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Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza

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Servizio pubblicabile in tutto o in parte citando la fonte.

Chiusura della Solvay di Alessandria: come salvaguardare l’occupazione. Una proposta di Legambiente e
una ipotesi della CGIL.
Una questione nazionale.

Le associazioni ambientaliste e i comitati dei cittadini, che da sempre hanno sostenuto “limiti zero pfas”,
cioè emissioni zero in suolo-acqua- aria, sono giunti alla conclusione, ormai senza eccezioni, che le
produzioni cancerogene di pfas (C6O4 e ADV) della Solvay di Spinetta Marengo debbano essere chiuse,
analogamente agli Stati Uniti. Anzi, ormai si parla di chiusura dello stabilimento. Si parla di Referendum
popolare.
Nella recente assemblea pubblica di Legambiente, intitolata “Ultimatum a Solvay”, la relazione
dell’ingegner Claudio Lombardi, ex assessore all’ambiente del Comune di Alessandria, dopo la scrupolosa
disamina degli impatti ambientali e sanitari, dei quali i Pfas sono appena la punta dell’iceberg, ha concluso
con queste posizioni:
“L’industria chimica Solvay sorge nel cuore di un centro densamente abitato sul quale esercita un impatto
ambientale estremamente negativo ed inoltre è «sito Seveso» a rischio di incidente catastrofico. In tali
condizioni è arduo se non impossibile garantire sicurezza e salute a popolazione e lavoratori. L’unica
soluzione auspicabile per coniugare salute e lavoro è la chiusura delle lavorazioni chimiche e la
trasformazione del sito in Centro di Ricerche per bonifiche ambientali “non produttivo” e quindi non
inquinante e non pericoloso”.
Malgrado la sentenza della Cassazione per disastro ambientale e omessa bonifica, malgrado l’apertura di un
nuovo procedimento penale con le stesse imputazioni, malgrado le indagini di Onu e Commissione
Ecomafie, la pervicacia della Solvay di imporre una presenza devastante alla popolazione alessandrina e, su
tutto il corso del Po, all’Italia, non trova più neppure sponda tra i sindacati. Nell’ampio reportage di Marina
Forti su “L’essenziale”, Franco Armosino, segretario della CGIL di Alessandria, non nasconde l’autocritica:
“Nei primi anni duemila la Solvay commissionava analisi del sangue dei dipendenti per tracciare il PFOA.
Risultavano valori molto alti (come chi scrive ha per primo denunciato con esposti in magistratura n.d.r.),
ma uno specialista di medicina del lavoro chiamato dall’azienda (Giovanni Costa, lo stesso implicato nel
processo Miteni a Vicenza n.d.r.) diceva di non preoccuparci, con il tempo sarebbero diminuiti. Intanto
vedevamo ragazzi di trent’anni con la leucemia o malattie della tiroide”. Dopo di che, i sindacati per venti
anni non si sono preoccupati gran che. Armosino giustifica che comunque “La CGIL è stata parte civile nel
processo alla Solvay”, e guarda avanti: “Continuo a pensare che si possa produrre chimica senza far
ammalare lavoratori e cittadini. Se no, è meglio che lo stabilimento chiuda”.
E’ meglio che lo stabilimento chiuda fanno eco associazioni e comitati. Però l’occupazione per 600
dipendenti? La risposta c’è nella ragionevole proposta scaturita nell’assemblea di Legambiente
“Trasformazione del sito in Centro di Ricerche per bonifiche ambientali ‘non produttivo’ e quindi non
inquinante e non pericoloso”, piuttosto che nella ardita proposizione di Franco Armosino: “La costruzione
del deposito nucleare nazionale ad Alessandria potrebbe fungere da valvola di sfogo occupazionale e di
sicurezza alla chiusura di Solvay”.
Solvay costretta a chiudere i Pfas in Usa. Perché dovrebbe produrli in Italia?
Il drammatico quadro ecosanitario di Alessandria, che negli anni abbiamo descritto e documentato a iosa ,
e che Solvay finge di ignorare, si inserisce in un contesto internazionale che vede protagonista la stessa
Solvay. La multinazionale belga infatti ha annunciato da giugno 2021 la interruzione dell’uso di Pfas C6O4 e
ADV nella produzione di fluoropolimeri nel suo stabilimento a West Deptford, New Jersey, costretta dalle
indagini sulle acque superficiali e dell’aria e dei terreni in vicinanza dell’impianto, nonché delle prove
sperimentali di tossicologia sui ratti, nonche dei biomonitoraggi. Ebbene, il potere di bioaccumulo del C6O4
nel fegato dei pesci è addirittura 10x rispetto a quanto era già noto per il PFOS. Ebbene, nel
biomonitoraggio dei lavoratori il livello massimo nel sangue ha superato i 14 ppm (microgrammi/mL).

