About Rete Ambientalista Al
Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza
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EPILOGO
In vita, sarebbe finito cos lo scontro con Luigi Mara? Sono convinto che, al termine di una
discussione inevitabilmente infuocata, Luigi avrebbe fatto di tutto per scongiurare la scissione.
Come io, in coscienza, ho tentato. Luigi possedeva intelligenza, carisma e autorit. Soprattutto
possedeva mezzo secolo di storia di lotte, di Movimento di lotta. Era un gigante, in mezzo a
tutti questi nanerottoli. Il pi alto dei quali fa il presidente di Medicina democratica, n uomo
di scienza n di lotta, perito industriale che si fa chiamare dottore, furbo abbastanza da gestire
pro domo sua la storica etichetta e il pingue bilancio. Una attivit di scrivania, al riparo dai
nostri rischi del passato, ma anche del presente: meglio mandare avvocati nei tribunali che
affacciarsi alle reti di Chiomonte in Val Susa (dove da sempre l'unico striscione che si visto
quello della Sezione di Alessandria).
Meglio, al suo fianco, fare il vice a Napoli senza mai disturbare per la Terra dei fuochi, o fare il
vice in Toscana senza mai rischiare una querela da Solvay, o fare il vertenziere gironzolando
per la penisola, o fare l'utile tesoriere, o fare l'esemplare avvocato. Per tutti, come corollario,
qualche conferenza e pubblicazione non guasta, a inorgoglire il gregge che si nomina consiglio
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direttivo dell'ex "Movimento di lotta per la salute". E che invece dovrebbe rileggersi,
probabilmente leggere per la prima volta, la relazione del partigiano Giulio Alfredo Maccacaro
al convegno costitutivo del maggio 1976 (in appendice), e, gi che c', lo Statuto, met del
quale dedicata alle Sezioni-.
Appendice
RELAZIONE DI GIULIO ALFREDO MACCACARO AL CONVEGNO COSTITUTIVO DI
MEDICINA DEMOCRATICA
BOLOGNA 15-16 MAGGIO 1976
In nessuna delle altre occasioni - accademiche, scientifiche o politiche - in cui ebbi il compito di
svolgere una relazione introduttiva, ho sentito su di me pesare tanta responsabilita' e dentro di
me vibrare tanta emozione.
Perche' siamo convenuti qui affinche' qualcosa che supera ogni nostra persona nasca, viva e
cresca: qualcosa che abbiamo sentito prima esprimersi come speranza progettuale e poi urgere
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come volonta' perentoria da un sempre piu' largo, diffuso, articolato, motivato comando di base:
la costituzione di "Medicina Democratica, movimento di lotta per la salute". E poiche' ogni
comando di base, quando spontaneo e autentico come questo, non e' oblazione ai vertici ma
volonta' di partecipazione, noi siamo qui per obbedirgli con tutta la lealta', la dedizione e lo
spirito unitario di cui siamo capaci.
Siamo qui noi ma non per noi, compagni ma per altri compagni, tanti ma per i ben piu' tanti che
attendono da Medicina Democratica non solo un messaggio responsabile ma anche un'azione
efficace per la salute e la integrita' di chi e' oggetto di sfruttamento, emarginazione e
repressione, onde questi ne emerga con tutto il suo diritto e la sua capacita' di porsi quale
soggetto politico primario.
Infine, siamo qui anche per gli altri - per gli amici che ci osservano e ci interrogano, per i nemici
che ci temono ma non ci sfidano - ed a tutti e con tutti vogliamo fare chiarezza.
Vogliamo dire, anzitutto, "perche' ora" e "perche' cosi'" si apre il convegno costitutivo di
Medicina Democratica. Questa e' un'ora di crisi profonda del nostro paese: crisi economica,
politica ed istituzionale. Una crisi che non ci e' affatto oscura nelle sue cause e ci e' ben chiara
nei suoi effetti.
Per quanto riguarda le cause essa nasce da:
1) la dipendenza diretta e indiretta dal comando imperialista che - attraverso il sistema delle
multinazionali il cui potere non riconosce piu' ne' i confini politico-geografici ne' quelli di regime -
aspira dai paesi subalterni capitali e profitti esportandovi continuamente le sue contraddizioni, le
sue crisi e costringendoli a pagare il costo umano, ambientale ed economico del suo
sfruttamento di rapina: fin dove e fin quando il rischio politico non supera il prelievo effettuato.
Oltre questo limite abbiamo conosciuto altrove e abbiamo sentito incombere su di noi le
soluzioni piu' violente. Oggi sentiamo che altre ci minacciano: ma non tutti hanno chiaro che il
golpe tecnocratico verso il quale qualcuno vorrebbe avviare l'Italia e' diverso da quello militare
soltanto per l'uso della divisa;
2) la inadeguatezza storica del capitalismo italiano che, incapace di sviluppare persino il
modello d'impresa e il sistema di investimento gia' praticati da altre societa' e in altre economie
del secolo scorso, si e' trattenuto ancora in questo dopoguerra alla pigra avidita' della rendita
parassitaria, scaricando nel finanziamento di Stato tutta la sua avidita' di profitto e speculando
non sulle sue capacita' imprenditoriali ma su un selvaggio prelievo di plusvalore dalla forza-
lavoro;
3) l'indegnita' criminosa della dirigenza democristiana e satellite che, dietro lo schermo
scientemente artefatto e mistificante dell'interclassismo, non ha saputo per sei lustri esprimere
alcun esercizio di governo ma solo gestione di un potere delegato dai gruppi del piu' arrogante
e ottuso privilegio: di classe, di casta e di arma, di corpi separati e di corruttori riuniti, contro i
lavoratori e le loro organizzazioni. Questo per le cause.
