Notiz. AAdP num. 962 di venerdì 1 Dicem.2023

Notiz. AAdP num. 962 di venerdì 1 Dicem.2023, updated 12/2/23, 4:28 PM

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Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza

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Notiziario num. 962 di venerdì 1 Dicembre 2023

1
Sommario
“Intervento fatto a Caniparola (Fosdinovo) il 29
novembre per il 79° anniversario del rastrellamento
nazi-fascista nella zona” – Antonella Cappé
https://www.aadp.it/index.php?view=article&id=3812

“Assemblea semestrale dell'Accademia Apuana della
Pace del 5 dicembre 2023”, - AAdP, 26/11/2023
https://www.aadp.it/index.php?view=article&id=3809

“Mercoledì 29 novembre 2023 è
la Giornata
Internazionale
di
Solidarietà
con
il
Popolo
Palestinese”, - Redaz. AAdP
https://www.aadp.it/index.php?view=article&id=3811

“Marcia della Pace ad Assisi - 10 dicembre 2023.
L'Accademia Apuana della Pace aderisce”, - AAdP,
26/11/2023
https://www.aadp.it/index.php?view=article&id=3808

“Guerra e femminicidio, la stessa cosa”, - Enrico
Peyretti, 26/11/2023
https://www.aadp.it/index.php?view=article&id=3810

“Quando una guerra (non) finisce”, - Alessandro
Gisotti, - 25/11/2023
https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-
11/quo-271/quando-una-guerra-non-finisce.html

“8 dicembre di lotta: Giornata Internazionale contro le
Grandi Opere Inutili e Imposte”, - Presidio Europa No
TAV, 26/11/2023
https://serenoregis.org/2023/11/26/8-dicembre-di-
lotta-giornata-internazionale-contro-le-grandi-opere-
inutili-e-imposte/

“Portuali contro la guerra”, - Atlante delle Guerre e dei
Conflitti, José Nivoi, 26/11/2023
https://www.atlanteguerre.it/portuali-contro-la-
guerra/

"In Nord Est Siria la Turchia torna a bombardare", -
Redaz. di "Un Ponte per", 7/11/2023
https://www.unponteper.it/it/2023/11/nord-est-siria-
la-turchia-torna-bombardare/
“Legge e ordine", - Lorenzo Guadagnucci, 27/11/2023
https://comune-info.net/legge-e-ordine/

"Minori stranieri non accompagnati: dopo la condanna
della CEDU le violazioni permangono" - Ass.ne Studi
Giuridici sull'Immigrazione – ASGI, 28/11/2023
https://www.asgi.it/notizie/minori-stranieri-non-
accompagnati-dopo-la-condanna-della-cedu-le-
violazioni-permangono/

“Fabio Mini a l'AD: La mattanza a Gaza è pianificata
dalla dottrina Dahiy”, - Fabio Mini, 24/11/2023
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-
fabio_mini_a_lad_la_mattanza_a_gaza__pianificata_d
alla_dottrina_dahiya/5496_51739/

“Il NYT commenta così il numero delle morti a Gaza”, -
Reda. de “L'Antidiplomatico”, 28/11/2023
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-
il_nyt_commenta_cos_il_numero_delle_morti_a_gaza
/8_51800/
"Ilan Pappé: «Deriva messianica, il sionismo verso la
sua fine».” Chiara Cruciati, 28/11/2023
https://palestinaculturaliberta.org/2023/11/28/ilan-
pappe-deriva-messianica-il-sionismo-verso-la-sua-fine/
“Nel mio attraversare la porta verso il cancello che mi
avrebbe riportato alla libertà, sapevo che se non avessi
lasciato andare la mia amarezza e il mio odio sarei rimasto
ancora in prigione.” – Nelson Mandela
“As I walked out the door toward the gate that would lead to
my freedom, I knew if I didn’t leave my bitterness and hatred
behind, I’d still be in prison.” – Nelson Mandela


Notiziario num. 962 di venerdì 1 Dicembre 2023

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“Intervento fatto a Caniparola (Fosdinovo) il 29
novembre
per
il
79°
anniversario
del
rastrellamento nazi-fascista nella
zona” –
Antonella Cappé
“La nostra Costituzione è l'eredità della lotta partigiana,
della guerra di liberazione.
È importante ricordare quello che successe 80 anni fa
ed è doveroso continuare a portare avanti le idee e le
istanze di libertà, giustizia sociale e pace che hanno
mosso i partigiani e la Resistenza. Vorrei oggi parlare di
guerra e Pace, perché come dice Papa Francesco, "
stiamo vivendo la 3 guerra mondiale a pezzi".
Sulla guerra l'art. 11 della Costituzione è chiaro " L'Italia
ripudia la guerra---" non dice condanna... ma ripudia, un
termine molto più forte.
Proprio perchè avevano vissuto la guerra, i nostri
partigiani ne hanno conosciuto gli orrori, e questo
spiega la chiarezza senza mezzi termini, dell'articolo 11
della costituzione.
Perchè dalla seconda guerra mondiale le guerre non si
combattono solo al fronte, e tra gli eserciti, ma
coinvolgono i civili; con i bombardamenti aerei si
colpiscono le città, le persone comuni. Oggi oltre il 90 %
delle vittime nelle guerre attuali, sono civili. Per questo
nella nostra costituzione la condanna della guerra è così
forte e viene usato il termine RIPUDIO.
Dopo la seconda guerra mondiale si è sentita la
necessità di mettere anche delle " regole" alle guerre,
per attutirne gli orrori, per tutelare i più deboli e
innocenti: le donne e i bambini.
Nelle azioni militari si applicano le 4 convenzioni di
Ginevra, e altri protocolli.
I diritti umani che non possono essere violati in tempo
di guerra, per il non rispetto dei quali si è deferiti alla
corte penale dell'Aia, sono: l'assassinio e la mutilazione
di bambini e bambine, gli attacchi a scuole e ospedali,
gli stupri e altri tipi di violenza sessuale, il sequestro di
bambini e la negazione di aiuti umanitari
Oggi nelle guerre recenti, non ci sono più regole: non ci
sono mai state regole nelle azioni terroristiche che
volutamente vanno a colpire persone, civili, ammazzati
nella loro quotidianità. Sono saltate in maniera
impunita, anche le regole della guerra convenzionale, lo

abbiamo visto bene nella guerra di Israele a Gaza: colpiti
i civili, bombardate chiese, scuole ospedali, tolti i beni
di prima necessità. acqua luce.... e questo è molto molto
grave...per questo il nostro no alla guerra, il nostro
ripudio della guerra deve essere ancora più forte e
convinto.
E il ripudio della guerra passa dal disarmo, non ci sono
scorciatoie. Il tema del disarmo a partire dalla riduzione
delle spese militari, dall'istituzione anche a livello
europeo, dei corpi civili di pace, dall'adesione dell'Italia
al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (in
questi giorni c'è la conferenza internazionale e l'Italia
anche come uditrice, ha rifiutato di partecipare) dallo
studio di azioni diplomatiche di interposizione e non
violente, deve diventare centrale per una politica che
voglia portare davvero ad una convivenza sicura per
tutti in popoli.
Investire nelle armi è anche un pessimo affare, E' uscito
in questi giorni uno studio di Greenpeace che denuncia
che in Italia si è speso negli ultimi 10 anni il 132% in più
per armamenti; nel rapporto si aggiunge: " Un miliardo
investito nella difesa crea 3000 nuovi posti di lavoro, se
il miliardo fosse investito nell'educazione, avremo 14
mila posti di lavoro in più, 10 mila nell'ambiente, 12 mila
in sanità... Ancora prima di conoscere il rapporto , lo
abbiamo detto tante volte che le risorse spese in
armamenti avrebbero potuto essere investite in sanità,
scuola, lavoro
Le nazioni Nato della Ue spendono l’1,8% del loro Pil per
le forze armate, e vogliono arrivare all'obiettivo del 2%
del
Pil,
quindi
questi
investimenti
in
armi
aumenteranno....
C'è un altro aspetto della guerra, subdolo e nocivo,
l'aspetto culturale: in tempo di guerra , per preparare
una guerra occorre ridurre le libertà democratiche, il
libero pensiero, occorre sempre paventare un pericolo,
individuare un nemico , un nemico interno che attenta
alle nostre vite , alla nostra sicurezza e tranquillità, e da
noi è lo straniero ( i nostri confini, i confini europei sono
militarizzati non solo con km di mura, ma strumenti più
moderni come i droni,
i raggi
laser,
i sistemi
biometrici...il nostro mare non ha mura ma spesso è
direttamente una tomba. ) Poi ci sono le guerre esterne
per le quali dobbiamo schierarci: non si può dissentire,
il pensiero è unico, occorre solo obbedire, non si
possono avere dubbi... (ricordate allo scoppio della
guerra ucraina Russia, il trattamento subito nei media,

