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Rischio nucleare Italia: le nuove bombe a Ghedi e Aviano
Stanno per arrivare dagli Stati Uniti anche a Ghedi (Brescia) e Aviano (Pordenone) le
bombe nucleari di “nuova generazione” B61-12. Sostituiranno le vecchie B61-11 dislocate
da anni nelle basi militari in Belgio, Germania, Paesi Bassi, Turchia e Italia nell’ambito
della cosiddetta dottrina del nuclear sharing, la “condivisione nucleare” della Nato.
Vengono definiti “ordigni nucleari tattici”, ma non sono meno pericolose delle “bombe
nucleari strategiche” presenti negli arsenali di Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno
Unito, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord.
La “potenza regolabile” della nuove B61-12 varia da 0,3 a 50 chilotoni, cinque volte
superiore alla bomba di Hiroshima. Ma – segnalano Rete Pace e Disarmo e Campagna
Ican – possono esplodere sotto la superficie terrestre aumentando così la loro capacità
distruttiva fino a raggiungere l’equivalente di un’arma a scoppio in superficie con una resa
di 1.250 chilotoni, cioè circa 83 bombe come quella usata a Hiroshima.
Tutto questo rende Ghedi e Aviano, ma di riflesso anche Brescia e Pordenone, possibile
bersaglio nella guerra nucleare. Una eventualità oggi non più così remota: in questi mesi le
autorità russe hanno manifestato la possibilità di impiegare bombe nucleari tattiche in
Ucraina.
Per tutta risposta, l’amministrazione di Joe Biden ha deciso di mantenere in vigore la
possibilità di utilizzare per primi gli ordigni nucleari, rinunciando così ad introdurre la regola
del No first use. Non solo: il rapido mutamento dello scenario mondiale sta portando a
giustificare anche l’uso preventivo delle armi nucleari per difendere quello che i vertici
americani ed europei definiscono l’“ordine basato sulle regole”.
Le bombe nucleari, anche quelle “tattiche”, non possono quindi più essere considerate uno
strumento di mera deterrenza, ma espongono le popolazioni dei territori in cui sono
stoccate ad essere bersagli del “primo colpo” o di ulteriori ritorsioni.
di Giorgio Beretta
osservatoriodiritti
Stanno per arrivare dagli Stati Uniti anche a Ghedi (Brescia) e Aviano (Pordenone) le
bombe nucleari di “nuova generazione” B61-12. Sostituiranno le vecchie B61-11 dislocate
da anni nelle basi militari in Belgio, Germania, Paesi Bassi, Turchia e Italia nell’ambito
della cosiddetta dottrina del nuclear sharing, la “condivisione nucleare” della Nato.
Vengono definiti “ordigni nucleari tattici”, ma non sono meno pericolose delle “bombe
nucleari strategiche” presenti negli arsenali di Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno
Unito, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord.
La “potenza regolabile” della nuove B61-12 varia da 0,3 a 50 chilotoni, cinque volte
superiore alla bomba di Hiroshima. Ma – segnalano Rete Pace e Disarmo e Campagna
Ican – possono esplodere sotto la superficie terrestre aumentando così la loro capacità
distruttiva fino a raggiungere l’equivalente di un’arma a scoppio in superficie con una resa
di 1.250 chilotoni, cioè circa 83 bombe come quella usata a Hiroshima.
Tutto questo rende Ghedi e Aviano, ma di riflesso anche Brescia e Pordenone, possibile
bersaglio nella guerra nucleare. Una eventualità oggi non più così remota: in questi mesi le
autorità russe hanno manifestato la possibilità di impiegare bombe nucleari tattiche in
Ucraina.
Per tutta risposta, l’amministrazione di Joe Biden ha deciso di mantenere in vigore la
possibilità di utilizzare per primi gli ordigni nucleari, rinunciando così ad introdurre la regola
del No first use. Non solo: il rapido mutamento dello scenario mondiale sta portando a
giustificare anche l’uso preventivo delle armi nucleari per difendere quello che i vertici
americani ed europei definiscono l’“ordine basato sulle regole”.
Le bombe nucleari, anche quelle “tattiche”, non possono quindi più essere considerate uno
strumento di mera deterrenza, ma espongono le popolazioni dei territori in cui sono
stoccate ad essere bersagli del “primo colpo” o di ulteriori ritorsioni.
di Giorgio Beretta
osservatoriodiritti