Per quanto riguarda gli effetti, la stessa crisi:
1) produce un deterioramente delle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia e delle
masse popolari, attraverso la perdita di potere d'acquisto dei salari, la precarieta'
dell'occupazione, la insufficienza della casa, l'impoverimento della vita;
2) determina un obiettivo decadimento di salute attraverso la intensificazione dello sfruttamento,
la diffusione del lavoro nero, il conseguente incremento della nocivita', il deterioramento delle
strutture socio-sanitarie;
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3) rinvia (ancorche' pretestuosamente, se si pone mente alla volonta' negativa manifestatasi in
congiunture di altro segno) ogni ipotesi credibile di riforma dell'assetto sanitario del paese che
sia intesa al benessere della collettivita' e non, come avviene, alla speculazione, statalmente
partecipata o mutualisticamente mediata, del capitale finanziario, industriale e farmaceutico.
Se queste note sono del tutto inadeguate per un discorso, anzi non sono intese come un
discorso sulla crisi che stiamo vivendo, pero' bastano a riaffermare che questa crisi non e'
affatto (come nessuna e' mai) complessiva, interclassista, accomunante, egualitaria: non e'
affatto una catastrofe che si abbatte quale un'oscura calamita' naturale su un intero paese:
questo o altri che sia. Ma e' un'ulteriore aggressione di cui sono identificabili i mandanti e gli
esecutori, i destinatari e le vittime: e' l'aggressione piu' dura sferrata dal padronato nazionale e
internazionale contro la classe lavoratrice italiana, come quella piu' politicamente maturata e
organizzata, creativa e combattiva, nel sistema di controllo e di egemonia dell'imperialismo
capitalista.
Questa aggressione, anche se ha forme piu' manifeste di incidenza politica ed economica, per
cio' stesso va oltre e colpisce pesantemente, come ho appena accennato, in tutto cio' che e'
"salute" individuale e collettiva aggravando le minacce, moltiplicando le offese, disarmando le
difese.
Questo ho detto come breve premessa per sottolineare che la nascita "ora" di "Medicina
Democratica" non e' casuale ne' coincidentale, ma sembra a noi dettata da una precisa
tempestivita' in rapporto e alla gravita' della situazione gia' presente e all'importanza della
consultazione gia' imminente.
Ma questa affermazione, che credo condivisa da tutti i compagni, resterebbe una premessa
incompiuta ove non fosse subito detto e chiarito che Medicina Democratica sarebbe nata ora ed
ormai anche se questa crisi non fosse stata; anche se questa congiuntura non si fosse data.
La gestazione del nostro movimento e' piu' lunga e complessa, se ne possono rintracciare
antecedenti e premesse su un arco di tempo assai lungo; ma certamente non e' scorretto
ritenere decisive e significative le lotte studentesche e operaie degli ultimi anni Sessanta e dei
successivi.
Da allora sono venuti maturando e affrontandosi due processi di enorme portata e di opposto
segno: la medicalizzazione della politica e la politicizzazione della medicina: la prima come
scelta della classe del capitale, la seconda come scelta della classe del lavoro.
Ne parleremo ancora quando il movimento vorra' veramente approfondire l'analisi di questi
processi e il senso di questi termini, ormai entrati e discussi nel dibattito internazionale.
Ne parlammo gia' in quel memorabile convegno sulla salute che si svolse a Firenze nel 1973 e
le individuammo allora come linee di uno scontro entro il quale ognuno avrebbe dovuto fare
presto la sua scelta. Cosicche' ora sarebbe abbastanza semplice dire che, nella chiarezza e
nella crudezza di quello scontro, "Medicina Democratica" e' la nostra scelta, e che perche'
questa scelta si compisse e diventasse premessa di un movimento nel movimento era naturale
giungere alla costituzione di Medicina Democratica.
Sarebbe semplice ma sarebbe insufficiente. Dobbiamo sviluppare qualche riflessione ulteriore
che ci permetta di individuare - e naturalmente discutere - una linea chiara e ferma che
attraversi i principali problemi in cui si articola la lotta per la salute e quindi l'impegno di
Medicina Democratica: una linea che di volta in volta, di problema in problema, misuri la
coerenza delle nostre scelte, confermi la solidarieta' del nostro impegno, individui la chiarezza
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dei nostri obiettivi (quella chiarezza che sola puo' far giustizia di ogni residuo settarismo e di
qualsiasi sopraggiungente parrocchialita').
Dobbiamo anzitutto riflettere sul concetto di salute per dire subito che non hanno qui molto
rilievo, perche' ci sono semplicemente ovvie, le definizioni di salute individuale, ancorche'
autorevolmente formulate come quella dell'Organizzazione mondiale della sanita'.
Naturalmente - ma anche questo e' ovvio - ognuno di noi e' impegnato, come operatore
sanitario o come compagno di milizia o come membro della collettivita', al soccorso piu'
efficace, alla dedizione piu' generosa per la liberazione dell'altro dalla sofferenza comunque
vissuta, per la promozione del suo benessere psichico e fisico comunque personalizzato. Ma il
nostro pensiero e la nostra azione si impegnano ben oltre: su quella salute che va privilegiata
nella sua dimensione collettiva e cui occorrono, quindi, una dottrina e una pratica politica.
Si tratta, cioe', di affermare oggi - come non fu mai in passato - la centralita' della lotta per la
salute nello scontro di classe. E l'esattezza di questa affermazione - assolutamente
generalizzabile ad ogni ambito sociale - appare con lampante evidenza nella realta' della
fabbrica riverberando da questa su tutto il territorio. La fabbrica infatti e' non solo il luogo dove si
realizzano insieme ed in massimo grado la concentrazione della nocivita' e la spoliazione di
salute - quale estremo e preciso portato di una scienza lungamente votatasi, nel comando
borghese, alla organizzazione detta, appunto, "scientifica" del lavoro - ma e' ancora il luogo
dove il movimento operaio ha chiarito a se' e agli altri che la lotta collettiva per la salute
collettiva investe tutto il modo di produzione e lo contesta proprio in cio' di cui e' piu' geloso: la
sua falsa - o deviata - razionalita'.
Quella razionalita' asservita quanto piu' si dichiara oggettiva, che ne alimenta e vorrebbe
legittimarne la pretesa a porsi come modello per la gestione della societa' in tutte le sue
articolazioni: dalla struttura urbana all'organizzazione dei servizi, dalla scansione dei tempi al
dettato dei consumi, dalla scuola e per ogni altro dove sociale fino alla sanita': recuperando,
infine, da questa sanita' modi e strumenti per dare una risposta preformata e normalizzante,
quindi contenitiva ed infine repressiva, ad una domanda che nasce da un malessere classificato
come patologico ma autenticamente esistenziale (sociale).
E' il controllo sociale che cerca di rinchiudere un problema di relazione, cioe' strutturale, nella
malattia dell'individuo, cioe' accidentale, per separare il lavoratore dalla sua classe e la classe
dalla sua coscienza.
A questa luce che ci viene di la', dalla fabbrica, dove e' piu' chiaro e piu' duro il confronto tra
capitale e lavoro, dove il movimento operaio ha combattuto per la sua e per l'altrui liberazione -
come sentiremo tra poco nel discorso di reali avanguardie - la salute collettiva va intesa per
quello che e' e che conta: valore totalizzante di altri valori, assunzione in una lotta di altre lotte,
affermazione nella pratica di una corretta priorita' politica. La salute collettiva non e', quindi,
soltanto la somma di benesseri individuali ne' di individuali riscatti dalla malattia, proprio perche'
identifica nel privato del benessere e nel malessere del sociale i disvalori che la contraddicono.
Su questo primo punto - sulla salute collettiva come condizione e sostanza di quella individuale
- Medicina Democratica non lascia spazio ad equivoci teorici e ne deriva precise indicazioni
pratiche. Se in una occasione ulteriore la nostra analisi avra' ulteriore ampiezza ed
approfondimento, gia' ora ci e' dato, per coerenza alla premessa, dichiarare il nostro impegno,
globalmente politico e specificamente sanitario, contro:
1) la ristrutturazione e le nuove forme di organizzazione capitalistica del lavoro e della societa',
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2) la campagna sull'assenteismo che tende ad occultare la rapina di salute collettiva
continuamente perpetrata sulla classe del lavoro,
3) la teorizzazione delle "compatibilita'" che cerca di riproporre e recuperare la subordinazione
di tale salute alle esigenze del profitto,
4) la consegna al capitale pubblico, privato e misto della progettazione, organizzazione e
gestione dei presidi sanitari;
e il nostro impegno per:
a) il ritiro ad ogni livello della delega sanitaria,
b) l"autogestione di base della tutela della salute,
c) la lotta ad ogni tipo di emarginazione,
d) la nascita e lo sviluppo di forme di governo popolare e di democrazia diretta con particolare
riguardo allo specifico socio-sanitario.
Queste indicazioni, che saranno riprese e documentate negli interventi previsti e in quelli attesi,
gia' ci portano a considerare altri punti oltre il primo e subito un secondo: quello della
partecipazione che e' il fattor comune degli impegni ora detti. Conviene dedicargli qualche
attenzione perche' la nostra linea si chiarisca oltre e a fronte dell'uso e dell'abuso che l'esercizio
dei poteri ne ha fatto in questi anni, mistificando per partecipazione cio' che partecipazione non
era.
Ancora una volta vorrei fare riferimento alle lotte e alle conquiste del movimento operaio ma vi
rinuncio serenamente perche' altri compagni ne diranno: diranno come un nuovo modo di
intendere la partecipazione nasca proprio da cio' che io mi limito a ricordare e mi trattengo
dall'illustrare: la liberazione della soggettivita', l'emergenza del gruppo omogeneo, la sua
assunzione di funzioni politiche, sanitarie e scientifiche.
Voglio soltanto sottolineare come, dal gia' detto primato della salute collettiva, discenda che se
una sociologia medica d'altro tempo ha definito la malattia come perdita di partecipazione, oggi
siamo arrivati ad intendere la perdita di partecipazione come sostanza di malattia. Pero' noi
crediamo che alla partecipazione autentica non basti mai l'articolato di una legge ma occorra
sempre l'impegno di una lotta: che si sviluppa continuamente nell'identificazione dei suoi
obiettivi, che si accresce progressivamente nell'allargamento del suo campo, che non riconosce
limiti a questo campo ne' ammette che esista l'ultimo di quegli obiettivi. Questo non e' un
discorso estremista nel senso deteriore dell'insinuazione che di solito accompagna tale termine,
ma e' anche un discorso meditatamente estremista se e' vero come credo che in medicina e per
Medicina Democratica l'unico e sacrosanto estremismo e' la salute collettiva e che questa non
puo' darsi senza partecipazione. Allora vogliamo definire questa partecipazione - sempre con
riferimento preciso alla tematica di questo convegno e di questo movimento - sia in positivo sia
in negativo secondo l'insegnamento del piu' grande rivoluzionario: "Quali sono i nostri nemici e
quali sono i nostri amici? Questa e' una questione di primaria importanza per ogni rivoluzione".