Notiziario num. 962 di venerdì 1 Dicembre 2023

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tv e giornali, per i pacifisti, giornalisti, preti che
dissentivano dall'invio di
armi?
tacitati come
filoputiniani...).
Oggi, l'eredità che abbiamo avuto dai partigiani, uno
stato libero e democratico, va nutrita e rafforzata,
occorre l'impegno di tutti e tutte perché sia applicata la
Costituzione, e
il
tema della Pace, a partire
dall'applicazione dell'articolo 11, " L'Italia ripudia la
guerra" può e deve diventare la cornice per un 'altra
visione del mondo, giusto e solidale che consegna una
prospettiva di futuro per tutti ma soprattutto per le
giovani generazioni. Lo dobbiamo ai nostri partigiani
perché il loro sacrificio non sia stato vano.
Nell’ultimo decennio le spese militari dei Paesi Nato
della Ue sono aumentate di quasi il 50%, dai 145 miliardi
di euro nel 2014 a una previsione di bilancio di 215 nel
2023: più del Pil annuale del Portogallo. Con la guerra in
Ucraina le spese militari per il 2023 dovrebbero
aumentare di quasi il 10% rispetto al 2022.
In Italia dal 2013, denuncia Greenpeace, si è speso il
132% in più per gli armamenti. La politica doveva essere
distratta nel non dirci in maniera così chiara ed esplicita
cosa è acceduto negli ultimi dieci anni, e non solo da
destra.
Valutazione politico economica chiave: un miliardo
investito nella Difesa crea 3mila nuovi posti di lavoro,
nell’educazione 14mila, 10mila nell’ambiente.
Uno scarto ancora maggiore sull’occupazione: se nella
difesa 1.000 milioni creano 3 mila nuovi posti di lavoro,
nell’istruzione sarebbero quasi 14 mila, nella sanità più
di 12 mila e quasi 10 mila nella protezione ambientale.
Circa
il quadruplo. Senza dubbio un pessimo
investimento.
Può uscire la guerra dalla storia? pensiamo di si, come
siamo arrivati a condannare e punire l'omicidio
individuale, se una persona ammazza un'altra persona,
con l’attenuante della legittima difesa, che è anche
questa regolamentata, viene punito e finisce in carcere.
perchè la guerra che è la decisione di fare un omicidio
collettivo, perchè non è altrettanto condannata?
Tanti interessi:
le guerre in africa a difesa per accaparramento delle
materie prime,


gli interessi dell'industria bellica, dei trafficanti di
armi...”

“Assemblea semestrale dell'Accademia Apuana
della Pace del 5 dicembre 2023”,
- AAdP,
26/11/2023

“Carissime/i,
vi invitiamo a partecipare a questi due appuntamenti
organizzati dall'Accademia Apuana della Pace:
Il primo appuntamento, il 5 dicembre 2023, alle ore
17.00, presso il l'oratorio della Parrocchia dei Quercioli
a Massa,
avrà
luogo
l'assemblea
semestrale
dell'Accademia Apuana della Pace.
È l'occasione per riflettere insieme sulla situazione, sulle
iniziative messe in campo e per scegliere insieme come
continuare a lavorare per la pace, il disarmo e la
nonviolenza.


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Nell'Assemblea poi saremmo chiamati a rinnovare i
componenti del Senato e ad eleggere il/ la portavoce,
incarichi giunti a conclusione del loro mandato.
Il secondo appuntamento nazionale è la Marcia della
Pace ad Assisi del 10 dicembre p.v. per il “Cessate il
fuoco e per non rassegnarsi alle guerre!”, che prevede
alle ore 10.00 un incontro di riflessione e di proposte,
con collegamenti on line con gruppi pacifisti israeliani e
palestinesi. Alle 14.30 ci sarà una marcia per la pace da
Santa Maria degli Angeli ad Assisi.
Per
l'occasione
l'Accademia Apuana della Pace
organizza un pullman, con partenza alle ore 5.15 a
Carrara dal piazzale Esselunga, e alle ore 5.30 a Massa
di fronte al Centro Verde Giovannelli.
Per prenotare telefonare ore pasti o messaggio su
WhatsApp al n. 329-0780298 (si ricorda che è previsto
un contributo per le spese di noleggio del pullman).”
- Accademia Apuana della Pace

“Mercoledì 29 novembre 2023 è la Giornata
Internazionale di Solidarietà con il Popolo
Palestinese”, - Centro di Ateneo per i Diritti Umani A.
Papisca, Comitato promotore Marcia Perugia - Assisi,
Università degli Studi di Padova
“Condividiamo il documento proposto da Centro di
Ateneo per i Diritti Umani A. Papisca, Comitato
promotore Marcia Perugia - Assisi e Università degli
Studi di Padova per il 29 novembre, Giornata
Internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese.”
Il documento può essere consultato alla pagina web:
https://www.aadp.it/edocman/palestina/doc3608.pdf








“Marcia della Pace ad Assisi - 10 dicembre 2023.
L'Accademia Apuana della Pace aderisce”, - AAdP,
26/11/2023


“Guerra e femminicidio, la stessa cosa” - Enrico
Peyretti, 26/11/2023
“Ieri (25 novembre, ndr) grandi manifestazione per la
liberazione delle donne dal maschilismo violento.
Intanto, questa tragedia e vergogna umana - la guerra
Hamas-Israele, Israele-Palestina, come Russia-Ucraina,
Ucraina-Russia, come tutte le altre che non guardiamo -
è fallimento di umanità, di cui dobbiamo sentirci tutti
responsabili per legami storici, culturali, economici,
kako-antropologici.
La reazione sana all'ultimo delitto maschio contro
femmina, può essere un inizio di riscatto, se vediamo
che questa violenza privata, perdita e rinnegamento di
umanità, è la stessa identica sostanza delle guerre
politico-statali-etnico-economiche-suprematiste
che
una politica subumana giustifica e alimenta.

Notiziario num. 962 di venerdì 1 Dicembre 2023

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É lo stesso fenomeno di disumanità, di perdita, di morte
imperante volontaria, che accade nel privato come nel
politico. Lo stato, il governo, la classe dirigente, il potere
economico
che
fanno
una
guerra,
sempre
ingiustificabile e criminale, agiscono come l'uomo,
fallito in umanità, che uccide la donna che voleva
possedere e dominare, schiavo della propria incapacità
di vivere in relazione.
Dove c'è guerra, e preparazione di guerra (armi, enormi
strutture omicide, stragiste, volontà di dominio, non di
difesa), c'è delitto, come nel femminicidio. Quando
vorremo liberarci radicalmente dalla guerra, da ogni
guerra? Le donne possono farlo. Aiutiamole tutte,
tutti.”

“Quando una guerra (non) finisce”, - Alessandro
Gisotti, - 25/11/2023
“Si è soliti affermare che l’unica cosa certa quando inizia
una guerra è che essa, prima o poi, finirà. Amara
consolazione e tuttavia neppure così corrispondente
alla realtà. Se infatti in un passato lontano i conflitti
coinvolgevano “solo” gli eserciti in aree lontane dai
centri abitati, da ormai troppo tempo — e sempre di
più, come riportano le cronache di questi anni — a farne
le spese sono i civili e, tra loro, soprattutto i bambini.
Dunque, la guerra, una volta iniziata, in realtà non
finisce mai. Dura almeno una intera generazione, quella
che l’ha subita. Ecco perché ruba la speranza: perché
come un buco nero s’inghiotte il futuro ben oltre lo
sparo dell’ultimo colpo di mortaio.
Lo sanno bene quanti — una volta cessate le ostilità —
tornano a casa dopo essere stati al fronte o, ancora
peggio, essere stati prigionieri di guerra. Sono persone
provate nel fisico e ancor più piegate nello spirito,
perché alcune cicatrici sulla pelle si assottigliano con il
tempo, mentre quelle sull’animo fanno fatica a
cicatrizzarsi. Dopo la guerra in Vietnam, si è definita a
livello medico la condizione patologica in cui vivevano
— o meglio sopravvivevano — i reduci americani: Post
Traumatic Stress Disorder. Quanti oggi, nella “Terza
Guerra Mondiale a pezzi”, si trovano proprio in quella
stessa situazione, se non peggio? E quante persone —
mogli, figli, genitori — vedranno la loro vita scossa per
sempre perché il marito, il padre o il figlio che ha vissuto
gli orrori della guerra non sarà più lo stesso di prima,
una volta tornato da loro?

