NATURAINFORMA N° 4-5 rid

NATURAINFORMA N° 4-5 rid, updated 5/20/23, 7:01 PM

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Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza

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NATURA IN FORMA
n° 4-5/3
APRILE-MAGGIO 2023

ASSOCIAZIONE NATURALISTICA SANDONATESE
49° anno
Presentazione

Anche i numeri di aprile e di maggio della no-
stra rivista sono stati “coniugati” in uno solo; ce
ne scusiamo con i Lettori.
Si ricomincia con un articolo che, per il Re-
gno Vegetale, riguarda bellissimi Iris che ve-
getano nel territorio Veneto.
Per il Regno animale, invece, si parla di una
interessante nidificazione segnalata da Mauri-
zio Peripolli a Portogruaro, cui seguono le se-
gnalazioni di interessanti, nuove e per certi ver-
si sorprendenti presenze faunistiche e due pa-
role sull’Orso. Questo ultime necessarie dopo
lo sproloquiare seguito alla disgrazia, a tutti no-
ta, occorsa in Trentino.
E’ quindi la volta di Natura & Poesia, con
due brevi componimenti in versi di MT52.
La rubrica Natura & Narrativa, ospita due
nuove voci tratte dal “Dizionario - quasi auto-
biografico - di un naturalista”, dal titolo A: Alba
e A: Albero.
Per la rubrica Natura & Arte si è voluto ricor-
dare un valente ornitologo e disegnatore natu-
ralista Friulano, che alla sua passione dedicò
l’intera esistenza.
Segue quindi la rubrica Natura Libri & Film,
in cui viene proposta una breve recensione del-
lo splendido film La Pantera delle nevi.
Due sono invece i pezzi inseriti nella rubrica
Natura & Politica: un progetto formulato circa
quarant’anni addietro e in palese contrasto con
l’attuale progetto di raddoppio dell’aeroporto
Marco Polo di Tessera e la seconda parte del
divertente pezzo satirico di Enos Costantini.
In Natura & Babarie la denuncia ANS riguar-
dante l’urbanizzazione di Valle Ossi, sulla sini-
stra di foce del fiume Piave.
Per la rubrica Natura & Viaggi, Gabriele e
Maurizio Peripolli offrono un bellissimo servizio
fotografico sulla biodiversità del Costa Rica.
In Le nostre escursioni, un breve servizio
fotografico sull’ultima escursione ANS.
Segue la rubrica Progetti di Ricerca, con un
breve pezzo sul Progetto Lince Italia, finalizza-
to alla reintroduzione della specie.
Infine, le immancabili e come sempre, bellis-
sime, Foto dei Lettori.
Buona lettura, buona visione e ….. .. e al
prossimo numero.

Michele Zanetti
Sommario n° 4-5


Regno Vegetale
1.
I bellissimi Iris selvatici del Veneto (Michele Zanetti)

Regno Animale
1. Una nidificazione interessante (Maurizio Peripolli,
Michele Zanetti)
2. Sorprendenti, silenziose presenze (Michele Zanetti)
3. Due parole sull’Orso (Michele Zanetti)

Regno dei Funghi

Ecologia umana

Natura e Poesia
1. Piccoli eterni prodigi (MT52)
2. Di primavera e di sogni (MT52)

Informazione naturalistica

Natura & Narrativa
1. A: Alba; A: Albero (Michele Zanetti)

Natura & Arte
1. Graziano Vallon, ornitologo (Michele Zanetti)

Natura Libri & Film
1. La Pantera delle nevi (Michele Zanetti)

Natura e politica
1. Un progetto rivoluzionario sulla gronda lagunare
del Montiron (Michele Zanetti)
2. E’ arrivato un bastimento carico di … (di Enos Co-
stantini) 2a parte

Natura & Barbarie
1. Valle Ossi, ultima spiaggia (Michele Zanetti)

Natura & Viaggi
1. Costa Rica. La fabbrica delle meraviglie (Gabriele
Peripolli, Maurizio Peripolli)

Le nostre escursioni
1. Pedemontana pordenonese (Michele Zanetti)

Progetti di ricerca
1. Progetto Lince Italia (Progetto Lince Italia)

Le Foto dei Lettori
1.
(Francesca Cenerelli, Corinna Marcolin, Cristina
Stella)


Hanno collaborato a questo numero

Francesca Cenerelli
Enos Costantini
Corinna Marcolin
Gabriele Peripolli
Maurizio Peripolli
Progetto Lince Italia
Cristina Stella
MT52
Michele Zanetti



1
Le foto e i disegni, ove non diversamente indicato, sono di M. Zanetti.
In copertina. Colombaccio (Columba palumbus).
REGNO VEGETALE
2
I BELLISSIMI IRIS SELVATICI
DEL VENETO
Di Michele Zanetti

L’Iris è uno dei fiori in assoluto più popolari.
Appartenente alla famiglia Iridaceae, questo
genere ha espresso con la specie Iris germani-
ca una delle rizomatose ornamentali in assolu-
to più diffuse nei giardini dell’intero territorio
italiano. “Il fiore che non si annaffia mai”, dico-
no i cataloghi delle aziende florovivaistiche e
questo rende queste piante adatte ad aiuole
soleggiate, fioriere e balconi, oltretutto in sinto-
nia con il fenomeno del riscaldamento globale.

Pochi, tuttavia, conoscono le specie selvati-
che del genere Iris e dei generi affini. Piante
forse meno vistose, eppure bellissime e tali da
riservare ai cultori delle collezioni botaniche in
giardino, gratificazioni notevoli.
Si tratta di specie generalmente frugali in ter-
mini ecologici, che esigono comunque posizio-
ni soleggiate e che si adattano anche a suoli
poveri e ricchi di scheletro, essendo che vege-
tano spesso in ambienti rupestri o sassosi.
Le recenti revisioni della sistematica floristi-
ca hanno suddiviso il genere Iris in tre generi:
Iris, Limniris e Chamaeiris, annullando nel con-
tempo il genere Hermodactylus.
Le specie selvatiche e autoctone che rappre-
sentano i tre generi nel Veneto sono sei.
Tra queste la più frequente è rappresentata
dal Giaggiolo acquatico (Iris pseudacorus), i
cui fiori gialli decorano la sponda dei fossi e le
paludi dolci nel mese di maggio. Specie a co-
rologia Euro-asiatica, il Giaggiolo acquatico
vegeta nella pianura e in ambiente collinare,
fino a 300 m slm.
Relativamente frequente nelle radure soleg-
giate degli arbusteti collinari e prealpini è il
Giaggiolo susinario (Chamaeiris graminea),
che invece è assai raro in pianura. Specie a
corologia SE-europea, vegeta dalla pianura
fino a 800 m slm.
Molto raro in pianura e poco frequente in
ambiente prealpino è anche il Giaggiolo sibe-
riano (Limniris sibirica), che vegeta nei prati
umidi e nelle torbiere, subendo purtroppo la
sorte del suo habitat. La specie è a corologia
Eurosiberiana e sale fino a 1300 m slm.
Localizzato sui Colli Euganei e Berici è inve-
ce il Giaggiolo tuberoso (Iris tuberosa), che
presenta una corologia N-Steno-Mediterranea
e che vegeta dal Piano collinare, fino a 1400 m
slm.
Frequentissimo in ambiente planiziale appa-
re invece il Giaggiolo fetido (Iris fetidissima).
Impiegata per arredare il sottobosco dei parchi
storici, la specie appare attualmente ubiquita-
ria. La sua corologia è Euri-Mediterranea e la
distribuzione altitudinale si estende dal Piano a
1400 m slm.
Localizzata nella fascia prealpina appare in-
fine la specie endemica Giaggiolo del monte
Cengio Alto (Iris cengialti), rappresentata da
alcune sottospecie. Si tratta di un giaggiolo ca-
ratterizzato da grandi fiori di colore azzurro,
che vegeta in ambiente rupestre fra i 300 e i
1000 m slm.
REGNO VEGETALE
3
Bibliografia
Pignatti Sandro, 1985, Flora d’Italia, 3
voll., Edagricole, BO.
Pagina precedente
Giaggiolo acquatico (Iris
pseudacorus).

Dall’alto in basso e da
sinistra a destra.

Giaggiolo susinario
(Chamaeiris graminea).

Giaggiolo tuberoso
(Chamaeiris tuberosa).

Giaggiolo fetido (Iris
fetidissima).

Giaggiolo del Monte
Cengio Alto (Iris cem-
gialti).

Giaggiolo siberiano
(Limniris sibirica).
REGNO ANIMALE
4
UNA NIDIFICAZIONE INTERESSANTE
di Maurizio Peripolli* e Michele Zanetti

La segnalazione della nidificazione del Pic-
chio muratore (Sitta europaea), corredata da
un’interessante documentazione fotografica,
viene da Paortogruaro (Ve).
Questo passeriforme forestale, relativamen-
te frequente in ambiente collinare e montano,
risulta invece poco frequente in pianura, dove
lo si osserva più spesso nei mesi invernali, nei
parchi storici.
Nonostante il nome italiano di “picchio”, la
specie appartiene alla Famiglia Sittidae ed è
insettivora. Curioso è il suo modo di esplorare
le screpolature della corteccia arborea, alla ri-
cerca di ragni e insetti, ponendosi anche in po-
sizione rovesciata.
Le uova, in numero di 5-10 sono di color cre-
ma screziate di bruno.
La specie risulta legata in termini di habitat
ad alberi maturi e dotati di cavità, dove nidifica
dopo aver ristretto il foro d’accesso con un in-
tonaco di fango, da cui la denominazione di
“muratore”.
La prima nidificazione per la Provincia di Ve-
nezia è stata pubblicata sul numero 2018 della
rivista Flora e Fauna della Pianura Veneta O-
rientale. La stessa, riguardante i boschi di Li-
son (Portogruaro, Ve) e di Cavalier (Gorgo al
Monticano, Tv), è stata rilevata dal socio orni-
tologo Lucio Panzarin.
Con la presente segnalazione, pertanto, la
specie può ritenersi stabilmente insediata tra i
nidificanti della Bassa pianura.