I nemici della partecipazione sono almeno tre: l'autorita', l'efficienza e la provvidenzialita'.
Nell'ambito del nostro impegno a definirci come Medicina Democratica l'autorita' cui opponiamo
la partecipazione e' identificata come quella che - indossati i panni della competenza,
separatasi nella tecnica, costituitasi come corporazione, legittimatasi come ordine - si pone di
fatto quale esecutrice dei comandi di un potere che la sovrasta e che, pagatala con ruoli e
privilegi, ne fa lo strumento piu' insidioso ed efficace del controllo sociale nelle forme della
medicalizzazione. Per tutto cio' essa pretende: il diritto di un sapere separato, la consegna di un
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uomo oggettivato, l'esercizio di un insindacabile potere. Questo e' un nemico della
partecipazione.
Un altro nemico e' l'efficienza che in un sistema dato e' sempre una domanda del potere
costituito. Essa si avvale della voluta e perpetrata confusione con l'efficacia. Cui corrisponde
un'altra consapevole e consumata confusione tra funzione e funzionamento. La funzione di ogni
sistema e' definita dai suoi fini, il funzionamento dai suoi modi.
Noi vogliamo che la funzione dell'istituzione sanitaria sia rivolta interamente alla promozione e
alla difesa della salute collettiva, come la abbiamo gia' definita, e che il suo funzionamento sia
giudicato soltanto a misura della capacita' di adempimento di tale funzione.
L'istituzione sanitaria e', invece, ordinata all'ottimizzazione di se stessa, del suo vantaggio
economico, delle sue autorita' di comando, del suo plesso di potere. Pertanto nell'occultamento
di una profonda divergenza della sua funzione dai fini sociali cui dovrebbe rendere e misurare il
suo servizio, riconosce ogni primato al funzionamento e converte la totale perdita di efficacia in
una ulteriore domanda di efficienza. Non e' questa la sede per esempi che sono innumeri e noti:
avremo presto un'altra occasione in cui discuteremo a lungo - nel riscontro reale, nel dettaglio
specifico, struttura per struttura, servizio per servizio - questo problema dei rapporti, in
medicina, tra funzionamento e funzione, tra efficienza ed efficacia.
Qui ci basta riconoscere e ricordare che e' in nome dell'efficienza del funzionamento per una
mentita efficacia della funzione che la partecipazione popolare e' sempre stata
sistematicamente esclusa - come e' esclusa la madre del bambino ricoverato, come e' esclusa
la consapevolezza del paziente abusato, come e' esclusa la realta' della sofferenza sociale -
dalla gestione della cosa sanitaria, dalla possibilita' di intervenire per indicarle fini nuovi, ulteriori
impegni, piu' vere destinazioni.
Il terzo nemico della partecipazione e' la provvidenzialita'. E qui il nostro discorso si sposta dal
luogo sanitario al governo sanitario, rivolgendosi francamente anche a chi ne porta
responsabilita' locali in un quadro politico alternativo a quello nazionale.
C'e' un modo che non vogliamo nemmeno discutere di intendere tale responsabilita': come
occasione di potere, tessitura di clientele, pretesto di corruzioni: e' il modo "democristiano" per
antonomasia.
Ma c'e' un altro modo che e' pure antipartecipatorio. E' di chi - ente o persona, ma piu' spesso il
primo che la seconda - si ritiene investito del compito e titolare della capacita' di anticipare la
domanda sociale di salute, di presentirla prima che sia espressa, di immaginarla prima che sia
concepita, infine di provvedere ad essa prima che si sia consapevolizzata.
Con un termine corrente cio' si chiama anche "paternalismo" ma ritengo piu' corretto definirlo
"provvidenzialita'". Perche' cosi' mi pare meglio indicato quel modo di mettersi in rapporto con la
realta' che prescinde dal suo ascolto; quell'attitudine a disporre risposte preformate che
prescindono dalla formazione delle domande; quell'interpretazione del mandato amministrativo
che infine determina una richiesta cui si consente soltanto di conformarsi all'offerta.
Medicina Democratica e' contro tutto cio' - l'autorita' ma non soltanto perche' e' inautorevole,
l'efficienza ma non soltanto perche' e' inefficace, la provvidenzialita' ma non soltanto perche' e'
improvvida - e' contro tutto cio' perche' tutto cio' e' contro la partecipazione e Medicina
Democratica e' un movimento partecipatorio di base non solo perche' da questa base e' nata
ma perche' vuole continuare a restarci: per raccogliere, assecondare, collegare, moltiplicare,
potenziare onde siano infine vincenti, tutte quelle lotte che, in specifici diversi - dalla fabbrica al
territorio, dalla scuola all'ospedale, dal quartiere all'istituzione, dalla casa alla caserma - la
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soggettivita' di base viene conducendo per la salute, anche individuale, ma assunta in quella
collettiva.
Si pone cosi', naturalmente, il terzo punto sul quale occorre sviluppare qualche riflessione ed e'
quello della soggettivita' per una definizione, ora in positivo, della partecipazione. Ancora una
volta e' dall'esperienza e dalla lotta di fabbrica che e' emersa la soggettivita' del lavoratore
rivendicata ed affermata contro la volonta' oggettivante del capitale.
Ma ancora una volta dalla fabbrica le conquiste del movimento operaio incidono su tutto
l'ambito sociale e ne reinterpretano e riqualificano la realta'.
La soggettivita' di cui parliamo e' una anche se, nell'uso ormai corrente all'interno della tematica
che ci e' comune, le vengono attribuiti due significati complementari: uno e' in alternativa alla
definizione - cosiddetta obiettiva - della salute e della malattia, del benessere e del disagio,
della nocivita' e del danno. Costituisce, quindi, la base di quel ritiro della delega lungamente
rilasciata al "tecnico" quale verificatore e falsificatore di una sofferenza soggettivamente patita e
dunque reale ma che poteva essere negata, in conto della pretesa "obiettivita'" di una scienza
che non e' retorico chiamare padronale.
Da questa rivendicata soggettivita' e' nata la identificazione di un quarto gruppo di fattori di
nocivita', e' nata una ridefinizione del benessere-malessere non piu' come conformita'-difformita'
a modelli espressi ed imposti dalla logica della produzione per il profitto, ma come vissuto
individuale e di gruppo del rapporto con le condizioni di lavoro e di vita.
L'altro significato di "soggettivita'", che si integra al primo, e', oltre i limiti di cio' che puo' pur
sempre essere ricondotto a una lettura medica, l'affermazione di se' non solo come soggetto di
salute ma come soggetto di sanita' capace di appropriazione e di autogestione della medesima.
E' su questa seconda soggettivita' che vorrei insistere ancora un poco per dire che essa
riconosce, abilita ed esprime - nel suo crescere nell'esperienza senza la quale non si ha
partecipazione e nel suo evolvere a volonta' collettiva senza la quale non si ha la
trasformazione - una pluralita' di soggetti, che vanno dal singolo al gruppo, dal gruppo al
collettivo, dal collettivo alla classe, ma per ciascuno dei quali e' acquisito il diritto di porsi,
all'interno dell'atto medico, dell'istituzione sanitaria, dell'organizzazione assistenziale, in un
rapporto finalmente dialettico con tutto cio' che - strutture e persone - lo avevano sin allora
considerato l'oggetto di un rapporto analitico.
Questa e' la straordinaria e nuova ricchezza che in questi anni e' venuta crescendo in quella
base da cui ora si esprime Medicina Democratica.
E questo e' stato il mio tentativo di contribuire al vostro dibattito costruendo, pezzo a pezzo,
quella che io credo sia la linea che connota il nostro movimento - che lo fara' capace di
attraversare in chiarezza e coerenza la molteplicita' quasi innumere dei problemi che lo
confrontano e che ora vorrei cosi' formulare: il primato politico della salute collettiva come
momento centrale della lotta di classe fondata su una reale partecipazione capace di accogliere
nella loro genuina espressione e assumere a livello di integrazione ulteriore le molteplici
soggettivita' della base sociale.
Se questa linea e' corretta (ma vostro ne e' il giudizio) essa deve essere capace di dare corrette
e chiare indicazioni pratiche, cos come deve essere capace di sollecitare analisi ed
approfondimenti ulteriori.
A questi secondi io credo che noi vogliamo impegnarci in vario modo e con vari mezzi:
costituiremo gruppi di studio per problemi specifici, prepareremo nelle sedi piu' appropriate
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dibattiti e confronti, andremo entro l'anno a un congresso ordinato sui temi e sulle tesi che
saranno stati oggetto di studio e discussione adeguati, secondo le indicazioni del movimento.
Questo convegno di oggi, del quale ho cercato di dire "perche' ora" e del quale mi si e'
incaricato di dire "perche' cosi'", nasce, dunque, come convegno di fondazione e di
presentazione. Nasce, dicevo all'inizio, da una volonta' anzi da una urgenza di incontro e di
collegamento chiaramente formulata dalla base.
E' allora parso giusto che fosse dedicato alla piu' libera e articolata espressione di questa base,
compatibilmente con le costrizioni imposte dal tempo ma anche con i doveri imposti dalla
responsabilita'. Per questo il comitato promotore ha creduto di assicurare alle diverse
componenti l'opportunita' del loro contributo ed ha invitato tutti i compagni a far convergere il
loro.
Per questo io, incaricato di aprire il dibattito, ho cercato di individuare - tra le molte e preziose
indicazioni raccolte in questi mesi - una linea che fosse di aggregazione per noi e di definizione
per gli altri.
Per questo, infine, mi sono trattenuto dall'entrare nei problemi che emergeranno dagli interventi
previsti, convinto tuttora di averne soltanto interpretato la scelta comune, senza volerne
anticipare le articolate proposte.
Mi pare tuttavia che da quella linea le indicazioni che discendono siano chiare e riconoscibili nel
senso che Medicina Democratica
1) si impegna in una lotta per la salute che non separa il campo sanitario da quello sociale ma li
attraversa entrambi secondo una direttrice fondamentale segnata dalla contraddizione di
classe. E' rispetto a questa direttrice che sa qualificarsi una nuova solidarieta' tra il lavoratore
alla sanita' e la sanita' dei lavoratori: noi opereremo perche' cio' avvenga;
2) si impegna ad operare per un radicale cambiamento degli attuali studi medici nel senso di
una articolata ma congiunta formazione di tutto il personale sanitario orientandolo a:
a) saldare la pratica con la teoria,
b) mettere la prevenzione al primo posto,
c) priorizzare la medicina di base e di comunita',
d) attendere alla educazione sanitaria come premessa di partecipazione;
3) si impegna ad operare per la deistituzionalizzazione dell'assistenza e per la
territorializzazione dei servizi nel pieno e diretto controllo popolare di tutta l'attivita' sanitaria,
valorizzando da una parte i consigli dei delegati, stimolando dall'altra i comitati sanitari di zona,
sostenendo e assistendo ogni forma spontanea di partecipazione di base, proprio perche' tale e
perche' in quanto tale, nella sua assunzione e coscienza politica e collettiva della medicina e'
l'alternativa irriducibile alla medicalizzazione della collettivita' e della politica;
4) riconosce e valorizza nella autogestione della salute non un riduttivo "far da se'" e una
rinuncia all'uso di ogni valido sussidio medico, ma assume questo in un diverso comando
politico come momento fondamentale per la riaffermazione della soggettivita', per il recupero di
un rapporto dialettico tra i soggetti dell'atto sanitario individuale e complessivo: pertanto e'
impegnata ad un'ulteriore valorizzazione di tale soggettivita' - che riconosce nell'insegnamento
del movimento operaio e nella lotta dei movimenti femministi - in ogni occasione ove sia negata
e repressa (a breve termine, per esempio, Medicina Democratica concludera' la elaborazione di
una legge di iniziativa popolare contro la sperimentazione sull'uomo e promuovera'
l'applicazione della carta dei diritti del bambino ricoverato in ospedale);
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5) rifiuta - per tutto quanto la sua linea dice in tema di salute collettiva, di partecipazione e di
soggettivita' - qualsiasi uso repressivo, di controllo sociale, di emarginazione della devianza da
parte della medicina e dei suoi operatori, impegnandoli non solo a rifiutarlo ma a contrastarlo in
ogni modo;
6) rifiuta, conseguentemente ma intransigentemente, ogni ruolo limitativo o condizionante della
liberta' della donna in ordine alle sue scelte di generazione e di salute; solidarizza con i
movimenti della sua liberazione e intende operare perche' a questo fine siano orientate la
struttura e la funzione dei consultori;
7) assume la responsabilita' di promuovere e ottenere l'inserimento sociale degli handicappati
come soggetti di piena partecipazione e di assicurare diretta collaborazione alla loro azione e
alla piu' diffusa conoscenza dei loro problemi;
8) impegna i suoi aderenti a dare senso e prassi alla concezione della medicina come servizio
per il popolo: quindi ad opporsi fino alla loro estinzione ad ogni forma di arroccamento
corporativo ed antipopolare dell'ordinaismo medico, perche' la sanita' non sia - come e' stata
altrove - un banco di prova generale del blocco di destra;
9) si impegna a cercare le solidarieta' politiche e sindacali che riconoscano negli obiettivi di
Medicina Democratica reali obiettivi della classe, ma anche a conservare a se stessa le funzioni
e i caratteri di movimento autonomo di base, capace di accogliere e valorizzare politicamente
tutte le istanze e le iniziative che da tale base sono espresse nelle diverse forme del suo
articolarsi ed aggregarsi su obiettivi individuati dalla volonta' popolare;
10) intende compiere e ha gia' iniziato un lavoro di collegamento con movimenti che in altri
paesi - pur in una estrema diversificazione di metodi e di prassi congrue alle diversita' dei quadri
istituzionali e di regime - sviluppano azioni e conducono lotte per la riappropriazione e
l'autogestione della salute.
Questi dieci punti, compagni, non sono un decalogo. Sono soltanto alcuni degli impegni - pero'
chiari ed esplicati - ed altrettante scelte di azione - pero' incidenti e coerenti - secondo la linea
che ci siamo dati e che e' sintesi di quanto voi, non solo nelle assemblee di questi mesi, ma
nelle lotte di questi anni siete venuti esprimendo. Il dibattito ne arricchira' i contenuti, ne
aggiungera di ulteriori, ne indichera' la priorita'.
Cosi', avviandomi a concludere quella che non poteva essere che una introduzione a un
convegno di fondazione, che desse la parola a tutti senza sottrarla a nessuno, vorrei
sottolineare a chi ci ascolta la nostra piena consapevolezza di un'altra crisi che, come quella
ricordata all'inizio, e' oggi congiunturalmente clamorosa ma e' da tempo strutturalmente
deteriorata: e' la crisi di questa medicina contemporanea che, di giorno in giorno, si fa sempre
piu' assistenzialmente inefficace e socialmente repressiva.
L'inefficacia dell'assistenza e' dimostrata da:
1) progressivo deterioramento, statisticamente documentabile, della salute collettiva per
l'incidenza crescente di tutte le malattie legate alla nocivita' - dell'ambiente di lavoro, di
abitazione, di alimentazione e di vita - che e' il portato inseparabile del modo di produzione
capitalistico;
2) ricorrenza - frequente e dilagante - di patologie infettive che si credevano e potevano essere
state debellate;
3) vertiginoso incremento del consumo di farmaci in larga misura meramente sintomatici e
concretamente tossici;
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4) emergenza di un diffuso malessere, socialmente determinato e personalmente patito, che
investe larghi strati della popolazione indotta o costretta a vivere come "disturbo mentale" cio'
che e' soltanto "insopportabilita' di vita".