Ci sono poi quelli che a casa non torneranno più.
«All’entrata — ha detto Francesco il 2 novembre scorso
al War Cemetery di Roma — io guardavo l’età di questi
caduti. La maggioranza è tra i 20 e i 30 anni. Vite
stroncate, vite senza futuro... E ho pensato ai genitori,
alle mamme che ricevevano quella lettera: “Signora, ho
l’onore di dirle che lei ha un figlio eroe”. “Sì, eroe, ma
me l’hanno tolto!”».
Questa è la guerra che, una volta iniziata, non finisce
mai davvero del tutto. Il Papa lo sa, ne sente tutto il peso
e per questo non smette di ripetere che non dobbiamo
rassegnarci alla sua logica, la logica di Caino. Lo fa con i
suoi instancabili appelli. Con la preghiera e il digiuno, le
armi potenti dei discepoli di Cristo. E lo fa, con coraggio,
incontrando quanti sono vittime delle guerre, di tutte le
guerre. Incontri dove tocca con mano le ferite del
mondo e, assieme alle parole, comunica con lo sguardo,
l’ascolto e il silenzio, “strumenti” privilegiati di
tenerezza e consolazione. Strumenti di chi sogna una
“Chiesa ospedale da campo”.

“8 dicembre di lotta: Giornata Internazionale
contro le Grandi Opere Inutili e Imposte”, -
Presidio Europa No TAV, 26/11/2023
“Marcia popolare NO TAV – Venerdì 8 dicembre 2023,
da Susa a Venaus”
“8 dicembre di lotta. Da sempre l’8 dicembre per il
Movimento No TAV è un momento di ricordo della
grande giornata di lotta e resistenza del 2005 ma è
soprattutto uno sguardo che dal passato volge al futuro
per continuare la battaglia contro il progetto del treno
ad alta velocità Torino Lione, un Crimine Climatico.
Quest’anno le iniziative in programma, che coincidono
anche con la 14a Giornata Internazionale contro le
Grandi Opere Inutili e Imposte, permetteranno a tutti
noi di marciare insieme lungo i sentieri e i luoghi della
Valle che Resiste e di rafforzare i sentimenti e gli ideali
che, da più di 30 anni, muovono l’opposizione a
quest’opera ecocida e devastante.
Ancora una volta questa data ci ricorda che la nostra
lotta è più che mai attuale e viva, e rafforza la nostra
solidarietà con le altre lotte nazionali e internazionali.
Il cambiamento climatico in atto ha delle conseguenze
terribili: siccità, temperature anomale, scioglimento dei

Notiziario num. 962 di venerdì 1 Dicembre 2023

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ghiacciai e perdita di biodiversità all’interno dei territori
sono solo alcune di queste.
Le nostre montagne, violentate dai cantieri TAV, sono
l’esempio di questa devastazione che andrà ad agire
sulla nostra salute e sul suolo prosciugando le falde
acquifere del territorio.
Anche in Francia i comitati territoriali e alcune
amministrazioni si sono mossi negli anni e si stanno
mobilitando ancor di più per denunciare le conseguenze
idrogeologiche della costruzione del tunnel ferroviario
Torino-Lione costituendo con noi un fronte comune.
La voracità del TAV imperversa in Val di Susa non solo
nel cantiere di Chiomonte o all’autoporto di San Didero,
ma anche per le strade della valle piene di camion (quasi
un centinaio al giorno) ricolmi di materiali sicuramente
dannosi per la nostra salute. Inoltre campi e terreni tra
Susa e Bussoleno sono oggetto quotidiano di sondaggi,
prese di possesso ed espropri. Lavori propedeutici alla
futura costruzione dell’asse di interconnessione tra i
due paesi e fonte di litigi tra gli amministratori per
l’accaparramento della costruzione di una fantomatica
stazione internazionale.
Nel frattempo, TELT e il Gruppo Gavio, continuano
imperterriti a fare i propri interessi spartendosi gli
appalti dei lavori: basti pensare che, oltre Sitaf con
l’autoporto, anche “Itinera” (sempre del Gruppo Gavio)
si è “aggiudicata” l’appalto del tunnel di base a due
canne di 57,5 km.
Allo sperpero di denaro pubblico e alla distruzione dei
territori si accompagna la crescita delle disuguaglianze
sociali e politiche sempre più volte a ledere la libertà di
espressione del dissenso e a criminalizzare la povertà e
l’immigrazione.
L‘appuntamento dell’8 dicembre si inserisce inoltre in
un quadro mondiale caratterizzato da guerre e nuovi
colonialismi.
L’occidente bianco e
suprematista
continua a voler ridisegnare l’ordine mondiale, basti
pensare allo sterminio in atto del popolo palestinese.
Cresce la produzione e il commercio delle armi mentre
gran parte dell’umanità è costretta alla fame e all’esodo
forzato.
Anche il progetto TAV Torino-Lione fa la sua parte in
quanto, come infrastruttura TEN-T a duplice uso civile-
militare sarà adatto al trasporto di armi, una prospettiva
in sintonia con gli attuali venti di guerra che stanno

determinando la trasformazione dell’industria e della
ricerca torinese, prima volte alla produzione di
automobili, a polo bellico.
Oltre i governi e le loro politiche ci siamo noi con i nostri
corpi, le nostre idee e la nostra capacità di vigilare sul
territorio.
L’invito per tutt* per questo 8 dicembre è quello di
raggiungere la Val di Susa, la Valle che resiste, per la
grande marcia popolare da Susa a Venaus e per le tante
altre iniziative che attraverseranno la nostra terra in
quei giorni.
L’8-9-10 saranno tre giornate di lotta, dibattito, socialità
e di iniziative ai cantieri. Prepariamoci tutti ad un lungo
fine settimana di unione e lotta!”

“Portuali contro la guerra”, - Atlante delle Guerre e
dei Conflitti, José Nivoi, 26/11/2023
“Genova – José Nivoi ha 37 anni ed è portavoce dei Calp
di Genova, il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali
del capoluogo ligure. Lavora sulle banchine del porto da
quando ha 21 anni. Dopo aver animato le battaglie
contro le navi delle armi dirette in Arabia Saudita, con il
collettivo portuale, oggi è anche sindacalista di base
dell’Usb. Insieme al collega Corrado Majocco è stato
invitato all’evento per la pace convocato il 2 maggio da
Michele Santoro al teatro Ghione di Roma. Chiamati sul
palco, i due compagni sono stati accolti con una
standing ovation, segno che le lotte sociali e politiche
che portano avanti sono apprezzate in tutta Italia. Ma
veniamo all’attualità, drammatica e stringente. I
portuali italiani – e non solo – stanno alzando la voce
contro l’esportazione di armi verso Israele e negli ultimi
giorni si stanno susseguendo senza sosta scioperi,
presidi e blocchi delle navi al grido di “non vogliamo
essere complici della guerra”. Come già fatto in passato,
gli operai si rifiutano di caricare le navi con gli
armamenti. «È solo il primo passo di un percorso a
sostegno del popolo palestinese», dichiara José.
«Siamo contro tutte le guerre – prosegue –, siamo
internazionalisti e quindi appoggiamo il diritto alla
resistenza dei popoli oppressi e brutalizzati dal
colonialismo, come i palestinesi. Siamo per
lo
scioglimento della Nato in quanto non abbiamo dubbi
sul ruolo nefasto esercitato da questa organizzazione,
che è nata e si è sviluppata per garantire il dominio

