About Rete Ambientalista Al
Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza
La spesa sanitaria privata è in costante aumento: nel 2020 è
stata di 43 miliardi (con un ulteriore boom probabilmente dovuto
all’epidemia di covid), nel 2019 era di 39,5 miliardi, nel 2005 era
di 25 miliardi. In media nel 2019 ogni italiano (bambini
compresi) ha speso di tasca propria 640 euro per curarsi [1].
Circa un 15% di tale cifra è servito per comprare “prodotti” che il
SSN non passa perché inutili o di scarsa utilità: integratori (3,8
miliardi di euro [2]), cibi senza glutine o lattosio (1 miliardo di
euro [2]), prodotti omeopatici (oltre 300 milioni [3]), ecc. Una
quota difficilmente stimabile è servita per fare accertamenti non
necessari, dettati dall’ansia o dalle pressioni della sanità privata
(per esempio test di intolleranza non validati, check-up inutili
ecc.). Ma, anche eliminando questo “consumismo sanitario”,
rimane il fatto che ogni italiano ha speso almeno 400 euro per
cure necessarie che avrebbero dovuto essere fornite dal
sistema sanitario nazionale (prestazioni diagnostiche, curative,
riabilitative o preventive, tra le quali si segnalano soprattutto le
cure odontoiatriche, la fisioterapia, le visite specialistiche). E’
come se ogni italiano avesse pagato un’ulteriore tassa di 400
euro (per una famiglia di 4 persone una tassa di 1.600 euro).
Una tassa che ogni anno aumenta sempre più.
Ma le medie, come sempre, deformano la realtà. Infatti la tassa
non è stata pagata da tutti gli italiani ma solo da chi ha
problemi di salute, che quindi ha pagato molto di più di 400
euro. La tragedia è che a pagare di più sono state soprattutto le
persone di classe medio-bassa e bassa perché sono loro che si
ammalano di più. Infatti, mentre tra gli adulti laureati solo il 12%
è in cattivo stato di salute, tra quelli con licenza media inferiore è
il 46% e tra quelli che non l’hanno conseguita è il 62% [4].
Molti hanno deciso di non pagare questa tassa e hanno rinunciato
a prestazioni sanitarie utili (prescritte da medici) per ragioni
economiche: il 7,9% degli italiani (circa 4 milioni) ha
rinunciato ad almeno una prestazione prescritta (in
maggioranza cure odontoiatriche). Ovviamente a rinunciare
sono soprattutto i poveri e meno abbienti e i cittadini del Sud
Italia (più poveri e con un servizio sanitario meno finanziato dallo
Stato rispetto a quello del Nord) [5].
Perché è così consistente la spesa dei cittadini per la salute e
perché va aumentando? I motivi principali sono:
1) le lunghe attese per avere una prestazione. Per una avere una
visita oculistica in Italia si aspettano in media 88 giorni, per una
ortopedica 56 giorni, per fare una colonscopia 96 giorni, per una
gastroscopia 88 giorni, per un ecodoppler 74 giorni, per un
ecocuore 70 giorni [6]. Ma anche queste sono medie che
nascondono la realtà: i tempi di attesa sono molto più lunghi al
Sud che al Nord e, quindi, sono soprattutto i cittadini del Sud
Italia che sono spinti a ricorrere alla sanità privata o a rinunciare a
curarsi;
2) il ticket: se per avere una prestazione sanitaria dal SSN si deve
spendere poco meno di quanto si spende per andare da un privato,
si favorisce la scelta di quest’ultimo.