La funzione repressiva e' dimostrata da:
1) crescente trasferimento dei problemi sociali e personali (conflittualita', trasgressione dei limiti
di "norma", domanda di soggettivazione, ecc.) in un'area di gestibilita' istituzionale e di
silenziamento terapeutico;
2) avanzante tecnicizzazione dell'atto medico fino alla estinzione dei suoi contenuti di rapporto
interpersonale;
3) diffusione di false o inefficaci pratiche di prevenzione secondaria per deviare la domanda di
conversione del modo di produzione;
4) attribuzione al medico di nuovi compiti repressivi nei confronti del comportamento infantile, se
e' un pediatra, del diritto di aborto se e' un ostetrico, del rifiuto del lavoro se e' un fiscale,
dell'uso di droga se e' un medico, della devianza se e' uno psichiatra, della rivolta alla nocivita'
se e' un medico del lavoro, e cosi' via.
A questo ed oltre ci porta la "medicalizzazione della politica", e a questo si oppone la scelta di
Medicina Democratica che e' "politicizzazione della medicina".
Cio' significa, per noi e nei fatti, puntare su tutte le forme di appropriazione e di autogestione
che possono mettere la classe a soggetto di una lotta per la salute che non cessi mai di essere,
in quanto tale, una lotta contro il sistema.
Non appartiene alla classe l'insidioso dilemma: o le riforme oggi o la rivoluzione un'altra volta.
Per la classe contano quelle riforme - meglio: quelle conquiste - che fanno parte di una strategia
per la rivoluzione. Perche' ciascuna di esse - se, oltre il suo valore assoluto, non fosse anche un
acceleratore del processo di mutazione strutturale - sarebbe soltanto apparente e, alla fine,
perdente.
Occorre, dunque, assecondare - ognuno all'interno del suo ruolo che e' pur sempre un ruolo
interno - il processo di appropriazione da parte della classe e delle masse 1) degli strumenti di
conoscenza dei meccanismi di profitto e di sfruttamento del capitale e 2) degli strumenti di
autocontrollo e di autogestione della salute.
Occorre dare ogni appoggio, ogni contributo - di forze, di idee, di critiche - ai consigli di fabbrica,
ai consigli di zona, ai comitati di quartiere, ai collettivi e ai movimenti nei quali si esprime la
volonta' di base delle masse, cui naturalmente si raccordano quei medici, quegli studenti, quegli
operatori sanitari di ogni grado e funzione, quegli operatori sociali di vario ruolo e qualificazione,
quei - piu' comprensivamente - "tecnici della salute e per la salute" che abbiano fatto una
corretta scelta di classe e che si siano dati una pratica congruente.
Questo che dico, qui ed ora, e', con le stesse parole, l'impegno ed il voto, il progetto e il
proposito formulati negli anni addietro.
Ebbene, questo ora avviene perche' da questa premessa, con questi connotati, su questa linea
nasce Medicina Democratica, movimento di lotta per la salute. Nasce da una grande ricchezza
di lotte, di esperienze, di volonta' collettiva e individuali che vogliono collegarsi per procedere
insieme in un'analisi che sia verificata e in una prassi che sia coordinata.
Nasce, deve nascere, fuori da ogni settarismo e da ogni subalternita'.
Nasce, deve nascere, fuori da ogni pia illusione di farne una zattera di salvataggio per
annaspanti coscienze nel mare di questa o di quella corporazione.
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Nasce, deve nascere, fuori di ogni risibile velleita' di farne un "partito sanitario" o la proiezione
sanitaria di questo o quel partito.
Nasce da uno scontro di classe per la vittoria di una classe, quella, l'unica che - Marx ci ha
insegnato - liberando se' libera anche gli altri uomini.
E' un duro scontro, e' tuttora una vittoria da conquistare: e' una lotta cui occorrono l'impegno di
tutti noi, anche quello della lealta' di confronto, della dialetticita' di posizioni.
E' quindi questo un momento di grande e positiva tensione ma anche di grave e riflessiva
responsabilita'. Io sento e penso che tutti i compagni debbano sentire e riconoscere le
dimensioni della nostra responsabilita': che e' quella di dar vita a un movimento che non si
ripieghi sui problemi pur autentici dei suoi aderenti ma si rivolga anche a quelli della
popolazione al cui servizio deve porsi, che si conquisti fin dall'inizio e conservi la credibilita' di
fronte anche al giudizio piu' severo delle masse.
Che per loro - come gia' si intende e vede da ogni parte - cio' che oggi nasce, sappia crescere
per una lotta che sara' lotta di liberazione.
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EPILOGO
In vita, sarebbe finito cos lo scontro con Luigi Mara? Sono convinto che, al termine di una
discussione inevitabilmente infuocata, Luigi avrebbe fatto di tutto per scongiurare la scissione.
Come io, in coscienza, ho tentato. Luigi possedeva intelligenza, carisma e autorit. Soprattutto
possedeva mezzo secolo di storia di lotte, di Movimento di lotta. Era un gigante, in mezzo a
tutti questi nanerottoli. Il pi alto dei quali fa il presidente di Medicina democratica, n uomo
di scienza n di lotta, perito industriale che si fa chiamare dottore, furbo abbastanza da gestire
pro domo sua la storica etichetta e il pingue bilancio. Una attivit di scrivania, al riparo dai
nostri rischi del passato, ma anche del presente: meglio mandare avvocati nei tribunali che
affacciarsi alle reti di Chiomonte in Val Susa (dove da sempre l'unico striscione che si visto
quello della Sezione di Alessandria).