Notiziario num. 962 di venerdì 1 Dicembre 2023

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dell’imperialismo USA e occidentale sul resto del
mondo». Qualche anno fa il Calp decise di bloccare
alcune navi saudite che trasportavano armi in Yemen,
dove sulla pelle della popolazione si stava scatenando
l’inferno di una delle tante guerre dimenticate in questi
anni. «Raccoglievamo quindi un testimone che non era
mai stato perduto – ricorda José –, quello lasciato dai
portuali genovesi che bloccavano le armi americane
dirette in Vietnam, usate per tentare, senza riuscirci, di
sconfiggere l’eroica resistenza antimperialista di quel
popolo».
Oggi la guerra in Ucraina continua e la situazione a Gaza,
con il genocidio dei palestinesi, fa risultare ancora
meglio come alcune delle intuizioni che avevamo avuto
anni prima si siano, purtroppo, avverate», prosegue
José. «Da molto tempo infatti segnalavamo un
pericoloso aumento di traffici di armi nei porti: non è
stato difficile per noi capire che le guerre non scoppiano
da un giorno all’altro, ma vengono preparate nel
tempo». La guerra tra Israele e Hamas è entrata anche
nei porti italiani e internazionali. Da giorni i sindacati
italiani legati ai portuali, in particolare in città come
Genova, si stanno mobilitando per bloccare le
spedizioni di armi via mare a Israele. “Non vogliamo
partecipare al massacro”, il messaggio che si legge sui
volantini di protesta in riferimento all’offensiva bellica
israeliana su Gaza, che in un mese avrebbe già causato
oltre 10mila morti. E manifestazioni di questo tipo sono
in corso anche all’estero, dalla Spagna al Belgio, fino agli
Stati Uniti. Siamo internazionalisti e quindi appoggiamo
il diritto alla resistenza dei popoli oppressi e brutalizzati
dal colonialismo, come i Palestinesi”.
“La catena logistica è necessaria ad alimentare i conflitti
rifornendoli di armamenti e noi non vogliamo fare parte
di questo ingranaggio”. Lo scrive in un comunicato il
Calp nell’annunciare la mobilitazione nel porto di
Genova per bloccare l’invio di armi a Israele.
Rispondendo all’appello dei sindacati palestinesi e
mobilitazione internazionale,
il sindacato USB, il
collettivo lavoratori portuali e altre sigle pacifiste hanno
bloccato il porto di Genova. Sono gli stessi lavoratori che
già bloccarono le navi della compagnia Bani dirette
verso l’Arabia Saudita cariche di armi.
Circa 400 di loro da qualche giorno hanno dato vita a un
presidio davanti al varco portuale di San Benigno a
Genova in segno di protesta contro il conflitto israelo-
palestinese e il trasporto di armi verso i Israele da parte

della Zim Integrated Shipping Services (Zim),
la
compagnia marittima israeliana che si è messa a
disposizione per trasportare materiale bellico verso lo
Stato ebraico. Continueremo a seguire la situazione per
capire come si evolverà e soprattutto per raccontare
queste piccole grandi sacche di resistenza che, se
opportunamente intessute in una grande rete, possono
fare davvero la differenza.”

"In Nord Est Siria la Turchia torna a bombardare",
- Redaz. di "Un Ponte per", 7/11/2023
“Una nuova operazione militare turca, che prosegue a
fasi alterne dal 2019, torna a spaventare la popolazione.
E a danneggiare gravemente le strutture civili.”
“Nei giorni in cui la tragedia palestinese è tornata ad
imporsi alle cronache, ricordando al mondo la sua
urgenza, il governo turco è tornato a bombardare il
Nord Est Siria, compiendo un attacco tra i più duri
dell’ultimo anno. Non lo hanno raccontato i media, ma
dal 5 al 10 ottobre scorso le forze armate turche hanno
condotto
un’aggressione
durissima
contro
la
popolazione dell’area. Questa volta sono stati presi di
mira target civili,
infrastrutturali ed energetici. I
bombardamenti hanno colpito oltre 150 siti nei
governatorati di Hassakeh, Raqqa e Aleppo,
provocando decine di vittime e distruggendo centrali
elettriche e idriche, che hanno comportato il taglio di
acqua ed elettricità in tutta la regione.
Come denuncia l’Amministrazione Autonoma, i danni
alle infrastrutture hanno avuto un impatto gravissimo
su 4,3 milioni di persone, mettendo completamente
fuori uso 18 centrali idriche e 11 centrali elettriche, tra
cui quella di Sweidiya, che fornisce gas ed elettricità a
tutte le regioni del Nord Est; e quella di Qamishlo, che
sostiene 40mila famiglie. Attacchi che hanno reso
impossibile la distribuzione di energia elettrica e acqua
almeno fino al 18 ottobre. Una situazione già
denunciata in passato dalla società civile, che lancia
l’allarme sulla diffusione di malattie come il colera a
causa della mancanza di acqua pulita. I due ospedali di
Al-Jazira e Kobane sono stati messi completamente
fuori servizio.
Le lezioni scolastiche sono state interrotte, lasciando a
casa migliaia di studenti e studentesse che frequentano
48 scuole. Il numero totale di siti civili presi di mira dalle

Notiziario num. 962 di venerdì 1 Dicembre 2023

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forze armate turche è arrivato a 104, nel corso di 580
incursioni aeree e terrestri da Derik fino a Al-Shahba,
che hanno colpito la quasi totalità del Nord Est Siria.
Durante l’aggressione, sono state uccise almeno 50
persone e altrettante sono rimaste
ferite. La
popolazione, già alle prese con una grave crisi idrica
dovuta alla siccità dei mesi estivi, si trova adesso in
grave difficoltà e il livello dei danni provocati a servizi
essenziali eccede
la capacità di
risposta delle
organizzazioni umanitarie che operano sul campo.
Come fanno sapere i nostri colleghi e colleghe locali, le
operazioni militari hanno provocato la distruzione di
numerose centrali elettriche e, di conseguenza, messo
in ginocchio gli ospedali locali e causato gravi danni alle
scorte di medicinali che è necessario conservare nei
frigoriferi. Ma la situazione peggiore, avvertono, è
quella che si registra nella regione della Jazira, dove la
mancanza di acqua pulita sta rischiando di creare danni
importanti.
“Non è la prima volta che ci troviamo a fronteggiare le
drammatiche conseguenze degli attacchi
turchi
nell’area” - ci racconta Luca Magno, Desk Programmi in
Siria di Un Ponte Per - “Stiamo lavorando con i nostri
partner per fare la nostra parte e fornire nuovi
generatori e pannelli solari, assicurare assistenza
medica attraverso le Unità mobili per coprire i bisogni
dei villaggi e dei campi per sfollati/e colpiti, come quello
di Washokhani. Le persone sono molto spaventate,
dobbiamo rassicurarle, far sentire loro che non sono sole
e che siamo pronti a ricostruire quello che la guerra
distrugge, ogni volta che sarà necessario”.

“Legge e ordine", - Lorenzo Guadagnucci, 27/11/2023
“Ricordate il “pacchetto Prodi” di quindici anni fa? Era
l’epoca dell’ordinanza fiorentina contro i lavavetri, della
legittimazione della “insicurezza percepita”, nonostante
l’inesistenza di un’emergenza criminale, come motivo
sufficiente per inasprire le pene, colpire gruppi sociali
marginali, offrire nuovi strumenti d’azione alle forze
dell’ordine. Da allora è stata un’escalation senza fine,
ultimo epigono l’attuale governo che ora interviene da
par suo. La guerra contro indesiderati e disturbatori -
spiega Lorenzo Guadagnucci su PerUnaltracittà - fa il
suo orribile salto di qualità.”
“Ha scritto Miguel Benasayag, psicoanalista e filosofo
militante, che la “promessa di sicurezza è una falsa

