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Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza
L’INQUINAMENTO DA PFAS IN ITALIA: CRONISTORIA DI SILENZI E OMISSIONI
ISTITUZIONALI SULLA CONTAMINAZIONE ALIMENTARE
Sintesi
Sono passati quindici anni dal primo allarme, rimasto in larga parte inascoltato, sulla
contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) negli alimenti prodotti in alcune aree del Nord
Italia. Nonostante le prime allerte siano state trasmesse al Ministero dell’Ambiente e all’Istituto
Superiore di Sanità già nel 2007, ancora oggi non abbiamo un quadro chiaro sul rischio sanitario
derivante dal consumo di alimenti provenienti dalle zone inquinate. La ragione? Una serie di ritardi,
indagini parziali - o mai fatte - e negligenze istituzionali, come si vedrà da questo briefing.
Una situazione che è ancora più pesante per alcune aree del Veneto, in cui la gravità dell’emergenza
Pfas è nota da anni. E dove monitoraggi parziali e la quasi totale assenza di misure per tutelare la
salute pubblica condannano parte della popolazione a consumare cibo inquinato. Un’emergenza
ambientale e sanitaria che, come provano le interviste agli esperti e i documenti raccolti da
Greenpeace Italia per redigere questa indagine, risulta tuttora fuori controllo.
Ma chi ci rimette? Non solo la popolazione del Veneto, già colpita da decenni di inquinamento, ma
anche importanti filiere agroalimentari e zootecniche abbandonate al loro destino. Il problema, però,
potrebbe essere ancora più ampio. Mancano, infatti, dati pubblici derivanti da indagini e monitoraggi
sulla presenza di Pfas negli alimenti provenienti dall’area agricola più grande del Paese: la Pianura
Padana, attraversata dalle acque del Po, note - sin dallo studio “Perforce” del 2007 - per essere
tra le più contaminate da Pfas in Europa.
2007: il primo allarme sanitario rimasto inascoltato
A marzo 2007 all’Istituto Superiore di Sanità arriva una mail da parte del professore Michael
McLachlan, docente di Chimica dei contaminanti dell’Università di Stoccolma. McLachlan sta infatti
coordinando il progetto europeo “Perforce” e per un anno ha analizzato la presenza dei composti
perfluoroalchilici1 (Pfas) nei sette fiumi più grandi d’Europa. Dalle sue analisi, emerge che il Po
risulta il più inquinato tra i corsi d’acqua presi in considerazione.
Al termine dello studio, come ha raccontato a Greenpeace Italia, il professor McLachan contatta
direttamente le istituzioni sanitarie e ambientali dei Paesi Ue, indicando i fiumi compromessi e i
possibili rischi ambientali e sanitari. McLachlan scrive anche all’ISS: nel Po ha rilevato 200
nanogrammi per litro (ng/litro) di Pfoa (acido perfluoroottanoico, uno dei Pfas monitorati e oggi
noto per essere un potenziale cancerogeno per le persone) contro una media europea di 30
ng/litro. La stessa segnalazione viene fatta al Ministero dell’Ambiente, che dà mandato all’IRSA -
CNR di approfondire. Come riferito dallo stesso McLachlan, ISS invece non risponde, nonostante
parte del personale dell’Istituto sia già a conoscenza del problema Pfas.
2008: i prelievi del sangue a Roma e a Brescia
A distanza di pochi mesi, a inizio 2008, l’ISS effettua un primo prelievo di campioni di sangue in
persone residenti a Brescia e Roma per cercare Pfoa (acido perfluoroottanoico) e Pfos
(perfluorottansolfonato), due sostanze del gruppo dei Pfas su cui si focalizzava anche lo studio
“Perforce”. Gli esiti vengono resi noti nel 2010, in uno studio redatto dalla dottoressa Anna Maria
1 Sostanze chimiche composte prevalentemente da atomi di carbonio e fluoro. Resistenti ad alte temperature
e idrofobiche, sono persistenti, bioaccumulabili e tossiche in ambiente e nell’essere umano. Dal 2009
considerate pericolose e alcune bandite dalla produzione.
Ingelido e dai suoi collaboratori2. I valori mediani dei due composti nel sangue sono elevati e variano
tra i 3,5 nanogrammi per grammo (ng/g) per il Pfoa e 6,3 ng/g per il Pfos. Le considerazioni finali
indicano, come possibile causa, l’esposizione a un ambiente inquinato. Nessun ulteriore
monitoraggio, però, viene avviato sulla popolazione che utilizza le acque del Po.
Sempre nel 2008. L’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare con sede a Parma3,
pubblica un primo rapporto4 sulla presenza di sostanze Pfoa e Pfos negli alimenti e nelle
confezioni alimentari. Viene indicata una soglia massima di assunzione giornaliera, individuata in
150 nanogrammi per kilogrammo (ng/kg) di peso corporeo per il Pfos, e 1500 ng/kg di peso corporeo
per il Pfoa. Non è ancora chiaro, però, quale sia il rischio sanitario derivante dall’assunzione di
questi due composti.
2009: Pfas negli alimenti, i primi passi delle istituzioni internazionali
L’allarme del professor McLachlan sfocia, ad agosto 20095, nella decisione dei ministeri della
Salute europei di finanziare uno studio chiamato “Perfood”. Per l’Italia siede al tavolo scientifico
Gianfranco Brambilla, veterinario e ricercatore del reparto di chimica tossicologica dell’ISS. Per il
progetto, coordinato dall’università di Amsterdam e di durata triennale, vengono stanziati quattro
milioni di euro, con l’obiettivo di valutare la presenza di questi inquinanti nel cibo e l'esposizione
umana attraverso gli alimenti. I primi mesi di lavoro producono una raccomandazione europea,
pubblicata il 17 marzo 20106, che all’articolo 1 recita:
“Si raccomanda agli Stati membri di monitorare nel corso del 2010 e 2011 la presenza di sostanze
perfluoroalchiliche negli alimenti. Il controllo dovrebbe comprendere un’ampia varietà di prodotti
alimentari che tenga conto delle abitudini di consumo anche di alimenti di origine animale come i
pesci, la carne, le uova, il latte e i prodotti derivati, nonché di alimenti di origine vegetale, al fine di
consentire una stima esatta dell’esposizione”.
Nel frattempo, il dossier dell’EFSA4 evidenzia anche come i Pfas di nuova generazione, i
cosiddetti C4 e C6 - con una catena di atomi più corta rispetto a Pfos e Pfoa - possano risalire dal
terreno contaminato fino alle verdure che finiscono sulle tavole dei consumatori. Gli esperti dividono
l’Europa in quattro distretti su base geografica, con l’Italia capofila per la sezione meridionale.
Vengono selezionate 14 tipologie di alimenti in cui ricercare Pfoa, Pfos e altre sostanze chimiche
dello stesso gruppo. I risultati indicano come l’acqua potabile sia la principale via di assunzione di
Pfas. Uova, pesci e vegetali sono gli alimenti più a rischio di contaminazione. Gli esiti vengono
pubblicati a novembre 2013, alcuni mesi dopo il primo campionamento di pesci allevati in Veneto
(come si vedrà in seguito).
2013: Pfas in Veneto, la prima reazione della Regione
Nel nostro Paese solo nel 2013 vengono rese pubbliche maggiori informazioni sulla contaminazione
da Pfas. Il 28 marzo 2013 i ricercatori di IRSA-CNR consegnano al Ministero dell’Ambiente il dossier
finale7 sui principali bacini idrici italiani. Il Po risulta il più inquinato e per la prima volta sono segnalate
le fonti idriche potabili delle province di Vicenza, Verona e Padova come principale veicolo di
diffusione della contaminazione.
Il 23 maggio8 presso il Ministero dell’Ambiente si tiene un incontro con referenti del Ministero della
Salute, ISS, ISPRA, IRSA-CNR. Bisogna affrontare subito la situazione, visti gli alti valori di Pfas
2 https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0045653510006995?via%3Dihub#!
3 Nel tavolo di lavoro tematico sugli Pfas vede il coinvolgimento di esperti di tutti i Paesi UE, tra cui per l’Italia
di Eugenia Dogliotti e Alessandro Di Domenico dell’ISS.
4 https://efsa.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.2903/j.efsa.2008.653
5 https://cordis.europa.eu/project/id/227525/reporting/it
6 https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2010:068:0022:0023:IT:PDF
7 Mail del Dottor Maurizio Pettine al Dottor Carlo Zaghi, dirigente del Ministero dell’Ambiente. Lo studio era
stato commissionato dal Ministero dell’Ambiente e ISS dopo l’allarme lanciato sei anni prima dal professor
McLachlan.
8 Verbale riunione 23 maggio 2013 in possesso di Greenpeace
“Ritrovamento sostanze perfluorurate nelle acque superficiali e potabili della Provincia di Vicenza”.
nella rete idrica di alcune aree del Veneto e fare arrivare acqua non inquinata alle circa 300 mila
persone interessate. Il Ministero della Salute chiede all’ISS una valutazione del rischio sanitario.
Loredana Musmeci, allora direttrice del dipartimento Ambiente e Prevenzione Primaria dell’ISS, il 7
giugno 2013 suggerisce 9 di cambiare le fonti di approvvigionamento idrico e consiglia di
estendere le analisi anche alla filiera alimentare, ritenuta ormai compromessa.
Solo qualche giorno prima, il 30 maggio 2013, il Ministero dell’Ambiente aveva avvertito la Provincia
e l’Arpa di Vicenza della presenza di Pfas nelle acque superficiali, di falda e potabili e aveva invitato
a fare delle controanalisi nei laboratori di Arpav.10 Grazie ad alcune fonti interne alla Regione Veneto,
Greenpeace Italia è riuscita a ricostruire la prima reazione della Regione, arrivata solo ad agosto
2013.
Il dipartimento di prevenzione Veterinaria della Regione decide autonomamente di analizzare due
pesci presi in due laghetti a Vicenza e a Creazzo. I campioni vengono esaminati a Roma dal
dipartimento dell’ISS che fa capo al dottor Brambilla. Secondo quanto riferiscono a Greenpeace
Italia alcune fonti, i dati confermano la presenza di Pfas11. E questo nonostante i due laghetti si
trovino in quella che poi sarà classificata come zona arancione e non nella zona rossa, dove
ricadono i trenta comuni più colpiti dall’emergenza ambientale12.
Con una delibera della giunta regionale del 12 agosto 201313 viene istituita una commissione tecnica
per valutare la presenza di Pfas nelle acque. Non sono convocati, però, rappresentanti del
dipartimento Veterinario regionale, che aveva effettuato l’analisi sui due pesci. Né verranno
coinvolti in futuro.
2014: il primo campionamento in Veneto, 56 comuni selezionati che diventeranno zona
rossa e arancione
I mesi successivi servono a costruire una cabina di regia regionale e nazionale che coordini la
gestione sanitaria e ambientale di un territorio di 593 chilometri quadrati. Un compito non
facile, anche perché i Pfas - nel 2014 – vengono ritenuti ancora sostanze “sconosciute”.
Il 16 gennaio 2014 l’ISS invia alla Regione Veneto un parere in cui si “evidenzia l'incertezza derivante
dalla difficoltà di stimare correttamente il rischio connesso all'esposizione alimentare, si mostra la
necessità di avviare un programma di campionamento degli alimenti di produzione locale e
l'opportunità di estendere l'ambito delle azioni anche alle situazioni di utilizzo delle acque ad uso
irriguo e per uso zootecnico nelle aree interessate dal fenomeno”.
Il 20 febbraio la giunta affida gli accertamenti alle proprie sezioni Veterinaria e Sicurezza alimentare
e Prevenzione e Sanità pubblica14. E qui cominciano le difficoltà, perché non si sa esattamente quali
siano gli alimenti da monitorare, non ci sono parametri per verificare il grado di rischio, né
metodologie e standard per eseguire le analisi. E nemmeno i fondi necessari.
Secondo quanto riferito a Greenpeace Italia da alcune fonti che hanno preso parte ai tavoli tecnici,
il coordinamento del monitoraggio è affidato a Gianfranco Brambilla dell’ISS. Il referente dell’ISS
propone di raccogliere mille campioni per ognuna delle cinque Unità Locali Socio Sanitarie (ULSS)
venete coinvolte. Indica fegato, muscolo e uova come gli alimenti più significativi ai fini del
monitoraggio.
Domenico Mantoan, allora Direttore Generale della Sanità nella Regione Veneto, affida le analisi
all’Istituto Zooprofilattico delle Venezie. L’Istituto però non ha metodologia e standard adatti. Così
l’incarico viene dato all’Istituto Zooprofilattico di Lombardia ed Emilia-Romagna, che può rilevare
9 Prot 0022264 del 07/06/2013
10 Prot DVA 2013, 0012662 del 31/5/2013
11 Nello specifico, i valori di Pfos erano pari a 13 e 7 ng/grammo nei due animali.
12 Regione Veneto ha varato il Piano di sorveglianza sulla popolazione esposta a sostanze perfluoroalchiliche
(PFAS) nel 2016 con deliberazione della Giunta Regionale n. 2133. Il piano prevedeva la suddivisione delle
aree contaminate in area rossa A e B, arancione, gialla e verde. Il piano è stato poi rivisto nel 2018.
13 https://bur.regione.veneto.it/BurvServices/pubblica/DettaglioDgr.aspx?id=255032
14 Delibera Regionale 168 del 20/02/2014
una concentrazione fino al valore di 1 mg/kg. Alle aziende sanitarie, coordinate da quella di Vicenza,
sono assegnati 35 mila euro e viene dato un anno di tempo per la raccolta dei campioni.
Il 4 marzo 2014 all’ISS15 vengono chieste procedure standard per il controllo di alimenti e tipologie
di alimenti da considerare prioritari ai fini dell’indagine. Secondo quanto riferito a Greenpeace Italia,
Brambilla conferma che fegato, muscolo e uova sono gli alimenti da controllare, indicando la
possibilità di reperire i tessuti nei macelli che lavorano bestiame proveniente dal Veneto16. Un mese
dopo, la sezione Veterinaria di Regione Veneto chiede all’ISS a quali parametri fare riferimento per
valutare l’esposizione ai Pfas nella popolazione, associati al consumo di prodotti locali. Parametri
che non arriveranno mai, privando la Regione di uno strumento fondamentale per segnalare
eventuali rischi sanitari. L’allora settore Promozione e Sviluppo, Igiene e Sanità pubblica
regionale, coordinato dalla dottoressa Francesca Russo, in una nota dell’11 aprile indica 56
comuni come area di prelievo dei campioni. Si tratta delle zone più colpite dalla contaminazione
sia delle acque potabili che le acque sotterranee. La lista, però, non viene consegnata alla sezione
Veterinaria e sicurezza alimentare, ma solo alle ULSS delle tre province di Vicenza, Verona e
Padova e alle Arpa territoriali.
Il caso Miteni di Trissino
Nello stesso periodo lo stabilimento della Miteni di Trissino in provincia di Vicenza finisce sotto
la lente della Procura di Vicenza e viene individuato come principale fonte della contaminazione da
Pfas nell’area17. L’azienda produceva questo tipo di sostanze sin dagli anni Sessanta e, come è
emerso nel corso delle indagini, per anni avrebbe scaricato nell’ambiente senza particolari
precauzioni gli scarti di lavorazione industriale. Il corso d’acqua più contaminato è l’Agno-Guà, già
impattato dagli scarichi dalle numerose concerie della zona che utilizzavano Pfas in alcune
lavorazioni. I fanghi industriali, però, vengono usati come fertilizzanti per i terreni agricoli. Ed è
per questo che Giovanna Frison e Giorgio Cester, a capo delle sezioni Sanità e Veterinaria di
Regione Veneto, chiedono all’ISS di valutare i rischi collegati.
Il 6 maggio 2014 Loredana Musmeci, allora Direttrice del Dipartimento Ambiente e Prevenzione
Primaria dell’ISS, conferma la possibile correlazione tra inquinamento da Pfas e utilizzo di
fanghi industriali. Così Frison e Cester chiedono al Dipartimento Ambiente di Regione Veneto la
mappatura dei fanghi. Il dipartimento, però, non risponde. E il monitoraggio alimentare parte poco
dopo senza una conoscenza approfondita della contaminazione dei terreni.
2015: i risultati e la comunicazione alla popolazione
Una decina di tecnici delle ULSS e di Arpav raccolgono per oltre un anno campioni alimentari in 56
Comuni18 e a fine giugno 2015 iniziano le analisi. A settembre i referti vengono consegnati alla
sezione Prevenzione Veterinaria della Regione Veneto, ma non riportano la geolocalizzazione
dei campioni. Non si sa quindi da dove provengano i prodotti raccolti.
Non solo. Alcuni alimenti registravano valori elevati per il Pfoa e Pfos, in particolare per le specie
ittiche, per i campioni di fegato animale e le uova. I laboratori di Arpav, che effettuarono le analisi,
15 prot.95231
16 Viene selezionato il macello Inalca, a Pegognaga in provincia di Mantova, perché riceve molti capi della
zona vicentina.
17 I processi aperti davanti al Tribunale di Vicenza per la Miteni sono due. Nel primo procedimento sono
indagate tredici persone, tra queste ci sono manager Miteni, ma anche figure apicali della Mitsubishi
Corporation e della ICIG, holding lussemburghese che controllava l’azienda Miteni. I reati contestati sono
avvelenamento di acque e disastro innominato aggravato, per aver tra l’altro omesso di porre in essere attività
che avrebbero consentito di mettere al sicuro l’azienda e il territorio circostante, e per aver nascosto elementi
che avrebbero potuto permettere interventi di contenimento. I reati contestati vanno fino al 2013. Il secondo
procedimento riguarda otto persone (sei delle quali già coinvolte nell’altro procedimento Pfas) più la società
fallita Miteni, considerata responsabile ai sensi della legge n. 231/01 in materia responsabilità da reato degli
enti, per non essersi dotata di un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quelli realizzati
nel suo interesse e vantaggio. I reati contestati vanno dal 2013 al 2018.
18 I 56 comuni veneti che diventeranno zona rossa e arancione per la contaminazione da Pfas.
inoltre, non erano in grado di scendere sotto la sensibilità di 1 mg/kg, che Efsa allora stava pensando
di adottare come limite.
Il dottor Celestino Piz della ULSS 6 di Vicenza, a capo della raccolta dei campioni animali, chiede di
confrontare i dati con le analisi del sangue del biomonitoraggio sulla popolazione e di coordinarsi
con la dirigente del settore Sanità della Regione, Francesca Russo, per gestire un’emergenza sulla
quale ormai stanno indagando ben quattro procure19. Tutti i rapporti, invece, verranno inviati all’ISS
per un parere. Tutti i documenti sono inoltrati in copia anche all’allora direttore generale della
Sanità del Veneto, Domenico Mantoan.
Anche le comunicazioni sono un problema. A sollevarlo è il dottor Adolfo Fiorio della ULSS 5 ovest
vicentino, che ha ricevuto da un consigliere comunale di Montecchio (uno dei comuni della zona
rossa) la richiesta di vedere i risultati del monitoraggio. Anche il compito di comunicare con
soggetti esterni viene accentrato dall’allora dg della Sanità Mantoan.
Ma c’è di più. Il 22 ottobre 2015 gli oltre 200 referti degli alimenti, protocollati dalla sezione
Prevenzione Veterinaria, vengono spediti via posta alla Regione Veneto. Destinatari sono il dg
Mantoan e l’allora assessore alla Sanità Luca Coletto. I due plichi, però, vengono però rispediti al
mittente senza produrre risultati immediati. Solo a fine ottobre gli esiti sono ufficialmente spediti
via posta alle aziende agricole e ai privati oggetto delle analisi.
A novembre 2015 il consigliere regionale del Pd, Andrea Zanoni, chiede e ottiene direttamente
dalla sezione Veterinaria parte dei referti e li pubblica sul suo blog. L’eco sui giornali locali è
immediato. Zanoni sottolinea il rischio di contaminazione per la popolazione attraverso gli alimenti
e domanda all’ISS la valutazione del rischio. Il capo della sezione Veterinaria, Giorgio Cester, deve
rispondere della sua decisione di divulgare i dati di fronte alla commissione tecnica sui Pfas. E
chiarisce che è dovere di Regione Veneto dare informazioni ai consiglieri regionali, com’è stato fatto
con Zanoni.
2016: il parere scientifico, il cambio della dirigenza e il primo monitoraggio alimentare
invalidato
Il 26 febbraio 2016 arriva il parere dell’ISS20, firmato dal capo dipartimento di Sanità Pubblica
Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Umberto Agrimi. L’attenzione si focalizza sulle uova perché
dagli esiti del monitoraggio i valori sono risultati superiori a 21 ng/g per il Pfos. Come mai sono il
prodotto più contaminato? Una possibile via di trasmissione è il suolo, sul quale le galline razzolano.
L’ISS però sottolinea la scarsa varietà dei campioni e l’impossibilità di stabilire dove siano stati
raccolti. Mancano anche campioni provenienti da campi fertilizzati con fanghi di provenienza
industriale. Nel documento si legge che:
“A causa dei limiti nel campionamento e nei metodi analitici non è possibile produrre un’adeguata
stima dell’esposizione alle sostanze perfluoroalchiliche della popolazione in generale”.
Nulla di fatto quindi. Serve un nuovo campionamento, utilizzando parametri di valutazione più
bassi per evitare una sottostima del rischio. L’ISS ritiene anche utile segnalare pesci e uova
come alimenti a rischio. Le note dell’Istituto ricalcano le istanze evidenziate già due anni prima dalla
sezione Prevenzione Veterinaria di Regione Veneto.
Il 28 febbraio 2016 la sezione invia una proposta di delibera regionale di divieto di pesca nei fiumi
dove sono stati rilevati Pfas, inclusa la zona arancione da dove provenivano i pesci in cui, nel 2013,
erano stati trovati alti livelli di inquinanti. La proposta include inoltre una novità: l’invito a limitare il
consumo di uova.
L’8 marzo 2016, però, si verifica un terremoto tra chi si occupa di Pfas in Regione. E tutto si blocca
di nuovo. Il dg della Sanità Mantoan decide di accorpare le tre unità che gestiscono l’emergenza
sotto un'unica figura, Francesca Russo, e costituire il gruppo di lavoro per la ‘Gestione degli
19 Le procure di Verona, Vicenza, Padova e Venezia hanno ricevuto vari esposti e segnalazioni a partire dal
2013 per l’emergenza Pfas.
20 Documento redatto da ISS che Greenpeace ha avuto modo di visionare.
alimenti in ordine alle sostanze perfluoroalchiliche (Pfas)’. I dirigenti Frison e Cester dei
dipartimenti Prevenzione Sanitaria e Veterinaria, che si erano occupati del campionamento,
vengono esautorati. Entrambi avevano incontrato singolarmente la commissione tecnica Pfas,
coordinata dalla dottoressa Russo, il 13 gennaio 2016. In quella riunione, la prima che vedeva
coinvolte le loro sezioni, Cester aveva sottolineato la pericolosità di non limitare la pesca e la
produzione di uova. Frison invece aveva parlato delle possibili ricadute per la cittadinanza,
chiedendo nuove analisi urgenti perché “la situazione alimenti non era sotto controllo”. Dopo questa
riunione, la dirigente Russo comunica che il primo monitoraggio non ha valore scientifico. I dati, già
pubblicati da Regione Veneto, vengono così rimossi dai siti istituzionali e gli esiti considerati non
validi.
Deve passare un altro anno perché la giunta regionale, con la delibera del 17 novembre 2017, vieti
la pesca nella sola zona rossa. Nessun provvedimento viene preso per la zona arancione da
dove provenivano i due pesci che avevano dato il via al primo monitoraggio. Nessuna ordinanza
regionale o comunale avvisa la popolazione di ridurre il consumo di uova o altri alimenti prodotti
nelle province di Vicenza, Verona e Padova.
Gli esami del sangue e l’inizio del nuovo campionamento di alimenti
Il 13 aprile 2016 vengono consegnati alla direzione Sanità di Regione Veneto i referti delle analisi
del sangue degli allevatori e agricoltori della zona rossa. La situazione è allarmante: i valori
mediani di Pfoa sono pari a 159,0 nanogrammi per millilitro (ng/ml) 21. A Montagnana (Padova), in
piena zona rossa, si registrano alcuni dei valori più alti, toccando i 750 ng/ml in un’intera famiglia di
agricoltori. I pozzi d’irrigazione mostrano una contaminazione fino a 15 mila nanogrammi per litro di
Pfoa.
I dati vengono consegnati al nuovo gruppo di lavoro coordinato dalla dottoressa Russo, che in
collaborazione con l'ISS deve valutare come limitare le esposizioni alimentari e tentare di ridurre il
trasferimento di Pfas dall’ambiente agli animali. Per questo, il 21 marzo 2016 si decide che
agricoltori e allevatori utilizzino esclusivamente l’acqua degli acquedotti.
2016-2017: il secondo monitoraggio
Il 26 marzo 2016 la giunta regionale affida all’ISS un nuovo monitoraggio alimentare, senza oneri
per la Regione Veneto. Vengono richiesti 1200 campioni, vegetali e animali, che ULSS e Arpav
devono raccogliere entro un anno. I Pfas da ricercare questa volta sono dodici e non solo i due
indicati nel rapporto Efsa del 2008. È anche previsto uno screening sanitario su circa 180 mila
persone.
La prima raccolta inizia il 28 settembre 201622 e riguarda le uve da vino. Arpav rileva la presenza
di Pfba23 e Pfoa. L’indagine prosegue fino a fine settembre 2017 e vengono analizzati 27 tipologie
di alimenti, di origine animale e vegetale. La maggior parte dei campioni provengono da aziende
agricole che utilizzano acqua di pozzo. Le uova vengono raccolte nelle aie delle case e nella zona
di Bevilacqua (Verona) si registrano livelli elevati per via dell’inquinamento del fiume Fratta: i
campioni risultano positivi per Pfos, fino a un valore massimo pari a 1,4 mg/kg. Tessuti animali,
come fegato e muscolo, sono prelevati da un macello mantovano e dalle aziende agricole. Il picco
lo toccano i suini allevati nella zona di Lonigo (Vicenza), con concentrazioni pari a 18 mg/kg di Pfoa
e 3 mg/kg di Pfbs (acido perfluorobutan-solfonico). Il monitoraggio riguarda anche i vegetali, inclusi
foraggio, legumi e frutta, in particolare le albicocche. Queste ultime, in un frutteto nella zona di Lonigo
irrigato con acqua per uso agricolo, mostrano una concentrazione pari a 1,2 µg/kg di Pfba. Non
21 I valori di riferimento nel sangue di popolazioni non esposte a sorgenti puntuali variano tra 1,5
(Danimarca) e 8 ng/ml (Italia).
22 Documento Excel consegnato a Greenpeace e alle Mamme No Pfas nel 2021 a seguito di un ricorso al
TAR.
23 Acido perfluorobutanoico, una sostanza Pfas con quattro atomi di carbonio.
viene preso alcun provvedimento, nonostante nel rapporto della ULSS di Verona datato
novembre 2017 e consegnato all’azienda agricola24 si legge che:
“Si evidenzia la presenza di alcune sostanze Pfas. Si demanda all’ente prelevatore per la valutazione
di competenza e l’eventuale adozione di misure o provvedimenti sanitari”.
Allarmante è la situazione anche in un allevamento di bovini nel comune di Arcole (Verona), dove
vengono prelevati campioni di fegato e muscolo. I valori di Pfos arrivano a 2,2 mg/kg nel campione
di fegato.
Il parere dell’ISS e la mancata diffusione dei dati
Le analisi effettuate dall’ISS indicano nel pesce uno degli alimenti con maggiori livelli di Pfos. La
commissione tecnica regionale, presieduta dalla dottoressa Russo, si riunisce il 30 ottobre 2017 e
decide di vietare per 12 mesi la pesca nei fiumi della zona rossa. Decisione confermata il 17
novembre25 da una delibera regionale che riguarda ancora la sola zona rossa. Il 28 novembre 2017
l’ISS26 invia a Regione Veneto il suo rapporto. Sono state monitorate dodici sostanze, dieci in più
rispetto alle analisi precedenti che riguardavano solo i due Pfas segnalati da EFSA nel 2008. I limiti
per ogni alimento sono quelli fissati dall’ente di controllo europeo, con una dose giornaliera TDI
(Tolerable Daily Intake) per il Pfos pari a 150 ng/kg di peso corporeo e per il Pfoa pari a 1,5 mg/kg
di peso corporeo e non evidenziano particolari criticità.
Per le altre dieci molecole non ci sono soglie di tossicità e quindi non c’è la possibilità di fare una
valutazione del rischio sanitario. Il parere17, firmato dal direttore del dipartimento di Sanità Pubblica
Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Umberto Agrimi, precisa però che i dati saranno riesaminati alla
luce di eventuali aggiornamenti da parte di EFSA.
Dopo una manciata di mesi, a marzo 2018, EFSA emana i nuovi limiti di tollerabilità per l’assunzione
di Pfas tramite catena alimentare. Si passa da una dose giornaliera (TDI) ad una settimanale
(Tolerable Weekly Intake - TWI), per il Pfos di 13 ng/kg. Per il Pfoa il nuovo limite è pari a 8 ng/kg,
ben 1750 volte inferiore a quello su cui sono stati valutati gli esiti del secondo monitoraggio. Con
questi nuovi valori di riferimento la maggior parte dei campioni del Veneto risultano superiori
alla nuova soglia europea.
2020: gli ultimi passi, errori nazionali e nuovo monitoraggio previsto nel 2023
A settembre 2020, complice la definizione di un quadro sempre più chiaro ed esaustivo circa le
conseguenze sulla la salute umana dei Pfas, EFSA pubblica i nuovi valori di riferimento per quattro
molecole. Oltre Pfos e Pfoa vengono aggiunti Pfhxs e Pfna e il limite complessivo fissato è 4,4 ng/kg
di peso corporeo a settimana. Una soglia che stravolge tutti i calcoli fatti fino a quel momento.
In uno degli ultimi bollettini tecnici interni dell’ISS, diffuso a novembre 2021, viene dedicato un
capitolo27 proprio alla situazione del Veneto. Nel documento si legge:
“L’esposizione della popolazione generale ai Pfas avviene in massima parte per via alimentare,
attraverso il consumo di alimenti e acqua. Gli alimenti vegetali possono venire contaminati dal
terreno e dell’acqua utilizzati per coltivarli, quelli di origine animale dai Pfas concentratisi
nell’organismo animale tramite l’acqua e/o i mangimi”.
2021: i prelievi del sangue agli abitanti della zona rossa A e B
24 Rapporto di prova n.561543, dati Arpa 13/11/2017.
25 ordinanza n. 184 del 10 novembre 2017
26 Parere ISS, protocollo 32155/SVSA-AL.22
27 https://www.veterinariapreventiva.it/wp-content/uploads/2021/07/istisan_21_11.pdf
Nel 2019 l’ISS – con una richiesta della dottoressa Russo di Regione Veneto - conduce uno studio
di esposizione alimentare a Pfoa e Pfos sugli abitanti – adulti e anziani28 - della zona rossa A e B.
L’acqua si conferma la principale fonte di esposizione, seguita da latte, uova e pesce. Gli allevatori
sono il gruppo più a rischio. Lo studio viene pubblicato nel 2021 ma i due tecnici che lo firmano,
Francesca Iacoponi e Francesco Cubadda, tengono conto del vecchio paramento EFSA di 8 ng/kg
tollerati alla settimana (TWI) per il Pfoa, quasi il doppio rispetto alla soglia di 4,4 ng/kg indicata nel
2020 per la somma di quattro sostanze.
Malgrado tutto, nel rapporto si legge che:
“I dati mostrano come in taluni scenari realistici l’esposizione alimentare sia significativamente
superiore al TWI definito da EFSA, indicando la necessità di misure di gestione e riduzione del
rischio”.
A seguito della segnalazione a ISS nel dicembre 2022 da parte di Greenpeace Italia e delle Mamme
NoPfas riguardo l’adozione del vecchio parametro EFSA come livello di riferimento nel rapporto
menzionato, ISS aggiorna il rapporto inserendo una nota29 in cui evidenzia come il valore di 8 ng/kg
fosse stato preso da una bozza ancora in fase di consultazione dei nuovi limiti dell’ente di controllo
europeo. Il dipartimento di sicurezza alimentare dell’Istituto Superiore di Sanità, in una nota spedita
a Greenpeace Italia e alle Mamme no Pfas a dicembre 2022, precisa che il riferimento al vecchio
parametro era in realtà un refuso che non aveva influenzato le valutazioni contenute nel rapporto.
La denuncia del commissario Onu Marcos Orellana
La lista di tutti gli alimenti contaminati dai dodici Pfas non viene mai resa nota integralmente fino al
2021. Ad aprile di questo anno, dopo aver vinto un ricorso al Tar, le Mamme No Pfas e
Greenpeace Italia ottengono l’elenco delle sostanze ricercate nel monitoraggio e i relativi dosaggi,
che a quel punto vengono finalmente divulgati. La mancata pubblicazione del dossier è stata
stigmatizzata anche nell’ultimo rapporto Onu sull’impatto delle sostanze tossiche sui diritti umani.
La denuncia arriva direttamente dallo Special Raapporteur Marcos Orellana, che dopo aver visitato
la zona rossa nel settembre 2022, ha sottolineato come “nel novembre 2021” Regione Veneto abbia
“respinto una proposta di estendere al pubblico (alla collettività) iniziative volte a una maggiore
diffusione di conoscenza e consapevolezza delle questioni ambientali legate alle sostanze
perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, con particolare riferimento alla loro presenza nel cibo (nei
prodotti alimentari)”.
2022-2023: le misure non ancora adottate
Un terzo campionamento, per ora solo sui prodotti di origine animale, è stato approvato il 14 giugno
2022 dalla Regione Veneto30. L’assessore alla Sanità Manuela Lanzarin stanzia 100 mila euro
in favore di ISS, che eseguirà i campionamenti su alimenti di origine animale raccolti nella zona
rossa e arancione, come prevedeva lo studio voluto da Regione Veneto nel 2019 e mai realizzato31.
La delibera della Regione però assume come limite tollerabile settimanale il vecchio valore di
riferimento EFSA presente nello studio del 2021 di ISS (pari 8 nanogrammi per chilo che la nota
inserita a seguito della segnalazione di Greenpeace Italia e delle Mamme NoPfas indica come
refuso). Per il campionamento sui vegetali, invece, non c’è ancora una delibera.
I fondi stanziati, tuttavia, sono meno della metà di quelli previsti dalla Regione Piemonte, che sta
gestendo l’emergenza Pfas causata dalla Solvay Solexis di Spinetta Marengo (Alessandria). Per il
biennio 2022 - 2023, l’assessorato alla Sanità piemontese ha previsto 240 mila euro per i
campionamenti alimentari.
28 Il monitoraggio pediatrico è tutt’ora in corso
29 https://www.iss.it/documents/20126/6682486/errata+corrige+21_11.pdf/cf99996a-958e-6ef2-5621-
069482509ccb?t=1670409005848
30 https://bur.regione.veneto.it/BurvServices/pubblica/DettaglioDgr.aspx?id=479420
31https://bur.regione.veneto.it/BurvServices/pubblica/DettaglioDgr.aspx?id=405762
Il 24 agosto 2022 la Commissione Europea pubblica una nuova raccomandazione32 e chiede a tutti
gli Stati membri di valutare la presenza di 27 Pfas in tutte le matrici alimentari, inclusa la produzione
biologica33. Chi effettua i monitoraggi – come le aziende sanitarie e Arpa – è tenuto a rispettare i
protocolli EFSA e sono incoraggiate collaborazioni internazionali. Sotto la lente della UE finiscono
anche i mangimi, considerati veicolo di trasmissione agli animali allevati.
La stessa commissione Europea, col Regolamento 2022/2388 del 7 dicembre 202234 ha individuato
i tenori massimi di alcuni Pfas in alcuni prodotti alimentari che risultano allineati alle più recenti
valutazioni EFSA. Purtroppo, ad oggi, non risulta alcun tipo di revisione del rischio derivante dal
consumo di alimenti inquinati che tenga conto dei valori più restrittivi identificati a livello comunitario.
Conclusioni
A distanza di molti anni, come emerge chiaramente dalla cronologia di eventi richiamati in questo
rapporto, manca un quadro chiaro ed esaustivo sulla contaminazione da Pfas negli alimenti - non
solo provenienti dalla Regione Veneto - ma più in generale a livello nazionale, inclusa tutta l’area
del Po. Nonostante i numerosi allarmi sollevati in seguito all’esito di studi e monitoraggi, ad oggi non
sono stati presi provvedimenti per tutelare la salute pubblica, ad eccezione del divieto di pesca nella
zona rossa in Veneto.
Il mancato intervento delle autorità, di fatto, vìola il principio di non discriminazione e, nelle aree del
Veneto più contaminate, crea le cosiddette “zone di sacrificio” – com’è avvenuto ad esempio a
Taranto per l’inquinamento provocato dall’Ilva e nella Terra dei Fuochi in Campania - dove la
popolazione è costretta a vivere in condizioni sproporzionatamente peggiori e pericolose rispetto al
resto d’Italia.
32https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32022H1431&qid=1661941051760
33 La certificazione biologica attuale non comprende le analisi Pfas negli alimenti.
34 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32022R2388&from=EN
Mercoledì 19 Aprile 2023