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Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza
Roberto Cingolani ce l’ha fatta. Lo scienziato prestato alla politica (che frequenta da una ventina di anni) ha
centrato una delle nomine più incredibili di sempre: l’approdo come amministratore delegato in Leonardo
senza nessuna esperienza manageriale di livello. Per l’ex Finmeccanica potrebbe essere una condanna a
morte, ma i timori del mondo della Difesa non hanno scalfito le certezze di Giorgia Meloni. La premier lo ha
scelto e difeso fino all’ultimo. Raccontano che a sponsorizzarlo è stato l’Ad di Eni, Claudio Descalzi, che lo ha
teleguidato al ministero della Transizione ecologica ai tempi di Mario Draghi, e che proprio l’ex presidente
della Bce gli abbia offerto la copertura internazionale che gli mancava.
Nella parabola di Cingolani c’è tutto quel che serve per comprendere la classe dirigente e il declino
industriale del Paese. Fisico all’Università del Salento, inizia l’ascesa nel 2004 quando gli viene affidato
l’Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova, che dirige per 14 anni. L’Iit fu voluto dall’ex ministro Giulio
Tremonti nel 2003 per creare un modello di ricerca alternativo all’università pubblica: fondi statali, ma
gestione privatistica. Cingolani ha potuto gestire, a volte con l’accusa di scarsa trasparenza, la corposa dote
di 100 milioni l’anno assegnata per legge all’Iit. Mentre la ricerca pubblica languiva, all’Iit è arrivato 1
miliardo in 10 anni, la metà è rimasta in cassa. Solo nel 2017, dopo le proteste della senatrice a vita Elena
Cattaneo, 250 milioni sono stati dirottati alla ricerca di base. Negli anni all’Iit, Cingolani firma 60 articoli
scientifici l’anno, troppi anche per un ricercato a tempo pieno. Nel 2016 Renzi vuole lanciarlo allo Human
Technopole, fotocopia dell’Iit voluta sulle ceneri dell’Expo. La rivolta del mondo scientifico pubblico gli
sbarra la strada ma viene ricompensato con un posto proprio in Leonardo come Chief innovation &
technology officer (stipendio da 600 mila euro e dispari). Nel 2021 il salto di classe nel governo Draghi
(mantenendo l’aspettativa da Leonardo), indicato da Beppe Grillo (ma caro pure a Matteo Renzi). Il neonato
dicastero fa molto poco per guidare la transizione ecologica, l’addio alle forniture russe viene appaltato
all’Eni mentre lo scienziato-ministro passa molto tempo bombardare gli “ambientalisti oltranzisti” e a
promuovere il nucleare.
L’approdo in Leonardo di un manager a digiuno del settore non è una novità, è già successo nel 2017 con
l’ex Unicredit Alessandro Profumo e nel 2014 con l’ex Ferrovie Mauro Moretti. Cingolani però non ha mai
guidato aziende. Il “fuoripostismo” è già costato caro all’ex Finmeccanica. Nel 2010 fatturava 19 miliardi e
aveva ordini per 22, oggi ha ricavi per 14,7 e ordini per 17. La redditività è inferiore ai rivali: il gruppo è forte
negli elicotteri, discreto nell’elettronica e nei velivoli da combattimento, mentre le aerostrutture continuano
a bruciare cassa e le attività sono divise in troppi settori. Si dovranno prendere decisioni forti: cosa c’entri
Cingolani con questo, lo sanno solo Meloni e compagnia.
centrato una delle nomine più incredibili di sempre: l’approdo come amministratore delegato in Leonardo
senza nessuna esperienza manageriale di livello. Per l’ex Finmeccanica potrebbe essere una condanna a
morte, ma i timori del mondo della Difesa non hanno scalfito le certezze di Giorgia Meloni. La premier lo ha
scelto e difeso fino all’ultimo. Raccontano che a sponsorizzarlo è stato l’Ad di Eni, Claudio Descalzi, che lo ha
teleguidato al ministero della Transizione ecologica ai tempi di Mario Draghi, e che proprio l’ex presidente
della Bce gli abbia offerto la copertura internazionale che gli mancava.
Nella parabola di Cingolani c’è tutto quel che serve per comprendere la classe dirigente e il declino
industriale del Paese. Fisico all’Università del Salento, inizia l’ascesa nel 2004 quando gli viene affidato
l’Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Genova, che dirige per 14 anni. L’Iit fu voluto dall’ex ministro Giulio
Tremonti nel 2003 per creare un modello di ricerca alternativo all’università pubblica: fondi statali, ma
gestione privatistica. Cingolani ha potuto gestire, a volte con l’accusa di scarsa trasparenza, la corposa dote
di 100 milioni l’anno assegnata per legge all’Iit. Mentre la ricerca pubblica languiva, all’Iit è arrivato 1
miliardo in 10 anni, la metà è rimasta in cassa. Solo nel 2017, dopo le proteste della senatrice a vita Elena
Cattaneo, 250 milioni sono stati dirottati alla ricerca di base. Negli anni all’Iit, Cingolani firma 60 articoli
scientifici l’anno, troppi anche per un ricercato a tempo pieno. Nel 2016 Renzi vuole lanciarlo allo Human
Technopole, fotocopia dell’Iit voluta sulle ceneri dell’Expo. La rivolta del mondo scientifico pubblico gli
sbarra la strada ma viene ricompensato con un posto proprio in Leonardo come Chief innovation &
technology officer (stipendio da 600 mila euro e dispari). Nel 2021 il salto di classe nel governo Draghi
(mantenendo l’aspettativa da Leonardo), indicato da Beppe Grillo (ma caro pure a Matteo Renzi). Il neonato
dicastero fa molto poco per guidare la transizione ecologica, l’addio alle forniture russe viene appaltato
all’Eni mentre lo scienziato-ministro passa molto tempo bombardare gli “ambientalisti oltranzisti” e a
promuovere il nucleare.
L’approdo in Leonardo di un manager a digiuno del settore non è una novità, è già successo nel 2017 con
l’ex Unicredit Alessandro Profumo e nel 2014 con l’ex Ferrovie Mauro Moretti. Cingolani però non ha mai
guidato aziende. Il “fuoripostismo” è già costato caro all’ex Finmeccanica. Nel 2010 fatturava 19 miliardi e
aveva ordini per 22, oggi ha ricavi per 14,7 e ordini per 17. La redditività è inferiore ai rivali: il gruppo è forte
negli elicotteri, discreto nell’elettronica e nei velivoli da combattimento, mentre le aerostrutture continuano
a bruciare cassa e le attività sono divise in troppi settori. Si dovranno prendere decisioni forti: cosa c’entri
Cingolani con questo, lo sanno solo Meloni e compagnia.