promessa”: chiede in cambio un po’ di libertà e genera
l’opposto di ciò che lascia
intravedere; genera
regolarmente
insicurezza.
Che
altro
pensare
dell’ennesimo pacchetto
sicurezza
governativo?
Stavolta la firma in calce è di Giorgia Meloni e dei suoi
ministri, ma lo schema non cambia, dal “pacchetto
Prodi” in poi. Era l’epoca dell’ordinanza fiorentina
contro i lavavetri, della legittimazione della “insicurezza
percepita”, nonostante l’inesistenza di un’emergenza
criminale, come motivo sufficiente per inasprire le
pene, colpire gruppi sociali marginali, offrire nuovi
strumenti d’azione alle forze dell’ordine. Da allora
abbiamo assistito a un’escalation senza fine, ultimo
epigono l’attuale governo di destra-destra, che
interviene da par suo, facendo gridare – inevitabilmente
– al populismo penale, alla scure autoritaria, allo stato
di polizia. Cambiano le norme, si inventano nuovi reati,
si prevedono pene strabilianti, ma sempre dentro la
medesima cornice di almeno quindici anni fa, fondata
su tre presupposti: un’inesistente emergenza criminale
o microcriminale; la proposta di uno stato forte, che usa
il pugno di ferro contro devianti e disturbatori; il rifiuto
d’intendere la sicurezza secondo la sua storica
accezione di sicurezza civica e sociale, nell’uguaglianza
e nella solidarietà.
Il governo Meloni presenta dunque i suoi disegni di
legge, tanto banali quanto pericolosi (qui il comunicato
di Palazzo Chigi); in attesa che il parlamento ne discuta,
possiamo riassumerli, anziché punto per punto,
ordinandoli secondo le minoranze colpite, le fattispecie
evocate, i soggetti favoriti, sempre ricordando che il
principale intento non è pratico, ma propagandistico, e
teso comunque a disciplinare la vita pubblica secondo
l’antico, sempreverde motto “legge e ordine”, pur
sapendo che la promessa di sicurezza in cambio di
libertà, durante una falsa emergenza, dissemina
ingiustizia, rabbia e quindi genera insicurezza.
Indesiderati. Dice Palazzo Chigi, quasi con nonchalance,
che “si modificano le norme relative al rinvio della pena
per donne incinte e madri di bambini fino a un anno di
età, in modo da rendere tale rinvio facoltativo anziché
obbligatorio”, una norma tradotta non a torto dai media
con il titolo: “più bambini in carcere”. Un’aberrazione.
Ma anche un messaggio, perché lo spirito della norma
non guarda ai bambini ma alle madri, in particolare alle
madri rom, anzi alle “borseggiatrici rom”, simbolo
mediatico e politico di infinite campagne

Notiziario num. 962 di venerdì 1 Dicembre 2023

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sull’emergenza sicurezza in città. Quanti titoli, quanti
articoli abbiamo letto sulle “ladre che appena prese
tornano libere perché sempre incinte, sempre coi figli
piccoli attorno”? Altre norme su misura, col medesimo
obiettivo, prevedono “Daspo ad hoc” per impedire di
avvicinarsi alle stazioni ferroviarie per “soggetti
denunciati o condannati per reati contro la persona o il
patrimonio” e l’innalzamento da 14 a 16 anni dell’età
considerata per configurare il reato di costrizione
all’accattonaggio. Insomma, fuori dai piedi i mendicanti
e carcere più facile per le donne rom.
Disturbatori. Secondo i canoni del diritto, le norme
dovrebbero avere caratteri “generali” e “astratti”, senza
riferirsi cioè a casi specifici, ma come non pensare agli
attivisti ecologisti di Ultima Generazione e altri gruppi –
imprudentemente e colpevolmente definiti da molti
media “eco-teppisti” se non “eco-terroristi” – di fronte
alle nuove norme che prevedono la trasformazione in
reato penale, da illecito amministrativo qual era, per i
casi di “impedimento della libera circolazione su strada
ordinaria” quando il fatto è compiuto “da più persone”.
Una norma che potrebbe riguardare anche certe
manifestazioni sindacali. Altri disturbatori individuati
dal pacchetto sicurezza Meloni sono quei migranti e
quei carcerati che non piegano la testa e magari cercano
di protestare di fronte a costrizioni e angherie.
Sembrano pensate per loro le norme che puniscono la
“rivolta” (anche come “resistenza passiva”) nelle
“strutture di accoglienza e di contrasto all’immigrazione
illegale” e la configurazione in un nuovo reato, il “delitto
di rivolta in istituto penitenziario”, una fattispecie di per
sé superflua (sono in corso numerosi processi per reati
compiuti da detenuti durante rivolte carcerarie), ma
utile a marcare il territorio e mandare un messaggio
esplicito alle forze di sicurezza, alle prese, a loro volta,
con alcuni processi per il crimine di tortura, a seguito di
fatti avvenuti proprio durante presunte o reali rivolte
carcerarie. Altri disturbatori individuati con nuove
norme ad hoc, sono gli “occupanti di immobili destinati
a domicilio altrui”, una presunta emergenza delle cui
dimensioni ben poco si sa e a prima vista coperta da
figure di reato già esistenti.
Lisciare il pelo. Non si capisce la reale natura del
pacchetto sicurezza Meloni senza leggere le norme
dedicate alle forze dell’ordine, da tempo sotto stress
per le carenze d’organico e altri deficit strutturali (nella


formazione, nella trasparenza, nelle regole d’accesso,
nelle retribuzioni), ma anche sfregiate, nella propria
immagine e credibilità, da numerosi casi di conclamati e
documentati abusi. Oltre a quanto già stabilito per il
carcere, il governo Meloni prevede di aumentare
ancora una volta le sanzioni per casi di resistenza,
minaccia e violenza verso agenti in servizio e anche per
“imbrattamenti” commessi con “la finalità di ledere
l’onore, il prestigio o il decoro dell’istituzione cui il bene
appartiene”, fino alla detenzione in caso di recidiva. E
aggiunge, a sorpresa, la facoltà per gli agenti di pubblica
sicurezza di “portare senza licenza un’arma diversa da
quella di ordinanza quando non sono in servizio”, una
misura di cui si è minimizzata la “ratio” (le pistole
d’ordinanza sono ingombranti e scomode, ha spiegato
il ministro dell’Interno Piantedosi), ma che pare, ancora
una volta, un messaggio “da duri a duri”, o presunti tali,
e anche un modo per legittimare la circolazione delle
armi come strumento di autodifesa universale da non
precisate minacce.
Il pacchetto Meloni include varie altre norme e
fattispecie di cui ci sarà tempo per discutere in
parlamento, ma ne varrà davvero la pena solo se
prenderà finalmente forma, nelle aule di Camera e
Senato e soprattutto fuori, una forte consapevolezza
che serve a poco discutere dei singoli provvedimenti
senza mettere in discussione la cornice che li rende
possibili. Il bisogno di sicurezza – sociale, umanitaria,
esistenziale – è reale per molte persone e dev’essere
affrontato, ma fuori dal clima di fasulla emergenza e di
concreta criminalizzazione di minoranze e disturbatori
sgraditi, un clima nel quale siamo immersi da troppo
tempo.”

"Minori stranieri non accompagnati: dopo la
condanna della CEDU le violazioni permangono" -
Ass.ne Studi Giuridici sull'Immigrazione – ASGI,
28/11/2023
“Privazione della libertà e accoglienza inadeguata, in
centri per adulti o trattenuti in commissariati in attesa
di collocazione. ASGI denuncia al Comitato dei Ministri
del Consiglio dell’Europa: il piano d’azione annunciato
dal Governo a luglio non è attuato. Nonostante la
condanna della CEDU del caso Darboe e Camara, in
Italia persistono violazioni nei confronti dei minori
stranieri in accompagnati. E con il decreto 133/2023 la
situazione peggiorerà.”

Notiziario num. 962 di venerdì 1 Dicembre 2023

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“In data 6 novembre ASGI ha inviato una comunicazione
al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per
chiedere
la
continuazione della procedura di
supervisione dell’attuazione della sentenza Darboe e
Camara con la quale la Corte EDU aveva condannato
l’Italia.
Il caso riguardava la procedura di accertamento dell’età
e il collocamento di due minori non accompagnati in un
centro di accoglienza per adulti. La Corte europea dei
diritti dell’uomo ha riscontrato all’unanimità una
violazione degli articoli 3, 8 e 13 della Convenzione. A
seguito della sentenza è stata quindi avviata la
procedura di supervisione di fronte al Comitato dei
Ministri del Consiglio di Europa.
La sentenza resta fortemente attuale.
Contrariamente a quanto sostenuto dal Governo
nell’Action Report del 6 luglio 2023, ASGI denuncia il
persistere di condotte illegittime così come emerge
dall’azione di monitoraggio svolta e dalle modifiche
normative da ultimo intervenute.
“Il Governo ritiene di aver pienamente rispettato i
principi stabiliti nelle sentenze in esame sulle diverse
questioni affrontate dalla Corte”: questa affermazione
conclusiva contenuta nella comunicazione della
rappresentanza italiana al Comitato dei Ministri del COE
appare irriverente alla luce della cronaca quotidiana che
descrive le condizioni a cui sono costretti a vivere i
minori stranieri non accompagnati in Italia
Trattenere minori, prassi generalizzata in Italia
La legge italiana vieta espressamente il trattenimento
dei minori stranieri non accompagnati, secondo quanto
previsto dal D.Lgs. 142/2015, nei centri di permanenza
per il rimpatrio, negli hotspot e nei centri governativi di
prima accoglienza. Infatti, i minori, appena giunti sul
nostro territorio, hanno diritto al permesso di soggiorno
per minore età (art. 32 D.Lgs. 286/98) e ad essere accolti
nei centri a ciò deputati dal Ministero dell’Interno fino
al raggiungimento della maggiore età.
Ciò che invece avviene sistematicamente presso alcuni
posti di frontiera italiani, come Crotone, Lampedusa,
Pozzallo, l’hotspot di Contrada Cifali e di Taranto, è il
trattenimento generalizzato dei minori stranieri non
accompagnati ivi accolti, che non possono lasciare il


centro e sono quindi costretti a una condizione di totale
isolamento.
Inoltre, è prassi, come nel caso del territorio pugliese,
che i minori stranieri non accompagnati siano accolti in
strutture destinate ad adulti,
in condizioni di
promiscuità. O ancora, come prassi romana dalla fine
del 2022, si verifica che i minori non accompagnati che
arrivano ai commissariati e che non possono essere
accolti in strutture dedicate a causa dei limiti di
capienza, sono temporaneamente trattenuti nei
commissariati
in attesa di collocazione. Questa
disposizione viene presa
in base alle direttive
dell’autorità giudiziaria e del Comune di Roma. Secondo
la polizia, questi minori sono costretti a sopportare
condizioni disumane, essendo costretti a dormire sulle
panchine, poiché non sono disponibili alloggi o stanze
adeguate per loro.
Anche le zone di frontiera interna sono interessate dalla
presenza di molti minori che spesso rimangono senza
accoglienza. Molti minori identificati come adulti dopo
lo sbarco e collocati in strutture di accoglienza
inadeguate decidono di lasciare l’Italia e raggiungere
altri Paesi europei. L’ASGI ha rilevato che a Ventimiglia
le autorità italiane procedono, in molti casi, a notificare
all’interessato provvedimenti di respingimento differito
o di espulsione amministrativa senza effettuare alcun
accertamento dell’età.
Nei centri per adulti sovraffollati senza supporti
psicologici e legali con le nuove norme
Tale quadro risulta ancora più grave se si considera che
il 6 ottobre 2023 è entrato in vigore il decreto legge n.
133, che introduce significative modifiche in materia di
accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e di
accertamento dell’età.
Il decreto prevede la possibilità che i minori non
accompagnati di età superiore ai 16 anni siano accolti in
centri di accoglienza straordinaria per adulti, seppur in
una sezione dedicata, privi di supporto educativo, dei
servizi di assistenza
legale e psicologica e di
insegnamento dell’italiano e spesso caratterizzati da
condizioni di sovraffollamento, andando a formalizzare
la prassi in uso e determinando una gravissima
violazione dei diritti dei minori.
Inoltre si stabilisce una procedura per l’accertamento
dell’età che deroga alle garanzie fornite dalla procedura

Notiziario num. 962 di venerdì 1 Dicembre 2023

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ordinaria. Una procedura che manca di garanzie
procedurali minime per rispettare il principio della
presunzione di minore età, tutelato dall’articolo 8 della
Convenzione. Inoltre, non fornisce l’accesso a un ricorso
effettivo nelle procedure di accertamento dell’età.
ASGI chiede una supervisione sull’Italia al Comitato dei
ministri del COE
Considerata
la natura sistemica delle violazioni
monitoratela mancata attuazione di quanto sostenuto
dal Governo nell’Action Report del 6 luglio 2023 e le
novità introdotte sul piano normativo con il Decreto
Legge 133/2023 attualmente in fase di conversione in
legge alla Camera, che determineranno gravi violazioni
degli articoli 3, 8 e 13 della Convenzione Europea dei
Diritti dell’Uomo analoghe a quelle riscontrate nel caso
Darboe e Camara, ASGI ha inviato una comunicazione al
Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 6
novembre 2023 chiedendo di procedere con la
supervisione
dell’attuazione
della
sentenza,
formulando anche una serie di raccomandazioni,
rimarcando la necessità di garantire il pieno rispetto di
tutti i diritti dei minori.”

“Fabio Mini a l'AD: La mattanza a Gaza è
pianificata dalla dottrina Dahiy”, - Fabio Mini,
24/11/2023
“In pratica si risolve nel fatto di dover distruggere e
ammazzare almeno la metà dei due milioni che sono
presenti nella striscia di Gaza”. Il generale Fabio Mini in
un’intervista a l’AntiDiplomatico condotta da Clara
Statello commenta l’operazione militare di Israele e
quella che definisce la “mattanza” in corso contro la
popolazione della striscia. “È una situazione tristissima.
Ed è anche una situazione che non ha nessun senso dal
punto di vista militare. Non esiste nessuna dottrina
militare in campo occidentale, ma neanche in quella
orientale che può spiegare quello che Israele sta
facendo a Gaza”, prosegue il generale.
“Qual è l’obiettivo finale per il quale si possa dire che la
che l'operazione si è conclusa con successo? Non c'è, o
almeno quello
che
gli
israeliani
attualmente
considerano come un successo è di ammazzare tutti
quelli di Hamas. E se per ammazzare tutti quelli di
Hamas bisogna ammazzare anche tutti quelli che non

c'entrano niente e che semmai lo subiscono Hamas non
importa.”, prosegue.
Non è soltanto il diritto umanitario o il diritto
internazionale bellico che non lo consente. È proprio
anche una questione di logica militare secondo Mini.
Nel ricordare un suo libro del 2017 pubblicato da “Il
Mulino”, Mini spiega molto bene come la “dottrina
Dahiya” spiega quello che sta accadendo oggi a Gaza.
Dahlia è il nome del quartiere sciita di Beirut che fu
praticamente
raso
al
suolo
“senza
nessuna
discriminazione tra civili, combattenti, non combattenti
da Israele”. E Dahlia è la dottrina che prevede proprio
“papale papale” che un avversario di Israele non può
attribuirsi nessun tipo di innocenza di nessun tipo “né di
razza, né di età né di condizione sociale, niente”.
E la risposta che sia contro Hamas, Hezbollah o
palestinesi, “doveva essere sproporzionata”. E qui Mini
spiega un concetto che è
fondamentale per
comprendere lo sterminio in corso a Gaza: “Ad un
attacco di qualsiasi tipo doveva seguire una reazione di
assoluta sproporzione che avrebbe prima di tutto
eliminato tutti quelli che erano di fronte in quel
momento, ma soprattutto avrebbe dovuto fare da
deterrente. Deterrenza per punizione, così come si
classifica in tutti i manuali militari”. Ed è una deterrenza
che gli Stati Uniti hanno applicato decine di volte – Mini
ricorda diversi esempi tra Iraq e Afghanistan – e che non
funziona perché purtroppo nel momento in cui si è
attuata la punizione, “siamo sicuri che l'avversario
rinuncia al a una contropunizione? È un circolo vizioso.”
Con la dottrina Dahlia, prosegue Mini, i morti civili non
sono solo “danni collaterali”. "Guardate i danni
collaterali, quelli che sembrano non intenzionali con
questa dottrina in poi, sono diventati intenzionali e
l'obiettivo fondamentale non è stato più tanto quello di
colpire i combattenti è stato proprio quello di colpire la
popolazione civile.” E ancora: “Io l'ho scritto anche in un
libro, nessuno mi crede, ma comunque è così. Il danno
collaterale è un eufemismo, il danno collaterale è
diventato un danno intenzionale del quale non si può
controbattere.”
I danni collaterali, ricorda Mini, è un’invenzione della
Nato durante la guerra in Kosovo. “E dopo con la
dottrina Dahlia la ritorsione sproporzionata non è più
sproporzionata ma una pianificazione. Attaccare in
maniera sproporzionata senza nessuna remora perché

Notiziario num. 962 di venerdì 1 Dicembre 2023

12
Ù
non esistono innocenti dall'altra parte, non esistono
persone perché col diritto umanitario le persone hanno
dei diritti insiti nel fatto di essere persone.”

“Il NYT commenta così il numero delle morti a
Gaza”, - Reda. de “L'Antidiplomatico”, 28/11/2023
“Nel momento in cui scriviamo Israele e Hamas stanno
trattando: sia sulla liberazione di altri ostaggi e di altri
prigionieri palestinesi che sul prolungamento della
tregua, ma anche su altro e più segreto, come rivela la
dichiarazione di Netanyahu sulla promessa che i leader
di Hamas residenti in Qatar non verranno assassinati
(Jerusalem Post). Probabile che in questi giorni di tregua
si stia trattando su possibili scenari di Endgame
successivi alla seconda ondata (possibile che la
promessa di incolumità di Netanyahu sia legata a una
analoga rassicurazione sul suo destino, dal momento
che rischia la morte politica, e non solo).
Hamas si è detto disponibile allo scambio di ulteriori
prigionieri e al prolungamento della tregua, opzione
sostenuta anche da Biden che sta facendo pressioni in
tal senso sulla leadership israeliana, la quale appare
propensa, ma ha avanzato riserve sulle persone da
scambiare. Un esito positivo è nell’aria, ma le cose
possono precipitare d’improvviso.
Il numero delle vittime è spropositato
Nel frattempo, e nella esilissima speranza che le ostilità
cessino del tutto, segnaliamo un articolo di Lauren
Leatherby pubblicato sul New York Times del 25
novembre con il titolo: “I civili di Gaza, sotto il fuoco di
sbarramento israeliano, sono uccisi a un ritmo di
portata storica”.
Così il sottotitolo: “Anche con una valutazione prudente
del numero delle vittime di Gaza si rileva che il tasso di
morti causato dall’attacco
israeliano ha pochi
precedenti in questo secolo, dicono gli esperti”.
Nell’articolo si legge: “Non si tratta solo della quantità
degli attacchi: Israele ha affermato di aver colpito più di
15.000 obiettivi […]. È anche la natura delle armi” usate.
Infatti, “l’uso indiscriminato da parte di Israele di armi
molto potenti in aree urbane densamente popolate, tra
cui le bombe da 2.000 libbre di fabbricazione americana


che possono radere al suolo un condominio, è
sorprendente, dicono alcuni esperti”.
“Tutto ciò va oltre qualsiasi cosa abbia mai visto nella
mia carriera”, ha affermato Marc Garlasco, esperto di
problematiche militari dell’organizzazione olandese
PAX ed ex analista dell’intelligence del Pentagono.
“[…] Stanno usando armi estremamente potenti in aree
densamente popolate”, ha detto Brian Castner, un
esperto di armamenti di Amnesty International. “È la
peggiore combinazione possibile di fattori”.
Israele giustifica l’uso di queste bombe con la necessità
di colpire i tunnel di Hamas, ma resta lo sconcerto. “[…]
“Quelle bombe sono ‘davvero potenti”’ ha detto
Garlasco […]. Israele, ha aggiunto, ha in dotazione anche
migliaia di bombe più piccole, provenienti dagli Stati
Uniti e progettate per limitare i danni in aree urbane
densamente popolate, ma gli esperti di armamenti
dicono di aver poche prove sul fatto che vengano
utilizzate con frequenza”.
Da qui il numero di vittime spropositato di questa breve
guerra, che sta raggiungendo o ha raggiunto, se non
superato, il numero di vittime registrato in conflitti
durati anni, come la guerra in Afghanistan e altri.
Peraltro, il tentativo di screditare il calcolo delle vittime
da parte delle autorità palestinesi, consumato a diversi
livelli (Casa Bianca compresa), perché realizzato da
organi controllati da Hamas e quindi inattendibili, è
fallito miseramente.
Lo rileva anche la Leatherby, che spiega come gli analisti
internazionali ormai concordano sul fatto che “i numeri
complessivi provenienti delle autorità sanitarie di Gaza
sono generalmente affidabili”, anzi, probabilmente le
vittime sono più numerose di quanto si sa, dal momento
che tante possono essere sfuggite alla conta, tra le quali
quelle che riposano sotto cumuli di macerie.
Secondo l’Euro-Mediterranean Human Rights Monitor
(Euromed), tra i morti registrati e quelli ancora sepolti
sotto le macerie si dovrebbe arrivare a contare 20.000
vittime, di cui 8mila bambini. Se a questo numero di
aggiungono i feriti, ha aggiunto il presidente di Euromed
Ramy Abdu, il numero di feriti e morti sarebbe pari al
2.6% dell’intera popolazione di Gaza.
Una campagna militare incomprensibile

Notiziario num. 962 di venerdì 1 Dicembre 2023

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A quanto riferito sopra va aggiunta un’appendice:
“Nelle ultime settimane registrare i morti a Gaza è
diventato
sempre più difficile nel
caos dei
combattimenti, poiché gli ospedali sono sotto un fuoco
diretto e gran parte del sistema sanitario ha cessato di
funzionare”. Questo
l’esito,
se non
l’obiettivo
quantomeno secondario, dell’attacco agli ospedali di
Gaza. Resta, però, che “anche prima di questo sviluppo,
il numero di donne e bambini dichiarati morti già
superava quello di altri conflitti”.
Insomma, secondo analisti e ricercatori, “il ritmo delle
morti riportate a Gaza durante il bombardamento
israeliano è stato eccezionalmente alto”.
Di interesse, sotto tale profilo, l’attacco al campo
profughi di Jabaliya, sul quale si è riusciti ad avere una
documentazione esaustiva: “Secondo un’analisi delle
immagini satellitari, Israele ha utilizzato almeno due
bombe da 2.000 libbre nel corso di un attacco aereo
avvenuto il 31 ottobre su Jabaliya, un’area densamente
popolata a nord di Gaza City, abbattendo edifici e
creando crateri da impatto larghi 40 piedi -vedi foto e
video del New York Times. Airwars ha confermato in
modo indipendente che almeno 126 civili sono stati
uccisi, più della metà dei quali bambini”.
“[…] Secondo un calcolo fatto dalle Nazioni Unite sulle
morti verificate di bambini nel corso dei conflitti, a Gaza
dall’inizio dell’attacco israeliano sono stati uccisi più
bambini che in tutti i più importanti conflitti del mondo
messi insieme – due dozzine i paesi in questione – nel
corso di tutto lo scorso anno, guerra ucraina compresa”.
Questa la conclusione del NYT: “Quando le aree civili
finiscono nel mirino, la minaccia [alla popolazione] non
finisce con i bombardamenti, dicono gli esperti. La
distruzione lasciata dalla guerra li costringe a una lotta
per la sopravvivenza che dura per molto tempo anche
dopo la fine della guerra. Il sistema sanitario distrutto e
le riserve idriche compromesse sono forieri, da soli, di
gravi rischi per la salute pubblica, ha affermato il
professor Crawford, ricercatore del Costs of War
Project“.
“Questo succede in ogni guerra”, ha aggiunto. “Ma
siamo di fronte è un livello di immiserimento provocato
in un periodo di tempo tanto breve che è davvero
difficile da comprendere”. Già, davvero difficile, a meno
che tutto ciò non discenda da una certa qual
condiscendenza verso certe pulsioni estreme

evidenziate dalle dichiarazioni di diversi esponenti della
leadership israeliana.
Resta lo sconcerto per la flebile reazione, per usare un
eufemismo, della politica e dei media internazionali, a
parte
preziose
eccezioni,
per
tale
inusitata
devastazione.”
“Piccole Note” è un blog a cura di Davide Malacaria.
Questo
il
suo canale Telegram per
tutti gli
aggiornamenti: https://t.me/PiccoleNoteTelegram

"Ilan Pappé: «Deriva messianica, il sionismo verso
la sua fine».” Chiara Cruciati, 28/11/2023
“ISRAELE/PALESTINA. Intervista allo storico israeliano:
«I processi di decolonizzazione sono dolorosi per il
colonizzatore: perderà terre e privilegi e vedrà stravolte
leggi, istituzioni e distribuzione delle risorse. Sono
processi inevitabili: se il sionismo fosse nato 300 anni fa,
avrebbe ottenuto il proprio scopo, ma è emerso quando
il mondo aveva già
rifiutato
il
concetto del
colonialismo».”
“Fuori dalla Biblioteca Universitaria di Genova la fila è
lunga: centinaia di persone aspettano l’incontro con lo
storico israeliano Ilan Pappè, organizzato sabato scorso
da Bds Genova, Assopace e Tamu Edizioni. Settecento ci
riescono, gli altri restano fuori. Un incontro atteso
quello con uno dei massimi esponenti dell’accademia
israeliana e di una contro-narrazione basata su ricerche
storiche inappellabili.
«La storia insegna che la decolonizzazione non è un
processo semplice per il colonizzatore – così Pappé
chiude il lungo dibattito – Perde i suoi privilegi, deve
ridare indietro le terre occupate, rinunciare all’idea di
uno Stato-nazione mono-etnico. I pacifisti israeliani
pensano di svegliarsi un giorno in un paese eguale e
democratico. Non sarà così semplice, i processi di
decolonizzazione sono dolorosi: la pace inizia quando il
colonizzatore accetta di stravolgere
le proprie
istituzioni, la costituzione, le leggi, la distribuzione delle
risorse. Il giorno in cui finirà la colonizzazione della
Palestina, alcuni israeliani preferiranno andarsene, altri
resteranno in un territorio libero in cui non sono più i
carcerieri di nessuno. Prima gli israeliani lo capiranno e
meno questo processo sarà sanguinoso. In ogni caso la
storia è sempre dalla parte degli oppressi, ogni
colonialismo è destinato è finire». - Ilan Pappé

Notiziario num. 962 di venerdì 1 Dicembre 2023

14

Con il professor Pappé abbiamo discusso a margine
dell’iniziativa.
Per anni si è parlato di “gazafication” della
Cisgiordania, l’assedio di Gaza come modello di
gestione delle isole palestinesi in cui Israele ha
suddiviso la West Bank. Ora accadrà il contrario? Gaza
come la Cisgiordania?
Credo che nemmeno Israele abbia ancora un piano. Ci
sono varie opzioni. Una è la creazione a Gaza di una
sorta di Area A- o B+: l’idea dei “moderati”, come Gantz
e Gallant, è affidare un pezzo di Striscia all’Autorità
nazionale palestinese e creare una zona cuscinetto di 5-
7 chilometri. Un’idea ridicola: nella sua parte più ampia
Gaza è larga appena 12 chilometri. L’altra opzione,
quella dell’ultradestra al governo, è una pulizia etnica
più ampia possibile, espellendo i palestinesi in Egitto o
comunque nel sud di Gaza e riportando i coloni a nord.
Cosa accadrà è presto per dirlo, come è presto per dire
come reagirà il mondo, se ci sarà una guerra a nord con
il Libano, se ciò provocherà un’Intifada in Cisgiordania.
Dopo aver negato la Nakba per 75 anni, oggi il governo
israeliano la invoca, parla di Nakba 2023, di necessità
storica di espulsione. Da cosa deriva la perdita di
qualsiasi freno, anche verbale, nell’identificare la
soluzione nella pulizia etnica?
A negare la Nakba erano il centro e la sinistra. La destra
non l’ha mai negata, anzi ne andava fiera. Per cui non
sorprende che usi questo termine. L’altra ragione è che
Israele tratta il 7 ottobre come un evento che ha
cambiato tutto, non ritiene di dover più essere
prudente nel suo discorso razzista, nel parlare di
genocidio e pulizia etnica. Percepisce il 7 ottobre come
il via libera ad agire.
La crescita, graduale ma inesorabile negli ultimi 30
anni, dell’ultradestra israeliana porta a parlare di
un’evoluzione del sionismo in chiave religiosa. Le
dichiarazioni di esponenti del governo, a partire da
Netanyahu, che si rifanno alla Torah per giustificare le
barbarie e le politiche di Ben Gvir e Smotrich ne sono
un esempio. Cos’è oggi il sionismo? È possibile
individuare in tale evoluzione un processo di
implosione?
Già prima del 7 ottobre non avevamo più a che fare con
il sionismo. Si è andati oltre, verso un giudaismo
messianico. Queste persone, come i fanatici islamisti,

credono di avere dio dietro di loro. È uno sviluppo
ideologico che, superando il sionismo pragmatico e
liberale, lo trascina via con sé. Oggi abbiamo di fronte
un’ideologia
ebraica
messianica,
razzista
e
fondamentalista che non solo ritiene che la Palestina
appartenga solo al popolo ebraico (come ha fatto
Netanyahu con la legge dello Stato-nazione del 2018),
ma che pensa di avere la licenza morale di uccidere ed
espellere tutti i palestinesi. È uno sviluppo ideologico
pericolosissimo. Prima del 7 ottobre la società israeliana
viveva già uno scontro aperto tra sionismo laico e
sionismo religioso. Quello scontro riemergerà e
dimostrerà che a tenere insieme gli israeliani è solo il
rigetto dei palestinesi. Per il sionismo è l’inizio della sua
fine che in termini storici significa un processo di 20 o
30 anni. Accadrà perché si tratta di un’ideologia
colonialista in un mondo che ormai va in un’altra
direzione. Se il sionismo fosse nato due o tre secoli fa
probabilmente avrebbe ottenuto lo scopo di eliminare
la popolazione indigena, come accaduto in Australia e
negli Stati uniti. Ma è apparso quando ormai il mondo
aveva già rigettato il concetto di colonialismo e i
palestinesi avevano già maturato la propria identità
nazionale.
A cosa è dovuto lo spostamento a destra della società
israeliana dopo l’uccisione di Rabin e la spinta pacifista
di un grande segmento della popolazione?
Essere sionisti liberali è sempre stato problematico.
Devi mentire a te stesso di continuo, perché non puoi
essere allo stesso tempo socialista e colonizzatore. La
società si è stancata, ha capito che doveva scegliere tra
essere democratica ed essere ebraica. Ha scelto la
natura ebraica. Ha deciso che la priorità era affermare
uno stato razzista piuttosto che condividerlo con i
palestinesi. Era inevitabile, la logica conseguenza del
progetto sionista. L’Israele di oggi è molto più autentico
di quello degli anni Novanta.
Il 7 ottobre ha rappresentato una rottura traumatica per
la società israeliana. La questione palestinese era stata
rimossa, “gestita” come ha spesso detto Netanyahu. Da
questo choc potrebbe nascere la consapevolezza della
necessità di una soluzione politica?
Ci vorrà tempo. L’immediato futuro sarà segnato da
odio e senso di vendetta. Sarà difficile parlare di
soluzione che sia a due stati o a uno. Sul lungo periodo
è invece possibile che Israele capisca che i palestinesi
non se ne andranno da nessuna parte e non resteranno

Notiziario num. 962 di venerdì 1 Dicembre 2023

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in silenzio, qualsiasi cosa Tel Aviv faccia. Molto
dipenderà da Europa e Stati uniti: se continueranno a
non fare pressioni, sarà difficile che le voci più
ragionevoli in Israele siano ascoltate. Non basta la
società civile, serve che i decisori politici cambino.
Questo tipo di processi richiede tempo ma è possibile
che da questa orrenda tragedia nasca qualcosa di
positivo. Dipenderà anche dai palestinesi, se riusciranno
a unirsi, se l’Olp rinascerà. Ci sono differenze anche tra
di loro: chi vive in Cisgiordania vuole vedere la fine
dell’occupazione e dell’oppressione, pensa di meno allo
stato unico. Chi vive dentro Israele, invece, lo desidera,
così come i rifugiati in diaspora per cui lo stato unico
significherebbe il ritorno.
La durissima campagna contro Gaza e la dichiarata
volontà di espulsione dei palestinesi ha provocato una
reazione imponente delle piazze di tutto il mondo e dei
paesi del sud globale, in contrasto con le posizioni degli
stati occidentali. Assistiamo a un cambio di paradigma a
livello globale che avrà effetti sul medio-lungo periodo?
Stiamo assistendo a un processo di globalizzazione della
Palestina, una Palestina globale che è composta di
società civili, cittadinanze, movimenti diversi come
quelli indigeni, Black Lives Matter, i femminismi, ovvero
tutti i movimenti anti-coloniali che magari conoscono
poco della questione palestinese ma che sanno bene
cosa significa oppressione. Questa Palestina globale
deve sapersi opporre all’Israele globale, che invece è
fatto di governi occidentali e industria militare. Come si
fa? Collegando in una rete le lotte alle ingiustizie in giro
per il mondo. Qui in Italia significa combattere il
razzismo.”



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