About Rete Ambientalista Al
Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza
La più grossa delle “bufale Pfas” propinate a giornali e istituzioni dalla multinazionale
Solvay è sempre stata l’inverosimile innocuità sanitaria di PFOA e poi di C6O4 e ADV
ovunque prodotti. Cominciò a contraddirsi con l’annuncio del “Lancio di nuove tecnologie
non fluorotensioattive che saranno in piena produzione presso lo stabilimento di Solvay a
West Deptford, NJ entro la fine di giugno 2021. A quel punto, Solvay non utilizzerà più
coadiuvanti di processo fluorotensioattivi in qualsiasi parte degli Stati Uniti. Le nuove
tecnologie consentono lo sviluppo di prodotti che i clienti utilizzano in una varietà di
applicazioni che supportano una società più sostenibile”. Obtorto collo, basta Pfas di
Solvay negli Stati Uniti. E in Italia? L’Italia è considerata terzo mondo, la Provincia di
Alessandria per Spinetta Marengo infatti autorizza addirittura l’ampliamento del C6O4.
Perciò annuncia un’altra truffa mediatica: quella dei presunti filtri che sarebbero in grado a
Spinetta di rilevare e trattare, gestire e monitorare i contaminanti Pfas nelle falde e nelle
reti idriche, ovviamente non nell’atmosfera. La multinazionale promette “zero tecnico”
delle emissioni di Pfas (C6O4, ADV) negli scarichi di acqua con tecnologie al carbone
attivo granulare (GAC), allo scambio ionico (IO) e alle tecnologie di osmosi
inversa RO (metodo di filtrazione meccanica in uso dagli anni ’50 del secolo scorso):
diventerebbe “acqua distillata” e addirittura riutilizzata e non scaricata in Bormida,
insomma “ciclo chiuso”.
Premio nobel per la chimica alle giovanissime ricercatrici? insegniamo agli americani?
Tutto risolto? Niente affatto. Innanzitutto non c’è la ben che minima garanzia che
rimuovano il 100% dei PFAS contaminanti. Inoltre prevedono costi insopportabili data
l’ampiezza del territorio inquinato e inquinante, si pensi solo alla vastità di frequenti
cambi di membrane filtranti. A tacere dello smaltimento a loro volta dei solidi e dei liquidi
di questi trattamenti, cioè incenerimento. I Pfas fanno parte del cocktail di tossici
cancerogeni presenti a Spinetta in atmosfera e nelle falde, i filtri dell’osmosi inceneriti
manderebbero altri Pfas in atmosfera e falde. Inoltre -attenzione- i Pfas sono utilizzati
per produrre tantissimi materiali (padelle,
imballaggi, vestiti): come verrebbero
bonificati?
Stanti ad Alessandria i disastri ambientale (in acqua e atmosfera) e sanitario (nel
sangue), non c’è altra alternativa etica che chiudere le produzioni. Subito, nel 2022.
Ma Solvay scrolla
le spalle, e manda
l’opinione pubblica sulla
luna (nel
pozzo): “Volontariamente, Solvay entro
il 2026 realizzerà quasi
il 100% dei suoi
fluoropolimeri senza l’uso di fluorotensioattivi presso il suo stabilimento di Spinetta Marengo,
per eliminare pressoché totalmente le emissioni di fluorotensioattivi”.
Quasi e pressoché sono tradotti: “Una piccola linea di prodotti, strategica per i settori
industriali dei semiconduttori e dell’energia che rappresenta meno dell’1% del volume
produttivo, richiederà ulteriori attività di ricerca per eliminare completamente l’uso dei
fluorotensioattivi. Per questa linea verrà utilizzato un processo di produzione a ciclo
chiuso, strettamente controllato, a zero
reflui”. Cioè
la
fantomatica
“Osmosi
inversa”. Dunque NON c’è impegno a fermare gli impianti entro il 2026.
Dei sostituti dei Pfas, presunti (quasi e pressoché?) a impatto zero, non si fa menzione,
altri segreti industriali, non autorizzati da nessuno, tutti da verificare se si sta cadendo
dalla padella alla brace. Verifica rinviata a dopo il 2026, nel mentre gli impianti con Pfas
staranno marciando e inquinando a pieno volume.
La data 2026 è una promessa, in fede di una “scelta” assunta da Solvay volontariamente, non
in forza di una legge.
Solvay invita l’opinione pubblica e le istituzioni a guardare la luna nel pozzo, per
distogliere l’attenzione dal Disegno di Legge Crucioli, il solo strumento concreto
che metterebbe -da subito- al bando in Italia la produzione, l’uso e il consumo dei
Pfas. I quali, ribadiamolo, sono solo la punta d’iceberg del disastro ecosanitario del
polo chimico di Spinetta Marengo. Purtroppo la strategia della multinazionale belga
è vincente.