La principale causa delle lunghe attese e dei ticket è la scarsità
di fondi di cui dispone il sistema sanitario pubblico: la spesa
sanitaria pubblica nel 2019 è stata pari al 6,4% del PIL, una delle
spese più basse della UE e dei Paesi ricchi (in Germania è 9,8, in
Francia 9,3, nei Paesi Bassi 8,4, in Belgio 8,1, in Austria 7,9, nel
Regno Unito 7,9, negli USA 13,2) [7]. Con il covid la spesa
sanitaria è arrivata a 7,3% del PIL, ma è stata solo una parentesi:
infatti il Governo Draghi nel Documento di Programmazione
Economica varato nel 2022 ha previsto che la spesa doveva
scendere al 6,3% del PIL nel 2023 e al 6,2% nel 2025 (cioè meno
di quanto era nel 2019). E ciò anche se l’Organizzazione Mondiale
della Sanità invita gli Stati a non scendere mai sotto il 6,5% del
PIL perché ciò determina un peggioramento delle condizioni di
salute della popolazione.
Questi continui tagli alla Sanità hanno portato ad avere 3 posti
letto ogni mille abitanti (la media OCSE è 4 e la Germania ne
ha 8, l’Austria 7, la Francia 6), 6 infermieri ogni mille abitanti
(la media UE è 8 e la Germania ne ha 14, i Paesi Bassi 11,
l’Austria 10) [8].
Da anni sentiamo da partiti, giornalisti e opinion leader lo
slogan “meno tasse” e la stragrande maggioranza dei cittadini
plaude felice. Ma, a parte che tale slogan in realtà significa
“meno tasse a ricchi e benestanti” (e infatti si è concretizzato in
riduzione delle aliquote per i redditi alti operata dai governi
Berlusconi e Draghi; abolizione della tassa sulla casa,
indipendentemente dall’essere una casa modesta o lussuosa,
operata dai governi Berlusconi e Renzi; riduzione delle tasse di
successione soprattutto per le cospicue eredità ad opera del
governo Berlusconi ecc.), se lo Stato ha meno entrate
inevitabilmente taglia la spesa e la prima a essere tagliata è
quella per i servizi sociali (sanità, politiche sociali, istruzione,
trasporti pubblici ecc.). Cioè è come se chi si serve di questi
servizi pagasse la riduzione delle tasse a ricchi e benestanti.
Anche le persone appartenenti al ceto medio finiscono per essere
danneggiate: si sono trovati qualche centinaio di euro in più grazie
all’abolizione della tassa sulla prima casa o delle tasse di
successione (i poveri non hanno casa di proprietà e non hanno
molto da ereditare dai propri genitori) ma hanno dovuto sborsare
varie centinaia, talvolta migliaia, di euro per accertamenti, terapie
mediche e chirurgiche o per permettere un’istruzione qualificata ai
loro figli.
Se vogliamo avere sanità, scuola, trasporti pubblici, giustizia,
tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, ecc. all’altezza
di un Paese civile dobbiamo investire soldi in questi settori e
ciò richiede sufficienti entrate da parte dello Stato. Quindi,
invece di “meno tasse” bisogna chiedere che sia tassato di più chi
ha tanto di più (in Italia il 7% degli italiani, quelli più ricchi,
detiene il 50% della ricchezza totale, mentre il 50% degli
italiani, quello più povero, solo l’8% [9].
Solo così si possono consentire buone condizioni di vita a tutti.
Note: 1) Osservatorio dei Consumi Privati in Sanità (OCPS)
Cergas-Università Bocconi, 2022 2) Area Studi Mediobanca
2021; 3) Il dato è di Omeoimprese, si riferisce al 2019 e riguarda
le sole imprese associate. Quasi certamente è consistentemente
maggiore; 4) Ist. Sup. di Sanità: Studio PASSI Campania; 5) Istat:
European Health Interview Survey, 2019; 6) CREA Sanità:
Osservatorio sui tempi di attesa e sui costi delle prestazioni
sanitarie nei Sistemi Sanitari Regionali 1° Report; 7) Eurostat
2020; 8) Eurostat 2018; 9) Banca d’Italia, 2020.
(*) ripreso da www.giardinodimarco.it
L’Associazione Marco Mascagna è impegnata sui medesimi temi
che stavano a cuore a Marco (lotta alle disuguaglianze e alle
discriminazioni, ambiente, pace e non violenza, Terzo Mondo,
educazione, controinformazione) con lo stesso spirito di totale
gratuità, di apertura all’altro, di mitezza, di condivisione.
stata di 43 miliardi (con un ulteriore boom probabilmente dovuto
all’epidemia di covid), nel 2019 era di 39,5 miliardi, nel 2005 era
di 25 miliardi. In media nel 2019 ogni italiano (bambini
compresi) ha speso di tasca propria 640 euro per curarsi [1].
Circa un 15% di tale cifra è servito per comprare “prodotti” che il
SSN non passa perché inutili o di scarsa utilità: integratori (3,8
miliardi di euro [2]), cibi senza glutine o lattosio (1 miliardo di
euro [2]), prodotti omeopatici (oltre 300 milioni [3]), ecc. Una
quota difficilmente stimabile è servita per fare accertamenti non
necessari, dettati dall’ansia o dalle pressioni della sanità privata
(per esempio test di intolleranza non validati, check-up inutili
ecc.). Ma, anche eliminando questo “consumismo sanitario”,
rimane il fatto che ogni italiano ha speso almeno 400 euro per
cure necessarie che avrebbero dovuto essere fornite dal
sistema sanitario nazionale (prestazioni diagnostiche, curative,
riabilitative o preventive, tra le quali si segnalano soprattutto le
cure odontoiatriche, la fisioterapia, le visite specialistiche). E’
come se ogni italiano avesse pagato un’ulteriore tassa di 400
euro (per una famiglia di 4 persone una tassa di 1.600 euro).
Una tassa che ogni anno aumenta sempre più.
Ma le medie, come sempre, deformano la realtà. Infatti la tassa
non è stata pagata da tutti gli italiani ma solo da chi ha
problemi di salute, che quindi ha pagato molto di più di 400
euro. La tragedia è che a pagare di più sono state soprattutto le
persone di classe medio-bassa e bassa perché sono loro che si
ammalano di più. Infatti, mentre tra gli adulti laureati solo il 12%
è in cattivo stato di salute, tra quelli con licenza media inferiore è
il 46% e tra quelli che non l’hanno conseguita è il 62% [4].
Molti hanno deciso di non pagare questa tassa e hanno rinunciato
a prestazioni sanitarie utili (prescritte da medici) per ragioni
economiche: il 7,9% degli italiani (circa 4 milioni) ha
rinunciato ad almeno una prestazione prescritta (in
maggioranza cure odontoiatriche). Ovviamente a rinunciare
sono soprattutto i poveri e meno abbienti e i cittadini del Sud
Italia (più poveri e con un servizio sanitario meno finanziato dallo
Stato rispetto a quello del Nord) [5].
Perché è così consistente la spesa dei cittadini per la salute e
perché va aumentando? I motivi principali sono:
1) le lunghe attese per avere una prestazione. Per una avere una
visita oculistica in Italia si aspettano in media 88 giorni, per una
ortopedica 56 giorni, per fare una colonscopia 96 giorni, per una
gastroscopia 88 giorni, per un ecodoppler 74 giorni, per un
ecocuore 70 giorni [6]. Ma anche queste sono medie che
nascondono la realtà: i tempi di attesa sono molto più lunghi al
Sud che al Nord e, quindi, sono soprattutto i cittadini del Sud
Italia che sono spinti a ricorrere alla sanità privata o a rinunciare a
curarsi;
2) il ticket: se per avere una prestazione sanitaria dal SSN si deve
spendere poco meno di quanto si spende per andare da un privato,
si favorisce la scelta di quest’ultimo.
La principale causa delle lunghe attese e dei ticket è la scarsità
di fondi di cui dispone il sistema sanitario pubblico: la spesa
sanitaria pubblica nel 2019 è stata pari al 6,4% del PIL, una delle
spese più basse della UE e dei Paesi ricchi (in Germania è 9,8, in
Francia 9,3, nei Paesi Bassi 8,4, in Belgio 8,1, in Austria 7,9, nel
Regno Unito 7,9, negli USA 13,2) [7]. Con il covid la spesa
sanitaria è arrivata a 7,3% del PIL, ma è stata solo una parentesi:
infatti il Governo Draghi nel Documento di Programmazione
Economica varato nel 2022 ha previsto che la spesa doveva
scendere al 6,3% del PIL nel 2023 e al 6,2% nel 2025 (cioè meno
di quanto era nel 2019). E ciò anche se l’Organizzazione Mondiale
della Sanità invita gli Stati a non scendere mai sotto il 6,5% del
PIL perché ciò determina un peggioramento delle condizioni di
salute della popolazione.