* Naturalista
Dall’alto in basso e da sinistra a destra.
Nidiaceo che attende l’imbeccata.
Genitore che imbecca un nidiaceo.
(Come sopra)
Picchio muratore (Sitta europaea) (foto da
Wikipedia).

Bibliografia
Zanetti Michele (a cura di), 2018, Flora e
Fauna della Pianura Veneta Orientale. Os-
servazioni di campagna, ANS, Noventa di P.
(Ve)
REGNO ANIMALE
5
SORPRENDENTI, SILENZIOSE
PRESENZE
di Michele Zanetti

Della presenza di una piccola popolazione
di Gatto selvatico (Felis sylvestris) in Cansiglio,
si sapeva, ma il documento fotografico diffuso
qualche mese addietro suscita comunque una
emozione notevole. La presenza di questa bel-
lissima ed elusiva specie in Veneto è tuttora
oggetto di studio e altre sorprese, oltre alle se-
gnalazioni del Col Visintin e del crinale tra la
Valle del Piave e la Val di Zoldo, di alcuni anni
addietro, potranno sicuramente giungere.

Molto interessante è inoltre la prima segna-
lazione certa del Lupo (Canis lupus) nella bas-
sa Pianura Veneta. Data a una decina di giorni
fa l’osservazione di un individuo giovane in di-
spersione, proveniente da Campagna Lupia,
nel Veneziano meridionale. Il Lupo, insomma,
è giunto ormai sulla gronda lagunare, anche
se la sua presenza è destinata a rimanere
sporadica e “di passaggio” (con quale meta
non è dato sapere) per ragioni di habitat e di
disturbo antropico.
Sì, di “disturbo antropico”, avete letto bene:
perché è la nostra specie ad essere in sovran-
numero, invasiva e inquinante, mentre il Lupo
sarebbe semplicemente a casa propria, anche
se l’avviso ultimativo di sfratto gli è stato pre-
sentato alcuni secoli fa.
Sotto. Gatto selvatico (Felis sylvestris) fotografato in
Cansiglio).
A lato. Gatto selvatico.

Sitografia
www.dolomitipark.it/natura-e-
storia/fauna/mammiferi/gatto-selvatico
REGNO ANIMALE
6
DUE PAROLE SULL’ORSO
di Michele Zanetti

Hanno parlato tutti. Tutti, ma proprio tutti: gli am-
ministratori, i politici, i cacciatori, gli ambientalisti,
gli ecologisti, gli animalisti, gli psicologi, gli etologi
(del comportamento umano), i forestali, i biblisti
(ma l’orso bruno, nella Bibbia, è citato?), gli umani-
sti, gli scrittori, i conduttori televisivi, i rappresen-
tanti dei commercianti, degli industriali, dei lavora-
tori: tutti fuorché i Naturalisti. Questi ultimi, infatti,
hanno preferito un discreto silenzio, affinché le gri-
da degli incompetenti si decantassero e sedimen-
tassero.
Ora però ci sia concessa una quindicina di righe
per esprimere anche il nostro parere personale. Il
parare di un naturalista di quarta fila, il nostro; e
comunque quello del Gruppo Grandi Carnivori del
CAI, il più dettagliato e attendibile tecnicamente,
segue a ruota.

Noi vorremmo cominciare dalla condizione della
montagna di cinquant’anni fa. Da quella che chi
scrive s’è trovato a frequentare, essendone inna-
morato. Amandola come si può amare una frontie-
ra selvaggia, in cui ritrovare la vera dimensione
umana: piccola e soverchiata dalle gigantesche
forze della Natura, il cui contatto gratifica e consen-
te di percepire il profumo della Bellezza, che poi è
quello della Vita.
Una percezione, la nostra, antitetica a quella di
“dominatore del mondo, cui tutto è dovuto e che
può consumarne le risorse fino all’ultimo a proprio
esclusivo beneficio, essendo figlio di dio”. Perché
se esiste un Dio, quello è espresso, appunto, nel
Sistema Vivente.
Ebbene la montagna di appena mezzo secolo
addietro era un deserto assoluto: un Sahara albe-
rato, in cui in dieci ore di escursione potevi si è no
cogliere il cinguettio di una cincia mora o il canto di
un pettirosso. Un palcoscenico mirabile e triste,
perché svuotato dai suoi attori protagonisti, dalla
sue musiche e dalle sue atmosfere più vere.
Certo, si può dire che non c’erano pericoli, in
quegli anni. Come a dire che non c’era nessun su-
peruomo che in mountain-bike ti sfrecciava accan-
to, sfiorandoti a ottanta chilometri l’ora lungo un
sentiero impervio che tu stai percorrendo con il fia-
tone.
Ma quando tornavi a casa, la sera, stanco e di-
sorientato dal troppo silenzio, ti chiedevi: ma come
abbiamo fatto a desertificare la montagna, a vuo-
tarla della sua anima, delle sue musiche; com’è
stato possibile.

E tuttavia era accaduto: cervi, linci, lupi, orsi, fu-
cilati, tutti, fino all’ultimo, senza timore di commet-
tere alcun “reato ecologico” e anzi, con tanto di
foto ricordo accanto all’ultima, tragica e grottesca
carcassa del “grande predatore vinto”.
E ricordo persino un articolo che lessi mi sembra
sulle Alpi Venete (ma potrei sbagliare) in cui un
naturalista aveva avvistato, durante un’escursione,
un cervo maschio (il primo!) presso il Passo della
Pura (Friuli), provandone una grande emozione. E
che l’aveva ritrovato regolarmente ucciso e carica-
to sul tetto di una jeep ad opera di cacciatori locali,
al suo ritorno.
Ora, da quei giorni molta acqua è turbinata lun-
go i torrenti di montagna, verso la pianura velata
dai fumi dell’uomo e molte cose sono cambiate. Al
punto che i cervi sono tornati in gran numero su
una montagna abbandonata dai montanari, che i
lupi li hanno seguiti a distanza di qualche decennio
e che s’è deciso di rivitalizzare la popolazione mo-
rente (4 individui) di orsi trentini, con alcuni orsi
bruni sloveni.
Un progetto ambizioso, quest’ultimo, che forse
non aveva fatto bene i conti con la fertilità delle
orse slovene, che sfornano tre o quattro orsac-
chiotti ad ogni parto; questo sosterrà qualcuno. In

REGNO ANIMALE
7
realtà e finalmente, uno dei rari progetti di reintro-
duzione di specie estinte o a rischio, che ha conse-
guito un indiscutibile e rapido successo.
Tutto bene, dunque: cervi, lupi e orsi sono torna-
ti, non proprio spontaneamente questi ultimi, ma
ora ci sono e costituiscono un capitale faunistico di
cui le Alpi italiane possono finalmente andare orgo-
gliose.

Alla fine, però, ed è cronaca di qualche settima-
na addietro, è accaduta la tragedia: un uomo, un
giovane sportivo, è rimasto vittima dell’aggressione
di un’orsa che, seguendo il codice ineludibile del
proprio istinto di madre, ha inteso difendere i picco-
li da un umano che correva loro incontro.
Un evento di fortissimo impatto emotivo per l’in-
tera comunità trentina e nazionale, che ha imman-
cabilmente scatenato il putiferio di reazioni cui s’-
accennava in precedenza.
Che dire e che fare a questo punto?
Le opzioni proposte sono le più disparate: dal
“controllo demografico” della specie (che significa
abbattere almeno cinquanta dei cento orsi trentini e
magari farne prosciutti come fanno gli Sloveni), al
trasferimento di alcune decine di orsi non si sa be-
ne dove, magari in Scandinavia e fino all’abbatti-
mento sistematico degli “orsi problematici” e alla
cattura e sterilizzazione delle femmine.
A nessuno è venuto in mente che convivere con
gli orsi è possibile (lo fa il resto d’Europa) e che le
aggressioni, quando rarissimamente si verificano,
sono frutto di situazioni sfortunate e, assai più
spesso, di comportamenti inadeguati da parte degli
umani.
Ebbene a difettare, ad essere cioè mancato, nel
tragico caso trentino, è stato proprio questo: l’as-
senza di formazione-informazione della gente, dei
frequentatori dei boschi, per lavoro, per diletto, per
ragioni di studio o per qualsiasi altra ragione. Per-
ché un “bosco con gli orsi” non è come un “bosco
deserto in cui far giocare il cane” che tanto nessu-
no ti vede e ti richiama. E’ qualcosa di diverso: è
un ecosistema prossimo naturale in cui è presente
un potenziale grande predatore onnivoro. Un pre-
datore che certo fiuta il tuo puzzo insopportabile e
si tiene possibilmente alla larga, ma che in casi
particolari può anche indispettirsi e rivendicare il
proprio diritto alla privacy (si dice così?).

Cerchiamo di darci da fare, allora e seriamente
(gli Italioti e gli amministratori eletti a loro immagine
e somiglianza, ne sono capaci?). Troviamo le solu-
zioni che consentano di conservare il patrimonio di
vita selvatica che grazie a pochi e nonostante la
maggioranza, ci è stato donato dalle Alpi italiane
che l’uomo ha abbandonato. E sforziamoci di capi-
re che i boschi e i pascoli, le rupi e i ghiaioni, non
sono il parco giochi, la pista da campionato di
mountain-bike o la palestra di roccia che la città ci
nega, ma sono un ambiente da condividere con
altri e più legittimi abitatori e frequentatori, le cui
esigenze dobbiamo rispettare.
Ci vuole tanto? Purtroppo sembra di sì.
E un’ultima cosa, da ultimo dei naturalisti. Se in
Trentino vive un centinaio di orsi, che non se ne
vogliono andare, che non vogliono migrare verso
altre e meno ospitali dimore, è semplicemente per-
ché il territorio montano può sostenerli in termini
ecologici. Oltretutto, essendo i maschi adulti territo-
riali, la densità ottimale, in base alle risorse d’habi-
tat e alimentari, viene stabilita dalle leggi dell’Eco-
logia.
Cominciamo a ragionare da qui e non dalla
“guerra agli orsi”.
Sotto. Impronte di orso bruno (Ursus arctos) rilevate da Giu-
seppe Tormen sui monti del Bosconero (BL) in data 2-
0.04.2012.
In basso. Orso bruno ripreso da foto trappola di Giuseppe
Tormen.
Piccoli eterni prodigi
di MT52*

Non chiedere ai sassi
Perché son fioriti
La roccia muta e fredda
Non ti risponderà
Ma il frammento di cielo
Splendente d’azzurro
sbocciato in silenzio
Un mattino d’estate
Rimane lì appeso
Come un sospiro delicato
Per ricordarti ora e sempre
Che la vita e l’amore
Sono prodigi eterni

22 luglio 2010
NATURA & POESIA
8
* Poeta
Di primavera e di sogni
di MT52

Piove silenziosamente
Nel buio piove
Sommessamente goccia a goccia
Nella luce riflessa dei lampioni
Sull’asfalto nero e muto
Sulle gemme ancora chiuse
Piove delicatamente
Dolcemente piove
Sulle promesse mai mantenute
Sui desideri mai spenti
Sul sogno di un futuro già trascorso
E ancora una volta l’animo si culla
Al pensiero struggente
Che è quasi primavera.

06 marzo 2017
9
NATURA & NARRATIVA
- Alba: breve momento del giorno in cui
avviene il trapasso tra il buio e la luce
ed in cui si verifica il sorgere del sole.

L’alba è un momento magico della giornata,
riservato a pochi sfortunati. La grande
maggioranza della gente, infatti, ritiene che il
giorno cominci alle otto e si prolunghi fino a
mezzanotte e oltre e può osservare l’alba solo
di tanto in tanto, magari in televisione.
Eppure l’alba può riempire una giornata; so-
prattutto può riempire gli occhi e cullare l’ani-
mo con sensazioni di indescrivibile delicatez-
za. L’alba comincia molto presto: d’inverno, ad
esempio, precede di mezz’ora il sorgere del
sole dal profilo d’orizzonte ed è una sorta di
spettacolo esclusivo della natura, un incantesi-
mo dinamico, che si manifesta con affascinan-
te lentezza e si dispiega in un crescendo so-
lenne, per estinguersi in un attimo non appena
il sole emerge ad oriente.
Non tutte le albe tuttavia sono uguali: a volte
la rappresentazione o la scenografia ne enfa-
tizzano la bellezza, creando effimeri capolavori
estetici ed effetti cromatici mozzafiato. Splendi-
da è l’alba in campagna, dove il profilo scuro
degli alberi disegna coreografie suggestive ed
ancor più lo è in laguna, dove il cielo dipinto si
riflette nell’acqua immobile, facendo galleggia-
re l’ispido profilo delle barene nel rosso corallo,
nel giallo oro o nel cobalto contaminato da sfu-
mature rosa.
Del tutto speciali e pressoché impossibili da
descrivere, sono le albe dei giorni che segna-
no il concludersi di una turbolenza meteoclima-
tica. Esse si distinguono, infatti, per la singola-
re varietà delle situazioni di luce e di colore e
si propongono all’osservatore come episodi
unici, fuggevoli e irripetibili dell'eterno spetta-
colo della natura. La prima luce, che emana
leggera dall’orizzonte buio, tinge, in questi ca-
si, la ultime nuvole lacerate e in tumulto, con
cui il sereno imminente lotta, avendo complice
il vento. E’ una sinfonia cromatica in crescen-
do, con effetti grandiosi, che per qualche atti-
mo regalano a chi si ferma ad osservare lunghi
attimi di vita in più.
Amo particolarmente le albe della bassa pia-
nura e dei litorali del Veneto Orientale, perché
negli sconfinati spazi della bonifica e sulle di-
stese d’acque lagunari il cielo diviene protago-
nista del paesaggio e perché i cieli delle terre a
levante di Venezia sono mutevoli, irrequieti,
imprevedibili, come i sogni che non si raccon-
tano e lasciano un profumo dolce nell’anima.
Alba lungo l’argine destro del fiume Piave.
- Albero: massima espressione del Re-
gno Vegetale; pianta caratterizzata da
un tronco eretto, di consistenza legno-
sa, diviso in rami che supportano una
chioma formata dalle foglie.

“Gli alberi per me rappresentano i più assi-
dui predicatori. Io li venero quando crescono in
foreste o soli …….”. Così scriveva degli alberi
Hermann Hesse, poeta e filosofo della Natura.
C’è in effetti qualcosa di sovrannaturale nel-
l’albero, in ogni albero: sia esso un patriarca
gigantesco e segnato da mille stagioni o un
giovane e tenace guerriero, aggrappato alle
rocce di uno strapiombo ed in perenne conte-
sa con gli elementi. E’ la longevità forse, il por-
tamento di volta in volta austero, elegante, di-
sordinato, sofferente, ma soprattutto quell’af-
fondare le radici nel ventre della terra allun-
gando i rami verso il cielo: quella oscura e af-
fascinante capacità di generare nuova vita dal-
la sostanza inerte del suolo, ergendosi quindi
10
NATURA & NARRATIVA
come a volerla celebrare in tutta la sua esteti-
ca esuberanza. L’albero secolare, a qualsiasi
specie appartenga, esprime ancora la grandio-
sa forza, la longevità, la tenacia vitale che fa
sentire gli uomini, dominatori arroganti con
pretese divine, finalmente in soggezione di
fronte alle espressioni viventi della Natura. La
sua architettura imponente, così come le sue
dimensioni, la sua storia individuale, il suo rap-
porto antico con l’ambiente, il suo simbolico
ruolo di testimone delle vicende della storia
umana, ne fanno un elemento sacrale dell’am-
biente che troppo in fretta e spesso drammati-
camente l’uomo ha modificato attorno a lui.
Che saremmo noi, che sarebbe la specie
umana con le sue sovversive pretese di creare
un’ecologia del sistema naturale basata sull’e-
conomia, senza gli alberi; senza questi prota-
gonisti della vita che, come diceva Hermann
Hesse, interpretano semplicemente se stessi,
utilizzando tutti gli strumenti che la vita stessa
ha loro concesso. Senza gli alberi non esiste-
remmo, perché siamo loro figli: perché la no-
stra cultura, non meno della nostra religione e
della nostra economia, sono loro figlie.
Mi impressionò, durante un viaggio in Africa
compiuto molti anni fa, conoscere il popolo
Turkana del lago omonimo; mi impressionò
soprattutto il loro legame con certe palme, i
soli alberi a crescere nella conca desertica abi-
tata da questi pescatori, pastori, raccoglitori.
I Turkana ne raccoglievano le foglie verdi
per costruire le precarie dimore in cui viveva-
no, ne utilizzavano i tronchi per costruire le pri-
mitive zattere con cui sfidavano le acque del
grande lago e traevano dai frutti non so più
quale alimento. Un’autentica dipendenza eco-
logica, che aveva condizionato il costume di
vita, la cultura, l’economia di un popolo intero;
così come doveva essere stato, migliaia di an-
ni fa, per la nostra civiltà, figlia delle querce di
pianura, della loro ombra protettrice, delle loro
ghiande, del loro legname tenace e duraturo.
Nonostante tutto però l’importanza dell’albe-
ro nella cultura media dell’uomo tecnologico
postindustriale, risulta pressoché irrisoria. De-
gli alberi la quasi totalità dei cittadini sa poco o

nulla e la loro importanza, che alle volte si im-
para a scuola, viene presto dimenticata, come
avviene per gli inutili fardelli di una cultura che
punta all’essenziale e spesso soltanto al su-
perfluo. Distinguere un platano da una quercia,
una robinia da un pruno, un acero campestre
da un carpino è già ritenuto compito da specia-
listi; se poi si scende all’identificazione di spe-
cie congeneri è opinione comune ci si debba
affidare agli scienziati o ….. .. ai vivaisti, quan-
do non agli architetti.
Tutto questo per dire che, molto spesso, la
gente non conosce nemmeno gli alberi che
“qualcuno” ha piantato nel giardino di casa,
con il risultato che, nell’improbabile foresta ri-
trovata del giardino stesso si mescolano
“extracomunitari arborei” di disparata prove-
nienza e di scarsa o nulla compatibilità con il
nostro ambiente ed il nostro paesaggio.

C’è comunque assai di più: si pensi alle fore-
ste equatoriali quotidianamente distrutte dalle
multinazionali del civilissimo Occidente nei pa-
esi d’origine. “Quest’anno ci siamo mangiati
l’Austria” diceva uno slogan WWF di qualche
anno fa, a proposito della superficie di foresta
irreversibilmente cancellata dalle terre emerse
del pianeta. Ed anche ora, mentre scrivo, le
motoseghe stanno lavorando e il deserto di
terra rossa sta dilagando a spese delle comu-
nità primarie di alberi che offrono rifugio alla
biodiversità ancora sconosciuta del pianeta
Terra ed alle ultime culture primitive dell’uomo,
bene insostituibile e simbolico della diversità
culturale umana.
Poveri alberi, non si rendono ancora conto,
puri d’animo e nobili di sentimento quali la Na-
tura li ha creati, che hanno tenuto a battesimo
l’animale culturale più presuntuoso, stupido e
autolesionista che l’evoluzione potesse partori-
re.
Che dire, a questo punto, se non che il debi-
to delle economie avanzate nei confronti degli
alberi è incolmabile; che dire, per non perdere
la speranza in un mondo a misura d’albero e
d’uomo (intelligente), se non che ciascuno de-
ve assumersi le proprie responsabilità; che di-

11
NATURA & NARRATIVA
re, in fatto di responsabilità, se non che per un
“animale culturale” che aspira al supremo ruolo
di “governatore della Natura”, il primo compito
è quello di acquisirne una cultura adeguata,
interiorizzarla e tradurla in nuove regole di vita
e di relazione con l’ambiente.

* Da ZANETTI MICHELE, 2002, Dizionario quasi autobio-
grafico di un naturalista, inedito.
In alto. Pioppi italici (Populus
nigra var. italica nella campa-
gna di bonifica del Veneto
Orientale. Le loro inconfondi-
bili sagome conferiscono una
suggestiva dimensione agli
spazi vastissimi e agli oriz-
zonti invernali della Bonifica.

A lato. Profilo di una Robinia
(Robinia pseudoacacia) iso-
lata nella luce del tramonto
che annega nel buio gli oriz-
zonti delle campagne del
Basso Piave. Specie allocto-
na di origine nordamericana,
la Robinia è attualmente uno
degli alberi in assoluto più
diffusi della Pianura Veneta
Orientale. Questo, nonostan-
te i suoi legami con la cultura
contadina siano andati allen-
tandosi, è dovuto alla natura-
lizzazione della specie e alla
sua straordinaria capacità di
conquista degli spazi incolti.
12
NATURA & ARTE
GRAZIANO VALLON
Ornitologo

Abbiamo voluto dedicare la rubrica di Arte naturalistica a
Graziano Vallon (1851-1926), valente ornitologo friulano e
disegnatore naturalista, che come lui stesso scrive: “non poté
per circostanze di famiglia avviarsi agli studi universitari dedi-
candosi alla facoltà di scienze naturali, come lo spingeva la
sua inclinazione, ma dovette provvedere subito a se stesso ed
entrò a diciannove anni a far parte del corpo ferroviario”.
A sinistra. Il catalogo della mostra dedi-
cata a Graziano Vallon dal Museo Friula-
no di Storia Naturale di Udine, presso la
galleria Tina Modotti, nel 2019.

A destra. Graziano Vallon al lavoro nel
suo studio.

Sotto a sinistra. Canapino (Hippolais
polyglotta), acquarello, 1920.

Sotto a destra. Civetta (Athene noctua),
acquarello, 1919.
13
NATURA LIBRI & FILM
LA PANTERA DELLE NEVI
Di Michele Zanetti

Alcuni anni fa, Mattia, mi fece un regalo di
compleanno speciale: mi fece adottare un cuc-
ciolo di Leopardo delle nevi (Panthera uncia).
Così, per un anno, ricevetti le notizie che ri-
guardavano il mio “figlioccio”, nell’ambito di un
progetto di tutela della specie.
Innamorarsi del Leopardo delle nevi, del re-
sto è facile; non fosse altro che per lo speciale
adattamento di quel grande felino ad un
habitat tra i più difficili del Pianeta. Adattamen-
to che implica un mimetismo assoluto, che
confonde il mantello dello stesso leopardo con
il colore dei versanti rocciosi, rendendolo di
fatto invisibile quando sosta immobile tra le
asperità delle rocce.
E’ superfluo dire che conoscevo la specie e
che mi ha sempre affascinato la specialissima
biocenosi della montagna himalayana. Specie
sconosciute ai più (sarebbe a dire alla quasi
totalità dei nostri concittadini), la cui bellezza
emoziona e stupisce e il cui ruolo di prim’attori,
entro palcoscenici di grandiosa e indescrivibile
bellezza, rende ancora più affascinanti.
Questa è la ragione per cui ho accettato vo-
lentieri l’invito dell’amico Paolo Favaro alla vi-
sione del film “La Pantera delle nevi”, anche se
con i film naturalistici, in cui non ci sono dram-
mi d’amore ed esistenziali che si intrecciano,
non sai mai cosa aspettarti.
Invece questa volta, ciò che mi attendevo
segretamente dal film è stato espresso al più
alto livello, anzi, magistralmente direi. Perché
io sognavo segretamente di conoscere il gran-
de, sconfinato ecosistema del Piano alpino hi-
malayano, partendo dai suoi indescrivibili e
grandiosi paesaggi, per scendere poi ai suoi
protagonisti animali.
Così è stato e la modesta platea di eletti che
ha seguito la proiezione ha così potuto cono-
scere i piccoli roditori delle rocce e constatare
che nello stesso habitat interagiscono il grande
Corvo imperiale, il Gipeto e l’Aquila reale delle
nostre montagne; e poi passeriformi delle alti-
tudini, marmotte asiatiche e altre specie mai
viste.
Ma la chicca proposta dal film, grazie alle
interminabili ore di appostamento e di bivacco
dell’autore, accompagnato da un giornalista,
sono stati i grandi mammiferi. I lupi, il bellissi-
mo Gatto di Pallas, le antilopi della grande
montagna desertica, i bharal e gli stambecchi
asiatici, i cavalli selvatici, gli eminoni e gli yak.
Su quest’ultima specie (Bos gruniensis), l’auto-
re si è soffermato proponendo una serie di im-
magini fotografiche mozzafiato. Il tutto condito
da suoni naturali, da musiche mai sentite e mai
immaginate. Perché se la figura degli animali
selvatici si può immaginare, ricostruendola
mentalmente, i loro richiami rimangono scono-
sciuti finché qualcuno non li rileva in ambiente.
Ma se questo non fosse bastato, a fare da
protagonista assoluto della narrazione in cui la
Pantera delle nevi appariva un pretesto con cui
ingioiellare nella parte finale del film un piccolo
capolavoro, ecco i paesaggi.
Paesaggi cupi, inquietanti, assoluti e gran-
diosi nello loro luci, nei loro toni cupi e mono-
cordi. Paesaggi con la nebbia, sotto la neve
sferzante, con mantelli di nuvole incombenti o
nevi immacolate e cangianti.
Infine la Pantera, che si rivela d’improvviso
quando ormai sembrava svanire la speranza di
incrociare i suoi percorsi abituali, le sue tracce,
i suoi passaggi segreti.
Film di Sylvain
Tesson e Vin-
cent Munier,
tratto dal ro-
manzo di Sil-
vain Tesson.

Il film è stato
proiettato nell’-
ambito della
rassegna di film
“Cinema am-
biente 2023”,
organizzata
dall’Associazio-
ne Salviamo il
Paesaggio di
Mogliano Vene-
to (TV).
14
NATURA LIBRI & FILM
Dall’alto in basso e da
sinistra a destra.

L’altipiano del Tibet e la
Catena himalayana da
satellite.

Coppia di Yak selvatici
(Bos grunniensis).

Piccola mandria di Emio-
ne (Equus hemionus).

Cucciolo di Gatto del Pal-
las (Otocolobus manul).

Gatto del Pallas.

Maschio di Bharal
(Pseudois nayaur).

Tutte le foto sono tratte
da internet.
15
NATURA & POLITICA
UN PROGETTO RIVOLUZIONARIO
SULLA GRONDA LAGUNARE
DEL MONTIRON
Di Michele Zanetti

Ma davvero qualcuno pensa ancora che uno svi-
luppo economico diverso fosse possibile per la La-
guna di Venezia?
Davvero esiste ancora qualche vecchio utopista
(si dice così?) che crede in ciò che è stato ignora-
to, affossato, snobbato e deriso, in fatto di strategie
di relazione intelligente con l’ambiente lagunare?
Stenteremmo a crederlo, se non fosse che quel
qualcuno siamo noi (plurale maiestatis, ma soltan-
to per ragioni di età).
Eppure, quando penso alla situazione in cui si
trova la Laguna e ai rischi che corre il suo inesti-
mabile patrimonio di storia, di biodiversità, di pae-
saggio, di cultura e d’arte, ho la tentazione di pen-
sare che tanto era scritto che andasse così e che
pertanto non ci si poteva fare nulla. Non si poteva
evitare che la città, che poggia sui tronchi di larice
del Cadore e che subisce l’andirivieni quotidiano
delle maree, diventasse un baraccone da circo tra-
boccante di folle sudate e di B&B più o meno rego-
lari. Né si poteva evitare che le grandi navi del turi-
smo crocieristico dei ricchi scaricassero le loro folle
dilaganti e i loro fumi nelle calli e nel cielo della Do-
minante. E non si poteva neppure evitare che l’ae-
roporto Marco Polo diventasse uno scalo aereo
internazionale, che scarica milioni di umani alieni
sulla gronda lagunare e alimenta il traffico di moto-
scafi e il conseguente moto ondoso che demolisce
la barena di Campalto.
Non era possibile evitare questa deriva e per
una ragione semplice al punto da apparire persino
banale: noi siamo esponenti di primo piano, pur se
sudditi, della GCO (Grande Civiltà Occidentale).
Siamo alfieri del CDR (Capitalismo di Rapina) e
dunque del Consumo smodato e incontrollato, del
CSI (di suolo, di risorse non rinnovabili, d’acqua,
d’aria, di biodiversità, ecc. ecc.). Noi siamo al trai-
no degli USA, ne siamo fedeli sudditi, alleati e di-
pendenti economicamente (e sarebbe il meno) ma
anche culturalmente (la TV pubblica e privata, la
sera, trasmette soltanto film americani, stupidissimi
e violenti) e (senti senti ….. ..) militarmente.
Che poteva accadere di diverso?