Solvay è sempre stata l’inverosimile innocuità sanitaria di PFOA e poi di C6O4 e ADV
ovunque prodotti. Cominciò a contraddirsi con l’annuncio del “Lancio di nuove tecnologie
non fluorotensioattive che saranno in piena produzione presso lo stabilimento di Solvay a
West Deptford, NJ entro la fine di giugno 2021. A quel punto, Solvay non utilizzerà più
coadiuvanti di processo fluorotensioattivi in qualsiasi parte degli Stati Uniti. Le nuove
tecnologie consentono lo sviluppo di prodotti che i clienti utilizzano in una varietà di
applicazioni che supportano una società più sostenibile”. Obtorto collo, basta Pfas di
Solvay negli Stati Uniti. E in Italia? L’Italia è considerata terzo mondo, la Provincia di
Alessandria per Spinetta Marengo infatti autorizza addirittura l’ampliamento del C6O4.
Perciò annuncia un’altra truffa mediatica: quella dei presunti filtri che sarebbero in grado a
Spinetta di rilevare e trattare, gestire e monitorare i contaminanti Pfas nelle falde e nelle
reti idriche, ovviamente non nell’atmosfera. La multinazionale promette “zero tecnico”
delle emissioni di Pfas (C6O4, ADV) negli scarichi di acqua con tecnologie al carbone
attivo granulare (GAC), allo scambio ionico (IO) e alle tecnologie di osmosi
inversa RO (metodo di filtrazione meccanica in uso dagli anni ’50 del secolo scorso):
diventerebbe “acqua distillata” e addirittura riutilizzata e non scaricata in Bormida,
insomma “ciclo chiuso”.
Premio nobel per la chimica alle giovanissime ricercatrici? insegniamo agli americani?
Tutto risolto? Niente affatto. Innanzitutto non c’è la ben che minima garanzia che
rimuovano il 100% dei PFAS contaminanti. Inoltre prevedono costi insopportabili data
l’ampiezza del territorio inquinato e inquinante, si pensi solo alla vastità di frequenti
cambi di membrane filtranti. A tacere dello smaltimento a loro volta dei solidi e dei liquidi
di questi trattamenti, cioè incenerimento. I Pfas fanno parte del cocktail di tossici
cancerogeni presenti a Spinetta in atmosfera e nelle falde, i filtri dell’osmosi inceneriti
manderebbero altri Pfas in atmosfera e falde. Inoltre -attenzione- i Pfas sono utilizzati
per produrre tantissimi materiali (padelle,
imballaggi, vestiti): come verrebbero
bonificati?
Stanti ad Alessandria i disastri ambientale (in acqua e atmosfera) e sanitario (nel
sangue), non c’è altra alternativa etica che chiudere le produzioni. Subito, nel 2022.
Ma Solvay scrolla
le spalle, e manda
l’opinione pubblica sulla
luna (nel
pozzo): “Volontariamente, Solvay entro
il 2026 realizzerà quasi
il 100% dei suoi
fluoropolimeri senza l’uso di fluorotensioattivi presso il suo stabilimento di Spinetta Marengo,
per eliminare pressoché totalmente le emissioni di fluorotensioattivi”.
Quasi e pressoché sono tradotti: “Una piccola linea di prodotti, strategica per i settori
industriali dei semiconduttori e dell’energia che rappresenta meno dell’1% del volume
produttivo, richiederà ulteriori attività di ricerca per eliminare completamente l’uso dei
fluorotensioattivi. Per questa linea verrà utilizzato un processo di produzione a ciclo
chiuso, strettamente controllato, a zero
reflui”. Cioè
la
fantomatica
“Osmosi
inversa”. Dunque NON c’è impegno a fermare gli impianti entro il 2026.
Dei sostituti dei Pfas, presunti (quasi e pressoché?) a impatto zero, non si fa menzione,
altri segreti industriali, non autorizzati da nessuno, tutti da verificare se si sta cadendo
dalla padella alla brace. Verifica rinviata a dopo il 2026, nel mentre gli impianti con Pfas
staranno marciando e inquinando a pieno volume.
La data 2026 è una promessa, in fede di una “scelta” assunta da Solvay volontariamente, non
in forza di una legge.
Solvay invita l’opinione pubblica e le istituzioni a guardare la luna nel pozzo, per
distogliere l’attenzione dal Disegno di Legge Crucioli, il solo strumento concreto
che metterebbe -da subito- al bando in Italia la produzione, l’uso e il consumo dei
Pfas. I quali, ribadiamolo, sono solo la punta d’iceberg del disastro ecosanitario del
polo chimico di Spinetta Marengo. Purtroppo la strategia della multinazionale belga
è vincente.