Quanto basta, negli Usa, ancor prima di conoscere i fattori di trasferimento della contaminazione
dall’ambiente alla filiera alimentare, per far cessare quei Pfas. Gli stessi che coinvolgono Solvay a Spinetta
Marengo e Bollate. Perché non chiude anche in Italia?

In Italia, la Provincia di Alessandria ha invece deliberato l’autorizzazione AIA per l’ampliamento della
produzione di C6O4 nello stabilimento di Spinetta Marengo, senza peraltro neppure rendere note le
informazione disponibili a supporto degli aspetti analitici e tossicologici che hanno portato alla definizione
di limiti. Il rilascio ambientale di tali sostanze, per le loro caratteristiche di persistenza, mobilità, e tossicità,
valica i confini dello stabilimento e della provincia, e per il C6O4 ha interessato anche il delta del Po, come
da riscontri della Regione Veneto.

La Provincia copre sempre più le spalle a Solvay ma ha il culo scoperto.
Nel drammatico quadro ecosanitario di Alessandria, che più avanti descriveremo per l’ennesima volta,
infatti il ruolo primario di complice della multinazionale belga è affidato da Regione e Comune alla
Provincia (tutti di marca leghista). Ruolo svolto senza pudore, come si evince anche dai documenti
dell’Ispettorato Onu e della Commissione parlamentare Ecomafie. Nella recente “conferenza dei servizi” sul
rinnovo e riesame della autorizzazione integrata ambientale 2010 relativa al Pfas C6O4, addirittura con
ampliamento della produzione, la Provincia ha buttato fuori associazioni ambientaliste, comitati e
rappresentanti dei cittadini, accolti solo alla fine della riunione segreta… come “uditori” della ennesima
sfilza di “omissis”, detti appunto “segreti industriali”, che oscurano da sempre la documentazione integrale
di Solvay. Insomma per l’ennesima volta Regione/Comune/Provincia rendono inaccessibili al pubblico tutti i
dati qualitativi e quantitativi di carattere ambientale riconosciuti dal diritto europeo e nazionale. Si
consideri che l’AIA del 2010 è stata resa pubblica dieci anni dopo. Tanto meno viene accolta la nostra
richiesta di Valutazione di Impatto sanitario, neppure a fronte delle parziali quanto drammatiche indagini
epidemiologiche presenti.
Dunque, la relazione di Legambiente è giunta alle sue estreme conseguenze, perché la tragedia dei Pfas è
solo la punta dell’iceberg della situazione ambientale e sanitaria di Alessandria nella morsa di un cocktail di
veleni.
Pfas non solo nelle falde ma anche in atmosfera nel cocktail dei veleni tossico
cancerogeni.
Un cocktail strettamene correlabile alle rilevanti eccedenze di patologie anche tumorali emerse dalle
indagini epidemiologiche condotte sulla popolazione della Fraschetta. Si tratta di centinaia di chili emessi
ogni giorno visto che i soli composti fluorurati possono raggiungere i 110 kg. Ad esempio, il cloroformio è
solo uno dei cancerogeni clorurati e fluorurati scaricati in atmosfera dalla Solvay: tetracloruro di carbonio,
tetracloroetilene, acido fluoridrico, acido cloridrico, ammoniaca, alcoli, anidride fosforica , composti
Iodurati , Zn, Idrossido di potassio, NOx, SOx, polveri, composti fluorurati. Ebbene, nell’ultima campagna di
monitoraggio novembre-dicembre dell’Arpa, si conferma che il cloroformio è stabilmente presente e in
aumento: all'interno della Solvay e attorno allo stesso polo chimico. A loro volta, i Pfas superstiti oggi
sono ADV7800 e cC6O4: solo di quest’ultimo l’Arpa ha svolto campionamenti su acque di condensa con
risultati estremamente allarmanti: 5060 nanogr/litro da confrontarsi con il limite proposto nel collegato
ambientale di 500 nanogr/litro.
I fenomeni atmosferici sono addirittura bizzarri.
Solvay produce anche neve.
In periodo di siccità, a Spinetta Marengo, sobborgo di Alessandria nevica a cielo sereno. La spiegazione
l’abbiamo data più volte. Il fenomeno impropriamente detto “neve chimica” (più corretto il termine
“nebbia congelante precipitante”), si origina nello strato nebbioso sotto 0 °C con l’aiuto di miliardi di
particelle inquinanti che fungono da nuclei di congelamento per il vapore acqueo dell’aria. I miliardi di
particelle inquinanti sono forniti dalle ciminiere della Solvay. Ogni giorno dalle 72 ciminiere e camini dello
stabilimento vengono immessi nell’aria di Spinetta più di 100 Kg di composti fluorurati (40 tonnellate
all’anno); a questi si aggiungono le altre sostanze elencate e le cosiddette “emissioni fuggitive” cioè le
15.000 piccole e grandi perdite che accusano gli impianti.
Può il governo continuare a restare fermo sui Pfas?
Di fronte a queste complicità delle istituzioni locali, il governo può continuare a restare fermo? Quando il nuovo
dossier della Commissione parlamentare Ecomafie guidata dal deputato M5S Stefano Vignaroli è stato
perentorio: “I Pfas sono una emergenza nazionale, serve una legge urgente. Per salvare la salute dei cittadini, è
necessario che il governo finalmente si muova, fissi dei limiti chiari sulle matrici ambientali di queste sostanze
forever chemicals altamente dannose, limiti invocati anche dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Ispra.