Questi continui tagli alla Sanità hanno portato ad avere 3 posti
letto ogni mille abitanti (la media OCSE è 4 e la Germania ne
ha 8, l’Austria 7, la Francia 6), 6 infermieri ogni mille abitanti
(la media UE è 8 e la Germania ne ha 14, i Paesi Bassi 11,
l’Austria 10) [8].
Da anni sentiamo da partiti, giornalisti e opinion leader lo
slogan “meno tasse” e la stragrande maggioranza dei cittadini
plaude felice. Ma, a parte che tale slogan in realtà significa
“meno tasse a ricchi e benestanti” (e infatti si è concretizzato in
riduzione delle aliquote per i redditi alti operata dai governi
Berlusconi e Draghi; abolizione della tassa sulla casa,
indipendentemente dall’essere una casa modesta o lussuosa,
operata dai governi Berlusconi e Renzi; riduzione delle tasse di
successione soprattutto per le cospicue eredità ad opera del
governo Berlusconi ecc.), se lo Stato ha meno entrate
inevitabilmente taglia la spesa e la prima a essere tagliata è
quella per i servizi sociali (sanità, politiche sociali, istruzione,
trasporti pubblici ecc.). Cioè è come se chi si serve di questi
servizi pagasse la riduzione delle tasse a ricchi e benestanti.
Anche le persone appartenenti al ceto medio finiscono per essere
danneggiate: si sono trovati qualche centinaio di euro in più grazie
all’abolizione della tassa sulla prima casa o delle tasse di
successione (i poveri non hanno casa di proprietà e non hanno
molto da ereditare dai propri genitori) ma hanno dovuto sborsare
varie centinaia, talvolta migliaia, di euro per accertamenti, terapie
mediche e chirurgiche o per permettere un’istruzione qualificata ai
loro figli.
Se vogliamo avere sanità, scuola, trasporti pubblici, giustizia,
tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, ecc. all’altezza
di un Paese civile dobbiamo investire soldi in questi settori e
ciò richiede sufficienti entrate da parte dello Stato. Quindi,
invece di “meno tasse” bisogna chiedere che sia tassato di più chi
ha tanto di più (in Italia il 7% degli italiani, quelli più ricchi,
detiene il 50% della ricchezza totale, mentre il 50% degli
italiani, quello più povero, solo l’8% [9].
Solo così si possono consentire buone condizioni di vita a tutti.
Note: 1) Osservatorio dei Consumi Privati in Sanità (OCPS)
Cergas-Università Bocconi, 2022 2) Area Studi Mediobanca
2021; 3) Il dato è di Omeoimprese, si riferisce al 2019 e riguarda
le sole imprese associate. Quasi certamente è consistentemente
maggiore; 4) Ist. Sup. di Sanità: Studio PASSI Campania; 5) Istat:
European Health Interview Survey, 2019; 6) CREA Sanità:
Osservatorio sui tempi di attesa e sui costi delle prestazioni
sanitarie nei Sistemi Sanitari Regionali 1° Report; 7) Eurostat
2020; 8) Eurostat 2018; 9) Banca d’Italia, 2020.
(*) ripreso da www.giardinodimarco.it
L’Associazione Marco Mascagna è impegnata sui medesimi temi
che stavano a cuore a Marco (lotta alle disuguaglianze e alle
discriminazioni, ambiente, pace e non violenza, Terzo Mondo,
educazione, controinformazione) con lo stesso spirito di totale
gratuità, di apertura all’altro, di mitezza, di condivisione.