Eppure non basta ancora.
No, anzi, siamo soltanto all’inizio di una nuova
era dell’Antropocene (di cui i più neppure conosco-
no l’esistenza), chiamata “Post-Covid”.
Una fase di imbecillimento collettivo, di frenesia
consumista, di orgasmi da crescita sfrenata e a
tutti i costi (crescere, crescere, crescere, come il
“dai e dai delle meretrici” di cui cantava Fiorella
Mannoia). Una fase in cui abbiamo persino manda-
to sotto processo, se non riempito di botte, secon-
do lo stile delle squadracce mussoliniane, medici,
infermieri, ministri e scienziati: in altre parole tutti
coloro che per tirarci fuori dalla melma del Covid-
19 s’erano fatto un mazzo tanto e che la grande
paura collettiva ci aveva fatto considerare, sulle
prime, alla stregua di “eroi”.
Tutto questo sta accadendo davanti agli occhi
increduli di coloro, come chi scrive, che ancora si
scandalizzano del fatto che la TV pubblica (e non
solo), dedichi tre giorni di notiziari e di servizi spe-
ciali ai festeggiamenti per il terzo scudetto del Na-
poli.
Ma è ancora poco, rispetto a ciò che si prepara.
Semplicemente perché, parlando ancora della La-
guna, stanno covando sotto la cenere il “Bosco
dello Sport” e il raddoppio dell’aeroporto Marco
Polo. “Fino a raggiungere i 21 milioni di passegge-
ri”, ha detto il manager che lo gestisce, suscitando
l’ammirazione, il tripudio e la gioia collettivi.
Già, il fantomatico “Bosco dello Sport”: un topo-
nimo ingannevole e subdolo, per indicare e
“rinverdire” il più grande intervento di urbanizzazio-
ne e di consumo di suolo della terraferma venezia-
na, anzi, della gronda lagunare, dell’ultimo secolo.
Perché, comunque, non va dimenticato che le folle
che si concentrano ai margini del campo di calcio
del Venezia assommano ad almeno 150 presenze
a partita!
Lo sbocco del fiume Dese nella Laguna del Montiron, con i
vastissimi canneti che accompagnano l’alveo. Il centro Ornito-
logico verrebbe a collocarsi oltre l’argine sinistro di foce.
16
NATURA & POLITICA
Quanto poi ai “21 milioni di baionette”, pardòn, di
trolleis (si scrive così?) dell’aeroporto, basti pensa-
re che è quasi la metà di ciò che rimane degli ita-
lioti, che di anno in anno, fortunatamente, calano
inesorabilmente.

A questo punto, al cospetto di tali, demenziali
progetti, che fanno a gara con il ponte sullo Stretto
di Messina e che sottendono silenziosamente la
linea ferroviaria e la stazione Sub lagunare ad alta
velocità, il ponte Tessera-Cavallino e il nuovo ca-
nale veloce Fusina-San Marco, per la visita a Ve-
nezia in tre ore, con cappuccino e brioches inclusi,
ci permettiamo di proporre un altro e alternativo
progetto.
Si tratta, per il vero, di un’idea formulata circa
quarant’anni addietro, da chi scrive, quando si pen-
sava che uno sviluppo diverso sarebbe stato possi-
bile. Un’idea che, a questo punto appare come ri-
voluzionaria; anzi bolscevica, antagonista e sedi-
ziosa, ma anche affascinante e persino sostenibile,
sia in termini ecologici che economicamente.
Il progetto si intitola Centro Ornitologico del
Montiròn, che per chi comprende soltanto gli acro-
nimi fa COM.
Un’idea ispirata, ancora a chi scrive, da una visi-
ta alla celebratissima Camargue francese, effettua-
ta appunto quattro decenni addietro.
Un ambiente di stagni d’acqua dolce, di laghetti
di ninfee, di paludi (marisceti, giuncheti, schoeneti,
ecc.) e di canneti, attrezzato per la sosta e la ripro-
duzione degli uccelli, con tanto di voliere didattiche
(per il recupero degli uccelli feriti) e di altri habitat
(prativo, arbustivo e forestale) opportunamente
ricostruiti oltre l’argine massicciato della gronda
lagunare. Ma anche di percorsi a piedi su passerel-
le lignee, di osservatori, di un centro visite, di un
centro scientifico di studio delle migrazioni e di sale
convegno e proiezione recuperando gli edifici rurali
in rovina già presenti. Il tutto dopo aver bonificato
dai rifiuti solidi urbani la sacca della sinistra di foce
del fiume Dese, che dovrà ospitare l’oasi. Sacca
che per decenni ha accolto i rifiuti dell’entroterra
veneziano, sedimentati da almeno mezzo secolo
per alcuni metri di profondità.

Che ve ne pare? Utopia?
Ma che significa utopia! Scommettiamo che
quando ne parlerò a Sua Santità il Governatore
Luca Zaia questi farà un salto di gioia sul trono? E
che scucirà i miseri due o tre milioni di euro neces-
sari all’operazione?
Come come! Ma che significa “il ritorno econo-
mico”. Certo che ci sarà il ritorno economico. Hai
visto mai che le decine di milioni di umani che
sbarcano presso il Marco Polo non siano innanzi-
tutto interessati ai legittimi abitanti della Laguna e
dunque agli uccelli che la decorano in ogni stagio-
ne?
Certo, lo ammettiamo, qualche difficoltà potrà
presentarsi, essendo che partirà un aereo al minu-
to e che il rombo dei motori sarà incessante dall’al-
ba all’alba. E poi i bus-navetta, i motoscafi veloci, il
cestini per i rifiuti da svuotare, i panini da prepara-
re; che a uno che arriva dal Giappone dopo diciotto
ore di digiuno non puoi mica negargli un panino e
una bibita. Ma questo è il meno e anzi, già che ci
siamo, che siamo cioè in vena di progetti rivoluzio-
nari, si potrebbe contestualmente dimezzare l’ae-
roporto e costruire il “Bosco dello Sport” senza sta-
dio e dunque senza sport. Anche perché lo Sport,
come sosteneva il grande e compianto amico Ciro
Perusini “nuoce gravemente alla salute”.
Che ne dite?
Attendiamo (ancora una volta il plurale è maie-
statis) con ansia il parere dei Lettori.
Due aspetti del degrado che affligge questo prezioso angolo di
laguna, con i rifiuti fluitati e il rombo degli aerei.
17
NATURA & POLITICA
Seconda parte del divertentissimo pezzo
di Fantapolitica dell’Amico Enos Costantini

È ARRIVATO UN BASTIMENTO
CARICO DI ….. ..
Extracomunitari accolti a braccia aperte
di Enos Costantini*

Va da sé che allo zoologo è stato intimato di i-
scriversi agli alcolisti anonimi e il mondo scientifico
ha immediatamente preso le distanze dalle sue
affermazioni, definite personali, speciose, basate
su un superato empirismo e mai sottoposte a valu-
tazione peer review.
Un ometto di Servola, padre di famiglia, si lascia
scappare che a Trieste gavemo assai cani e altri
no ne servi, cossa fazzemo, no li magnemo, che li
buti in mar. Attualmente è ospitato nella caserma
dei carabinieri, solo luogo ritenuto abbastanza pro-
tetto dalla folla di esagitati cinofili e cinefili con ma-
nifesti intenti assassini.
Intanto i cani attendono e si solluccherano con
doni arrivati da ogni angolo dell’orbe terracqueo. Il
puzzo non fa che aumentare, le deiezioni cinofile e
cinefile, esattamente come a Venezia, finiscono in
mare, e dove sennò? Ogni forma di vita scompare
dalle acque del tergestinus sinus: i pescatori s’in-
cavolano, ma ricevono soddisfacenti ristori, gli alle-
vatori di mitili fanno una dimostrazione in Carnia
per avere più ristori. I cargnelli offrono loro da bere
e tutto finisce in sbornia tra monti e mare.
Le autorità, i politici, i burocrati regionali concor-
dano che la situazione, pur avendo dato grande
visibilità alla città alabardata e un non secondario
introito alle attività commerciali, non può durare.
Gli interessi delle navi conigliera per conigli brevio-
recchiuti vanno assecondati e sono in palese con-
flitto con gli odori levantisi dal piroscafo cagnaro.
Detto e fatto. Una commissione all’uopo istituita,
formata da cinefili cinofili, veterinari, burocrati in
trasferta pagata, giunta da Roma e da Concovello,
si mette al lavoro.
La ONG non è in grado di dire con precisione il
numero degli animali. Alcuni volontari salgono a
bordo per tentare la conta, ma il lavoro è improbo
in quanto le simpatiche bestie tendono, a seconda
dell’indole, a leccare sulla faccia, a strappare i pan-
taloni coi denti, a mordere con decisone mani e
polpacci dei contabili. Inoltre fuggono e sfuggono
qua e là rendendo difficile o impossibile la identifi-
cazione. Il tutto in mezzo a una cagnara da far ter-
remotare i timpani, deiezioni semisolide sdrucciole-
voli e fetori che nessuna tortura cinese saprebbe
ideare. Per di più, fatto del tutto insospettato, a
bordo si trova una manica di gatti che fanno dispet-
ti ai cani, corrono da prua a prora a poppa graffian-
do a piacere i malcapitati cainanti compagni di av-
ventura e vanno a prendere il sole dove la muta
latrante, indispettita e scornata, non li può raggiun-
gere.
Con quali criteri assegnare le bramate bestiole?
E come regolarsi con chi ne desidera più di una? E
se la bestia assegnata si dimostra subito sgradita e
la si riceve indietro? La maggioranza dei richieden-
ti vuole vedere il concupito animaletto, anche se
solo in foto, prima di sottoporlo alle amorevoli per-
sonali cure.
Dalle Nazioni Unite giunge la proposta di un cor-
ridoio umanitario. Un triestino un po’ brillo sottoli-
nea l’irriverenza, l’offensività, dell’aggettivo nei
confronti della specie umana ed è subito tacitato
dai parenti che non vogliono fastidi. Un veterinario
con lettera al Piccolo chiede alle autorità sanitarie
dove e con quali criteri si farà la quarantena: mica
si possono mandare in giro bestie a vanvera, con
tutte le malattie che hanno i cani e che possono
impestare l’intero mondo dei cinefili cinofili. Viene
zittito malamente e accusato di fare pubblicità alla
sua clinica; le autorità di polizia gli consigliano di
cambiare aria. Il coraggioso veterinario non ha cli-
nica, ma gli accusatori non demordono. Trapela la
notizia che si dedicherà alle malattie dei pappagal-
lini nelle isole della Sonda.
18
NATURA E POLITICA
Alcune ditte di medicinali per cani si dicono di-
sponibili a dare un aiuto finanziario sempre che la
stampa faccia da cassa di risonanza; una ditta di
alimenti per cani si rende disponibile a finanziare
una parte dell’operazione, sempre che vi sia un
adeguato riscontro sui media. I social dei politici
appoggiano entrambe le opzioni. La Regione ap-
pronta una convenzione con BigDog SweetDog,
multinazionale svizzera del settore.
Intanto si muove una certa opposizione. Un leo-
ne da tastiera si dice sicuro che, fatti sbarcare que-
sti, si presenterà immediatamente un’altra nave
piena di cani e gatti, forse anche di criceti e di tar-
tarughe, forse di pangolini e di formichieri e dio sa
cos’altro mangiano gli orientali. Un politico aveva
postato “affondiamo la nave”, ma subito ritira il post
dicendo che scherzava, che voleva dire altro, che
è stato stracapito, c’era un malinteso, figurarsi, lui
ama le bestie, suo nonno teneva il cane Fido libero
in cortile, mica alla catena …
Alla fine viene istituito il corridoio sanitario che
inizia sul molo triestino con un cordone sanitario.
Un cordone vero, fatto di transenne entro le quali si
muovono singolarmente le bestie, per l’occasione
al guinzaglio, accompagnate da un funzionario del-
la ONG e da un veterinario. Una per una, con ac-
cese discussioni sul tipo di guinzaglio e con mani-
festa impreparazione ad accompagnare quelle più
ringhianti e più mordaci. Ogni cara bestiola, talvolta
si fa per dire, sale su una camionetta per una de-
stinazione concordata con i rappresentanti dei ri-
chiedenti adozione: un sindacato di giovani signore
in jeans e pelliccia, di meno giovani signore in je-
ans e pelliccia, di più vecchie signore in jeans e
pelliccia col corollario di qualche loro esangue e
stanco marito stordito dagli avvenimenti.
In piazza Unità è istituito un palco sul quale si
tengono discorsi di circostanza tra una folla festan-
te e acclamante. Essendo presenti la stampa e le
tivù di tutto il mondo nessun politico vuole perdersi
i riflettori di questa inaspettata occasione. I social
impazzano, gli addetti social dei politici stanno per
scoppiare e, augurandosi in cuor loro un cinofilo
morbo assassino, continuano a caricare scemenze
sull’amor animale.
In tre giorni l’operazione è compiuta, i cani non
erano poi così tanti, i gatti si sono in parte dileguati
nel borgo teresiano e in parte sono testardamente
rimasti a bordo. C’è uno strascico di liti tra chi ha
avuto il cane più bello e chi ha avuto il cane col
cimurro, ma sono echi che presto si spengono. U-
na nave carica di serpenti ha attraccato al porto di
Tampa in Florida ….. ..

Tramonto discreto
Una vecchietta friulana, la ultranovantenne Lucia
Colautti, detta Luziùte, di Surisins di Sopra, com-
menta “se fossero stati cristiani nessuno li avrebbe
accolti”. L’anziano ultraottantenne parroco di Suri-
sins di Sotto pensa e non dice “e se fossero stati
musulmani come mi sarei comportato?”.
Questi pareri e pensieri, così lontani dai luoghi in
cui si fa la storia e così superati nel sentire comune
della nostra attuale società, non trovano ospitalità
neppure nel bollettino parrocchiale, ora solo on
line, di Surisins. Figurarsi nel clamore dei media e
nel sordido clangore dei social.
19
NATURA E BARBARIE
VALLE OSSI
ULTIMA SPIAGGIA
Di Michele Zanetti

Alla fine ci siamo arrivati: i lavori di urbanizzazio-
ne di Valle Ossi, la sacca di bonifica collocata sulla
sinistra di foce del Fiume Sacro (il Piave) in comu-
ne di Eraclea, sono cominciati.
La cosa mi rattrista profondamente, devo con-
fessarlo: non solo e non tanto perché ho un perso-
nale legame affettivo con quei luoghi, ma soprattut-
to perché il mega intervento che si sta realizzando
è una inutile, pretestuosa e inaccettabile profana-
zione.
E’ consumo di suolo puro, perpetrato in barba a
tutte le promesse politiche sbandierate ad ogni oc-
casione da chi governa la Regione Veneto (e non
è il solo caso, purtroppo); e se non bastasse, è una
gigantesca operazione economica vocata al falli-
mento e tale da lasciare in eredità ecomostri per i
secoli a venire.

Ma mi si consenta una breve “divagazione stori-
ca”. Il primo a parlarmi di un progetto di urbanizza-
zione di Valle Ossi fu Arduino Boer, un ragazzo
impegnato in politica e purtroppo scomparso pre-
maturamente, che lavorava come magazziniere
nella stessa fabbrica in cui lavoravo io, nel lontano
1977; come a dire ben 46 anni fa.
Si parlava, allora, di un paio di milioni di metri
cubi di edificato e la cosa suscitò da subito l’oppo-
sizione della neonata Associazione Naturalistica
Sandonatese, che si mobilitò con articoli sulla
stampa per scongiurare la realizzazione del pro-
getto.
Cosa che, sulle prime parve possibile, anche se
non avevamo fatto bene i conti, per inesperienza,
con l’Idra dalle sette teste rappresentata dal dena-
ro. Un mostro, il capitale finanziario, destinato a
risorgere dalle sue ceneri e a riproporre gli stessi
progetti magari a venti, trenta, quarant’anni di di-
stanza, per una ragione semplicissima: il denaro
deve produrre altro denaro e i ricchi speculatori
aspirano a diventare sempre più ricchi. Per non
parlare, ovviamente, della provenienza dei gigante-
schi capitali finanziari impiegati in siffatti progetti.
Provenienza su cui nessuno indagherà mai; ma
questo è un argomento che esula dalle nostre con-
siderazioni.

Noi vorremmo invece partire le nostre amare e
sconsolate considerazioni dalla terminologia con
cui il progetto viene illustrato nei comunicati stam-
pa. Termini come Open Air village, Game changer
dell’open air, Player nel turismo open air, Camping
in town, Business, vengono sbandierati come lin-
guaggio abituale e questo spiega la ragione per cui
molti braccianti di Eraclea siano azionisti del pro-
getto: loro, di inglese, ne capiscono assai più della
media.
Poi ci sono i numeri, che in estrema sintesi sono
i seguenti: 2.800 piazzole per camper e case mobi-
li; 14.000 visitatori al giorno ; 1,2 milioni di presen-
ze annue; 600 occupati tra diretti e indiretti e dun-
que “un’opportunità unica per il territorio”.
Numeri da fantascienza, per una sacca territoria-
le distante dalla foce del fiume e dalla spiaggia cir-
ca un chilometro, ragion per cui la nostra facile
profezia è che tutto questo, che questa improbabile
impresa, sia destinata al fallimento nel volgere di
un decennio. Come a dire, l’ennesima eredità sco-
moda e impattante che lasceremo in eredità ai no-
stri nipoti, nessuno dei quali, ovviamente, ricorderà
chi e perché ha voluto, sostenuto e promosso quel-
l’insediamento urbanistico. L’ennesima bufala oc-
cupazionale, agitata come specchietto per le allo-
dole in una fase in cui la richiesta di manodopera a
bassa qualificazione per i servizi alberghieri non
trova risposta.