La situazione in Piemonte, denuncia la Commissione, preoccupa non solo per l’inquinamento della provincia
di Alessandria causato anche dallo sversamento senza limiti di PFAS nelle falde acquifere ad opera della
multinazionale belga già condannata due anni fa dalla Cassazione per disastro ambientale e omessa bonifica,
reati peraltro reiterati e quindi oggetto di nuovo procedimento penale.

La situazione in Veneto, a sua volta, è stata caratterizzata dalla presenza per decenni in provincia di Vicenza della
multinazionale Mitsubishi-Enichem che ha inquinato - indisturbata dal potere politico - le falde acquifere e
provocato moltissime patologie, anche gravi, come tumori, malattie cerebrovascolari, diabete, Alzheimer,
disfunzioni tiroidee. Infatti è in corso il procedimento penale. Secondo la commissione Ecomafie, anche nel caso
veneto la bonifica procede ad un ritmo troppo lento, certo non risolta dalle barriere filtranti.

Giallo Pfas, uno spettro aleggia su Arpa e magistrati.

Chissà se la Procura di Alessandria si sta ispirando al processo di Vicenza, perché anche nel capoluogo
piemontese negli anni passati opacità sono state adombrate al cadere nel vuoto dei nostri esposti in
magistratura ed enti di controllo.
In Veneto, dove si sta svolgendo il processo a Miteni, infatti tremano i corridoi: una annotazione bollente
redatta dai carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico potrebbe inguaiare l'agenzia ambientale e alcune
toghe mentre si vocifera di pressioni «indicibili» e di un fascicolo inaccessibile che toglie il sonno a pezzi da
novanta dell'economia, della politica e delle istituzioni, che temono che quel faldone d'inchiesta
«stranamente» archiviato possa a trasformarsi “in un vaso di Pandora”. All’origine c’è l’indagine Noe sui
controlli che Arpa Veneto preannunciava tempestivamente alla Miteni di Trissino affinchè risultasse
“pulita”, e il relativo carteggio che potrebbe mettere in guai seri i funzionari di Arpav ma anche i magistrati
che l’hanno archiviato.
Quel carteggio si lega indissolubilmente alle conclusioni cui, sull'affaire Pfas, è giunta in sede parlamentare
la Commissione bicamerale Ecomafie: le ipotesi di reato erano da brivido perché più soggetti a vario titolo
erano finiti sotto indagine per “rivelazione di segreto d'ufficio, abuso in atti d'ufficio, rifiuto in atti d'ufficio,
falso ideologico in atti pubblici commesso dal pubblico ufficiale, favoreggiamento personale”. Dunque
l’archiviazione appare strana. Tanto che sia la condotta dei funzionari pubblici quanto quella dei magistrati
potrebbero essere bersaglio di un esposto in sede penale da parte degli ambientalisti e oggetto di
confronto in sede di Commissione giustizia. Su questa vicenda, infatti, gravano ombre dal passato: gli
esposti nel 2017 e 2018 di “La terra dei Pfas” e “Greenpeace” caduti nel vuoto.
Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro.