne la produzione, la vendita e l’utilizzo.
Infatti, la European Chemical Industry Council (CEFIC, la lobby delle industrie chimiche
europee), ha istituito “FluoroProducts &PFAS for Europe ” (FPPFE), riunendo alcuni
dei maggiori produttori e consumatori di PFAS, tra cui figurano AGC, ARKEMA,
BASF, Bayer, Chemours, Daikin, DU Pont, ExxonMobil, GFL, Merck, Gore, e
naturalmente Solvay Syensqo.
Per avere una dimensione del business, si consideri che l’industria PFAS può contare
su 72 singoli lobbisti attivi a Bruxelles, con una spesa annuale compresa tra 18,6 e
21,1 milioni di euro e 59 pass al Parlamento Europeo.
Speciale Pfas 18. Pfas del Tav nelle contaminazioni in Valsusa.
La società TELT (incaricata di realizzare il progetto Tav Tunnel Euroalpin Lyon Turin), in
relazione ai lavori nel cantiere di Chiomonte per il tunnel Maddalena, e per quanto
riguarda gli PFAS presenti nell’acqua potabile in Valsusa denunciati dall’indagine
di Greenpeace (contaminazione da PFAS nell’area metropolitana di Torino, con oltre 70
comuni coinvolti, inclusi 19 comuni della Valle di Susa), respinge l’ipotesi che
l’inquinamento da PFAS nell’area fosse collegato all’utilizzo di prodotti oleorepellenti o
tensioattivi impiegati nello scavo con la “talpa” TBM.
A detta di TELT, “a Chiomonte non è stato richiesto schiume né un uso massiccio di cementi a
presa rapida”, “è priva di fondamento l’affermazione che vorrebbe correlare l’utilizzo del Robot
AXEL a specifiche condizioni di inquinamento da PFAS dell’aria in galleria”. Smentite che non
convincono, tant’è che, per l’avvenire, TELT ammette che “Le lavorazioni previste per lo
scavo del tunnel di base in Italia faranno probabilmente uso di additivi durante la fase di sotto-
attraversamento del Cenischia. In fase di progettazione esecutiva si valuterà se si rende necessario
l’impiego di additivi contenenti PFAS e in quali quantità”, e già mette le mani avanti negando
che “i PFAS possano essere trasportati dall’aria convogliata dagli impianti di ventilazione”.
Speciale Pfas 19. La Regione ignora la contaminazione Pfas in
Toscana.
Dopo il Veneto, la Lombardia e il Piemonte, Greenpeace ha rivolto le indagini alla
Toscana, per analizzare la concentrazione dei Pfas nei corsi d’acqua vicini agli scarichi dei
distretti dell’industria conciaria, tessile, florovivaistica e della carta, e per verificare se la
presenza di questi distretti contribuisca alla contaminazione ambientale. I campionamenti
sono stati effettuati per lo più nei fiumi sia a monte che a valle di questi noti impianti di
depurazione industriale: il consorzio Torrente Pescia e Aquapur (distretto carta); i
depuratori del distretto conciario (depuratore Aquarno) e del cuoio (depuratore Cuoio-
Depur, che scarica nel Rio Malucco); i fiumi Ombrone, Bisenzio e Fosso Calicino (distretto
tessile); il torrente Brana (distretto florovivaistico).
Le concentrazioni più elevate sono state rilevate nel Rio Malucco, nel Fosso Calicino,
nel fiume Ombrone e nel Rio Frizzone a Porcari a valle del depuratore Aquapur.
Nel fiume Ombrone la concentrazione a valle del distretto tessile è risultata circa 20 volte
superiore rispetto a monte, mentre nel Rio Frizzone a valle del depuratore la presenza di
PFAS era di circa 9 volte rispetto a monte.
Le contaminazioni più preoccupanti sono a valle di uno dei depuratori del distretto
tessile a Prato, quello di Calice (4.800 nanogrammi/litro), seguito dal canale Usciana a
valle del depuratore Aquarno che riceve gli scarichi del distretto conciario (4.500
nanogrammi/litro) e nel Rio Frizzone a valle del depuratore Aquapur (3.900
nanogrammi/litro) a Porcari, nel distretto cartario lucchese” .
Sono casi ben documentati da almeno dieci anni, ma la Regione Toscana non ha mai
affrontato seriamente il problema, né adottato un provvedimento sugli scarichi
industriali.
Ben prima, a Prato un gruppo di aziende tessili ha eliminato Pfas dal 2016.
Speciale Pfas 20. Pfas in tribunale a Lione.
La città metropolitana di Lione ha depositato un atto di citazione sommaria presso il
tribunale di Lione contro i gruppi Arkema France e Daikin Chemical France, a capo dei poli
industriali con sede nella “valle della chimica”, a sud della capitale della Gallia.
Secondo Le Monde, infatti, la comunità ha depositato una richiesta per una perizia
sull’inquinamento da Pfas delle acque circostanti. Questa procedura civile mira a stabilire
la realtà, la durata, l’entità e la fonte di questi “eterni inquinanti”.
Messaggio di pace e salute a 39.884 destinatari da Lino Balza Movimento di lotta per la
salute Maccacaro tramite RETE AMBIENTALISTA - Movimenti di Lotta per la Salute,
l’Ambiente, la Pace e la Nonviolenza
Nel rispetto del Regolamento (UE) 2016 / 679 del 27.04.2016 e della normativa di legge.
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