Infine le considerazioni che riguardano l’impatto
e le controindicazioni ambientali e dunque quelle
che più ci riguardano.
Il tratto di spiaggia interessato al mega insedia-
mento è privo di arenile, eroso da decenni. Il tratto
di mare antistante è interessato ai reflui contenuti
nelle acque del Piave, che per quanto modesti,
potrebbero rendere le stesse acque non balneabili.
L’intero insediamento è interessato al rischio idrau-
lico conseguente alla sua collocazione presso la
foce di un fiume alpino. E infine, l’impatto antropico
sui fragili habitat di foce sarà fortissimo, se non
devastante, con una conseguente, forte erosione
della biodiversità.
Può bastare? Per noi basta e avanza, ma come
s’è detto, il capitale è un mostro pericoloso, contro
cui è difficile e talvolta rischioso combattere persi-
no in una “democrazia matura” come la nostra. An-
che perché nella nostra Democrazia matura la ma-
lavita fa un fatturato annuale che contende il pri-
mato al PIL nazionale.
A Valle Ossi, nella sua pineta e presso le dune
della sinistra di foce del Piave, vive ancora una
delle più numerose popolazioni di Ramarro
(Lacerta bilineata) dell’intero territorio. Possibile
che nessuno abbia pensato a loro?
Concludiamo allora con un appello che sicura-
mente verrà asoltato: Sua Eccellenza Signor Presi-
dente di regione, Sindaci, Assessori, Soprinten-
denti, Uscieri, Donne delle pulizie impegnate negli
uffici del potere, Fattorini che recapitate i pizzini da
un ufficio all’altro, quando decidete di consumare
territorio, pensate anche a loro; pensate anche ai
ramarri, per favore.
20
NATURA E BARBARIE
Dall’alto in basso e da sinistra
a destra.

La sacca di bonifica di Valle Ossi
dalla strada per Eraclea Mare.

Beccaccia di mare (Aematopus
ostralegus) su bricola.

Il versante nord della Pineta Gag-
gia e la campagna di Valle Ossi.

La strada bianca di accesso agli
edifici rurali di Valle Ossi.

Maschio di Ramarro (Lacerta bili-
neata).

Maschio di Raganella italica (Hyla
intermedia).
21
NATURA & VIAGGI
COSTA RICA
LA FABBRICA DELLE MERAVIGLIE
di Maurizio Peripolli*

Il Costa Rica è una terra che presenta forti con-
trasti climatici: sulla costa Pacifica ci sono forti ven-
ti e grandi onde, mentre ad est, ad appena 119 km
di distanza, troviamo il tranquillo litorale dei Carai-
bi. Al centro ci sono due catene montuose, caratte-
rizzate da vulcani attivi, una foresta pluviale (6.000
mm di pioggia l’anno) e una foresta nebulosa, con
alberi avvolti nella nebbia e coperti da muschi, fel-
ci, bromeliacee ed orchidee (1400 specie); il 30%
delle piante sono epifite. Il governo ha varato in-
centivi per incoraggiare la riforestazione, anche se
il 60% del paese è già ricoperto da foreste: i parchi
nazionali sono 27, più diverse riserve biologiche e
zone protette. E’ un paese molto attento alla tutela
ambientale: nel 2016 il Costa Rica ha prodotto il
98% della sua energia da fonti
rinnovabili
(idrauliche, eoliche e geotermiche).
Lasciata la capitale San Josè (1172 m. slm) ini-
ziamo il viaggio scendendo verso la costa del Mar
dei Caraibi, dove si trova la “Estacion Biologica La
Selva”. E’ una stazione di ricerca biologica dotata
di laboratori sperimentali, un erbario e una grande
biblioteca, nonché una struttura ricettiva per i ricer-
catori e i visitatori. La zona tutelata da “La Selva” è
una foresta pluviale umida di 1600 ettari di pianura
in buona parte incontaminata. La Selva ospita una
grande varietà di piante epifite ed epifille, molti a-
roidi rampicanti e più di 700 specie di alberi. Sono
molte le specie di mammiferi, tra cui i grandi preda-
tori come il puma ed il giaguaro. Sono presenti il
Bradipo bidattilo (Choloepus hoffmanni), ed il
Pecari dal collare (Tayassu tajacu). Sono segnala-
te più di 467 specie di uccelli, tra cui il Manachino
collo bianco (Manacus candei ), famoso per la dan-
za di corteggiamento, e l’Hocco maggiore (Crax
rubra) (foto 1). Tra i rettili è presente il velenosissi-
mo Crotalo cornuto delle palme (Bothriechis schle-
gelii) (foto 5), dal vivido colore giallo.
Ci spostiamo poi verso nord, al confine con il
Nicaragua, dove si trova il Rifugio nazionale di
Fauna Selvatica di Cagno Negro. E’ una grande
zona umida, dove il Rio Frio durante la stagione
delle piogge rompe gli argini e forma un immenso
lago di 800 ettari. Sono qui presenti il Caimano da-
gli occhiali (Caiman crocodilus), l’Iguana verde
(Iguana iguana) (foto 2) ed il basilisco striato
(Basiliscus vittatus); tra gli uccelli l’Aninga america-
na (Anhinga anhinga), la spatola rosata (Platalea
ajaja) e i tucani, tra cui il Tucano carenato
(Ramphastos sulfuratus). Tra i mammiferi vivono
qui 4 specie di scimmie, tra cui la Scimmia urlatrice
(Allouata palliata) (foto 3) e il Bradipo tridattilo
(Bradypus variegatus).

In alto. Alberi della foresta pluviale del Costa Rica po-
polati da epifite ed epifille.

Sopra. La foresta pluviale centroamericana ospita più di
700 specie di alberi.
22
NATURA & VIAGGI
Lasciato Cagno Negro ci dirigiamo verso la loca-
lità di Monteverde, sulle pendici della Cordillera di
Tilaran. Nel villaggio di Santa Elena visitiamo l’oasi
Cury-Cancha, dove possiamo ammirare e con
grande difficoltà ed impegno anche fotografare 2-3
specie di colibrì, tra cui Microchera cupreiceps, en-
demico del Costa Rica. La riserva è un vero para-
diso per il birdwatching, soprattutto per la presenza
del Quetzal splendente (Pharomachrus mocinno)
(foto 4), l’uccello sacro venerato da Maya e Atze-
chi. E’ possibile avvistarlo soprattutto nei mesi di
marzo e aprile, durante la stagione di nidificazione.
E’ uno degli uccelli più belli del mondo: grazie alla
nostra guida troviamo 5 esemplari, tra cui un ma-
schio adulto dalla coda lunghissima, che frequenta-
vano un grande albero di avocado endemico, Oco-
tea monteverdensis, della famiglia delle Lauraceae,
dei frutti del quale si nutrono.
La tappa successiva è stata la “Estacion biologi-
ca nel Bosque Eterno de los ninos”, così chiamato
perché salvaguardato con le offerte raccolte da un
folto gruppo di scolari svedesi su iniziativa di un’in-
segnante del loro paese. Per raggiungere la stazio-
ne biologica dobbiamo percorrere quasi 4 km a
piedi su di una stradina impraticabile per le auto a
causa della forte pendenza e del fondo sterrato
fangosissimo e scivoloso. Si parte da quota 1600
m. per arrivare a quota 1200 m. E’ una “rain fo-
rest”, con una superfice di 220 kmq, ed è la più
grande riserva privata del paese. A conferma del
suo nome, in questa foresta ha piovuto quasi sem-
pre: in una escursione notturna siamo riusciti a ve-
dere rettili e anfibi, tra cui la rara raganella dagli
occhi rossi (Agalychnis callidryas).
Da
sopra a
sotto e
da sx a
dx.

Foto 1

Foto 2

Fato 3

Fato 4

(Vedi
testo)
23
NATURA & VIAGGI
Ci trasferiamo poi a Porto Jimenez, nella costa
sud del paese, sul Pacifico, per visitare il Parco
Nazionale Corcovado. Il parco protegge 41.788
ettari di lagune, acquitrini, mangrovie, fiumi, foreste
umide e foreste nebulose di bassa altezza (foto
15). E’ il parco naturale più bello del paese. Occu-
pa il 40% della penisola di Osa, e protegge l’ultimo
tratto di foresta tropicale del Pacifico. Per entrare
nel parco non ci sono strade, solo sentieri. Pren-
diamo perciò una barca-motoscafo che in un’ora
ed un quarto ci porta all’entrata sud del parco. Du-
rante la navigazione possiamo ammirare a pochi
metri dalla barca le evoluzioni di un gruppo di delfi-
ni (tursiopi), le sule dai piedi blu (Sula nebouxii) e
le fregate (Fregata magnificens). Una volta sbarcati
dobbiamo camminare per 20 minuti sul sentiero in
mezzo alla foresta per raggiungere la struttura do-
ve soggiorneremo, “La Sirena Ranger Station”. Nei
due giorni successivi durante le escursioni guidate
possiamo osservare il raro Tapiro di Baird (Tapirus
bairdii) (foto 16), il Formichiere arboricolo tridattilo
(Tamandua mexicana) (foto 6), il Bradipo tridattilo
(Bradypus variegatus), il Coati (Nasua narica), l’Av-
voltoio reale (Sarcoramphus papa) e tantissime
altre specie di uccelli.
L’ultima escursione in barca ci riserva uno spet-
tacolo unico, i tursiopi che giocano saltando a po-
chissimi metri da noi, le are scarlatte (Ara macao)
(foto 7) che svolazzano nutrendosi tra gli alberi, e
le Spatole rosate (Platalea ajaja) posate tra le
mangrovie.
E’ stato un viaggio meraviglioso, in uno dei paesi
che presenta la maggiore biodiversità al mondo, e
che ha saputo fare della salvaguardia della natura
la propria principale risorsa economica.
Viaggio organizzato da WWF Travel
18 febbraio-04 marzo 2023

Foto di Maurizio e Gabriele Peripolli (*naturalisti)
A sinistra. La base di un tronco nella foresta pluviale.
Sopra, dall’alto in basso. Foto 5, foto6, foto 7.
LE NOSTRE ESCURSIONI
01/2023
DOMENICA 16/04/2023
“PEDEMONTANA PORDENONESE:
LA VALLE DEL TORRENTE
ARTUGNA E SAN TOME’”
Dardago di Budoia – (PN)
Proposta da Stefano Calò
Commento di: Roberto Rosiglioni e Michele Zanetti

Ore 8.00 Partenza da Piazza Rizzo, San Donà di Piave
Ore 9.30 Arrivo e parcheggio Ristorante Le Masiere
Ore 9.45 Inizio escursione
Ore 13.15 Pranzo al sacco lungo il percorso
Ore 14.30 Si prosegue l’escursione
Ore 16.30 Arrivo alle auto
Ore 17.00 circa partenza per il rientro a S. Donà
Quota minima 160 m, quota massima 449 m.
Dislivello complessivo circa 300 m.
Ore di cammino effettivo circa 5,5.
N.B. Si raccomandano calzature da montagna

Partecipanti: 60
Tempo: bello, variabile
24
Dall’alto in basso e da sinistra a destra. La comitiva in cammino. Fioritura di Pervinca (Vinca minor) nel sottobo-
sco. Aspetto primaverile del bosco di Carpino bianco (Carpinus betulus). Corvo imperiale (Corvus corax) in volo so-
pra la rupe di San Tomè. Giovane Carpino nero (Ostrya carpinifolia) sulla rupe. La canaletta del mulino.
25
PROGETTI DI RICERCA
PROGETTO LINCE ITALIA
(a cura di Progetto Lince Italia)
Progetto di conservazione della Lince eurasiati-
ca nelle Alpi sud-orientali (ULyCA2) – prime libera-
zioni
Al fine di prevenire l'estinzione della Lince eura-
siatica nei Monti Dinarici e nelle Alpi sudorientali, in
seno al progetto Europeo LIFE Lynx finora sono
state liberate 10 linci nell’area dinarica e altre 5
nelle Alpi Giulie slovene. Ora anche il progetto
“Ulyca2" – le cui azioni sono strettamente coordi-
nate con il progetto europeo, è pronto a liberare le
prime linci nelle Alpi Giulie italiane. I primi individui,
provenienti dalla Svizzera, sono arrivati a Tarvisio
nei primi giorni di marzo e sono a un passo dalla
liberazione.
Ad aprile verrà presentato il primo resoconto del-
le attività.
La stagione delle catture di lince per il progetto
ULyCA2 effettuate in Svizzera e Romania ha avuto
un grande successo: nelle ultime settimane di feb-
braio nel Giura svizzero sono state catturate due
femmine, mentre nei Carpazi in Romania un ma-
schio e una femmina. Il secondo maschio previsto
dal progetto è stato catturato in Croazia nell'ottobre
2022 e attualmente si trova in una stazione di qua-
rantena specializzata in Slovacchia.
Il sito di rilascio si trova in una valle selvaggia
della Foresta di Tarvisio, gestita dal Raggruppa-
mento Carabinieri Biodiversità, sul confine con la
Slovenia, circa 30 km a ovest del nucleo di linci
appena reintrodotto nelle Alpi slovene. In questo
modo si prevede che le linci slovene e italiane si
incontrino il prima possibile, dando vita a un nuovo
nucleo vitale in un’area che è biogeograficamente
di grande importanza come “stepping stone”, ovve-
ro, un passaggio naturale tra la popolazione dinari-
ca e quella svizzera nel nord-ovest delle Alpi.
La prima lince ad essere liberata è una giovane
femmina del cantone Giura, in Svizzera, nata nel
2020. La seconda proviene sempre dallo stesso
cantone ed è una femmina di sei anni. Entrambi gli
individui prima di essere trasportati in Italia sono
stati sottoposti a un rigoroso controllo veterinario
per analizzarne lo stato di salute e il profilo geneti-
co. I due esemplari sono stati liberati in questi gior-
ni dopo un periodo di acclimatazione: le due linci,
alle quali sono stati dati i nomi di Margy e Sofia ,
hanno potuto immergersi nella foresta del Tarvisio
al tramonto per poter beneficiare della tranquillità
della notte. Il benessere degli animali, infatti, ha la
massima priorità. Il rilascio è stato supervisionato
da agenti ed esperti dei Carabinieri Forestali, Cor-
po Forestale Regionale e Progetto Lince Italia. I
cacciatori, grazie alla buona conoscenza del terri-
torio, supporteranno attivamente il monitoraggio
effettuato da esperti del Progetto Lince Italia sin
dalle prime ore. Insieme agli esperti del WWF si
studierà una strategia di comunicazione, per ag-
giornare in maniera costante gli interessati.
Ulyca2 è un progetto dell’Arma dei Carabinieri,
coordinato dal Reparto Carabinieri Biodiversità di
Tarvisio e affidato per gli aspetti tecnico-scientifici
e logistici al Progetto Lince Italia dell’Università di
Torino. Importantissimo il sostegno ricevuto dal
WWF Italia, Germania, Svizzera e Austria, nonché
la collaborazione del “Gruppo di Lavoro Caccia e
Lince”, ovvero una cabina di regia delle associazio-
ni venatorie regionali.
Il successo dell’operazione e quindi il futuro del-
le linci sulle Alpi è una scommessa senza prece-
denti sulla capacità dei diversi attori e stakeholder
di collaborare in tutte le fasi e sostenere insieme
un piano d’azione concordato. Tutte le azioni mes-
se in campo in questa prima fase del progetto ver-
ranno presentate in un evento dedicato program-
mato per il mese di aprile.
È stato possibile realizzare questo progetto gra-
zie all'importante ed efficace cooperazione del
team dell’Ufficio Federale per l'Ambiente (BAFU) in
Svizzera, il Cantone Giura, il KORA, l’Istituto per la
Salute dei Pesci e della Fauna Selvatica dell'Uni-
versità di Berna e le due stazioni di quarantena
degli zoo di Goldau e Dählhölzli (entrambi in Sviz-
zera). In Romania sono stati fondamentali l’ufficio
Biodiversità del Ministero dell’Ambiente, delle Ac-
que e delle Foreste, Romsilva (Agenzia Statale per
la Gestione Forestale e Venatoria) e l’ACDB, una
organizzazione di esperti biologi attivi nel campo
della conservazione. Infine, in Croazia il Ministero
della Protezione Ambientale e Pianificazione Terri-
toriale nonché le Università di Zagabria e Karlovac.

Sitografia
https://www.facebook.com/100047632219502/posts/pfbi
d0Wx73icqdopbLmxkbaK7KKP5AFVhGY2LQDe7863fz
AoeYJrHQNf4nU9LfTGJtFRzYl/


26
PROGETTI DI RICERCA
La Lince europea (Lynx lynx).
LE FOTO DEI LETTORI
27
In alto a sinistra
Cesalpinia (Cesalpinia spinosa) in fiore su Robinia
(Robinia pseudoacacia).
Foto Corinna Marcolin.
In alto a destra
Cocomero asinino (Ecballium elaterium).
Foto Cristina Stella.
Sotto
Il mare di Capri dalla Costiera.
Foto Francesca Cenerelli.
Comunicato ai Soci

Carissimi Soci,
Piove.
Piove e nevica finalmente; piove eccessiva-
mente, piove incessantemente.
Dicono i Veneti “non te va mai ben gnent”,
che significa “non sei mai contento” e in effetti,
per come vanno le cose, non c’è da essere
precisamente entusiasti. Le stagioni si sono
capovolte: l’inverno è stata una primavera step-
pica e la primavera è un autunno meteo, freddo
e umido.
Comunque sia la vita è sbocciata in giardino
e le fioriture si susseguono con lo stesso entu-
siasmo di sempre, salvo alcune piante che, a-
vendo risentito dell’inverno anomalo, neppure
fioriscono.
Per il resto, a livello nazionale, tutto va come
prima: si producono e si esportano armi a tutto
spiano, si sequestra qualche tonnellata di co-
caina di tanto in tanto, ci si accapiglia per qual-
che poltrona da cui esercitare il potere, si pole-
mizza ….. .. e via cantando (ancora un’espres-
sione veneta).
A livello regionale, invece, se possibile va
anche peggio. Qui si parla di raddoppio dell’Ae-
roporto Marco Polo, dei lavori del nuovo inse-
diamento turistico di Valle Ossi, dello stadio di
Venezia da costruire a Tessera sotto falso no-
me (Bosco dello Sport): il tutto nell’ottica di uno
“zero consumo di suolo”, cui ormai credono so-
lo i babbei (sempre tanti questi ultimi).
Quanto a noi, ci siamo. Ci muoviamo, orga-
nizziamo cose, presentiamo libri, facciamo
qualche denuncia e qualche timida ricerca, an-
che se l’entusiasmo (e le energie) dei tempi mi-
gliori sembra decrescere inesorabilmente.
A volte chi scrive pensa che forse si poteva
fare di più; ma poi realizza anche che, per farlo,
avrebbe dovuto fare il “prete rivoluzionario”, di
quelli con la croce e il mitra. Ma sono solo pen-
sieri senili in libertà.
Un caro saluto a tutti e grazie di esserci.
Un abbraccio (non virtuale!)
Michele Zanetti
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zione Naturalistica Sandonatese possono collabo-
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Socio Giovane: euro 5
Socio familiare euro 5
Socio sostenitore: euro 30
Modalità di iscrizione all’ANS
28

IMMAGINI DI STAGIONE
Sopra. Il bosco prealpino di versante ad aprile (Dardago, Budoia, PN).
Sotto. Cedronella (Gonepteryx rhamni) in alimentazione (Dardago, Budoia, PN).