Meglio, al suo fianco, fare il vice a Napoli senza mai disturbare per la Terra dei fuochi, o fare il
vice in Toscana senza mai rischiare una querela da Solvay, o fare il vertenziere gironzolando
per la penisola, o fare l'utile tesoriere, o fare l'esemplare avvocato. Per tutti, come corollario,
qualche conferenza e pubblicazione non guasta, a inorgoglire il gregge che si nomina consiglio
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direttivo dell'ex "Movimento di lotta per la salute". E che invece dovrebbe rileggersi,
probabilmente leggere per la prima volta, la relazione del partigiano Giulio Alfredo Maccacaro
al convegno costitutivo del maggio 1976 (in appendice), e, gi che c', lo Statuto, met del
quale dedicata alle Sezioni-.
Appendice
RELAZIONE DI GIULIO ALFREDO MACCACARO AL CONVEGNO COSTITUTIVO DI
MEDICINA DEMOCRATICA
BOLOGNA 15-16 MAGGIO 1976
In nessuna delle altre occasioni - accademiche, scientifiche o politiche - in cui ebbi il compito di
svolgere una relazione introduttiva, ho sentito su di me pesare tanta responsabilita' e dentro di
me vibrare tanta emozione.
Perche' siamo convenuti qui affinche' qualcosa che supera ogni nostra persona nasca, viva e
cresca: qualcosa che abbiamo sentito prima esprimersi come speranza progettuale e poi urgere
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come volonta' perentoria da un sempre piu' largo, diffuso, articolato, motivato comando di base:
la costituzione di "Medicina Democratica, movimento di lotta per la salute". E poiche' ogni
comando di base, quando spontaneo e autentico come questo, non e' oblazione ai vertici ma
volonta' di partecipazione, noi siamo qui per obbedirgli con tutta la lealta', la dedizione e lo
spirito unitario di cui siamo capaci.
Siamo qui noi ma non per noi, compagni ma per altri compagni, tanti ma per i ben piu' tanti che
attendono da Medicina Democratica non solo un messaggio responsabile ma anche un'azione
efficace per la salute e la integrita' di chi e' oggetto di sfruttamento, emarginazione e
repressione, onde questi ne emerga con tutto il suo diritto e la sua capacita' di porsi quale
soggetto politico primario.
Infine, siamo qui anche per gli altri - per gli amici che ci osservano e ci interrogano, per i nemici
che ci temono ma non ci sfidano - ed a tutti e con tutti vogliamo fare chiarezza.
Vogliamo dire, anzitutto, "perche' ora" e "perche' cosi'" si apre il convegno costitutivo di
Medicina Democratica. Questa e' un'ora di crisi profonda del nostro paese: crisi economica,
politica ed istituzionale. Una crisi che non ci e' affatto oscura nelle sue cause e ci e' ben chiara
nei suoi effetti.
Per quanto riguarda le cause essa nasce da:
1) la dipendenza diretta e indiretta dal comando imperialista che - attraverso il sistema delle
multinazionali il cui potere non riconosce piu' ne' i confini politico-geografici ne' quelli di regime -
aspira dai paesi subalterni capitali e profitti esportandovi continuamente le sue contraddizioni, le
sue crisi e costringendoli a pagare il costo umano, ambientale ed economico del suo
sfruttamento di rapina: fin dove e fin quando il rischio politico non supera il prelievo effettuato.
Oltre questo limite abbiamo conosciuto altrove e abbiamo sentito incombere su di noi le
soluzioni piu' violente. Oggi sentiamo che altre ci minacciano: ma non tutti hanno chiaro che il
golpe tecnocratico verso il quale qualcuno vorrebbe avviare l'Italia e' diverso da quello militare
soltanto per l'uso della divisa;
2) la inadeguatezza storica del capitalismo italiano che, incapace di sviluppare persino il
modello d'impresa e il sistema di investimento gia' praticati da altre societa' e in altre economie
del secolo scorso, si e' trattenuto ancora in questo dopoguerra alla pigra avidita' della rendita
parassitaria, scaricando nel finanziamento di Stato tutta la sua avidita' di profitto e speculando
non sulle sue capacita' imprenditoriali ma su un selvaggio prelievo di plusvalore dalla forza-
lavoro;
3) l'indegnita' criminosa della dirigenza democristiana e satellite che, dietro lo schermo
scientemente artefatto e mistificante dell'interclassismo, non ha saputo per sei lustri esprimere
alcun esercizio di governo ma solo gestione di un potere delegato dai gruppi del piu' arrogante
e ottuso privilegio: di classe, di casta e di arma, di corpi separati e di corruttori riuniti, contro i
lavoratori e le loro organizzazioni. Questo per le cause.
Per quanto riguarda gli effetti, la stessa crisi:
1) produce un deterioramente delle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia e delle
masse popolari, attraverso la perdita di potere d'acquisto dei salari, la precarieta'
dell'occupazione, la insufficienza della casa, l'impoverimento della vita;
2) determina un obiettivo decadimento di salute attraverso la intensificazione dello sfruttamento,
la diffusione del lavoro nero, il conseguente incremento della nocivita', il deterioramento delle
strutture socio-sanitarie;
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3) rinvia (ancorche' pretestuosamente, se si pone mente alla volonta' negativa manifestatasi in
congiunture di altro segno) ogni ipotesi credibile di riforma dell'assetto sanitario del paese che
sia intesa al benessere della collettivita' e non, come avviene, alla speculazione, statalmente
partecipata o mutualisticamente mediata, del capitale finanziario, industriale e farmaceutico.
Se queste note sono del tutto inadeguate per un discorso, anzi non sono intese come un
discorso sulla crisi che stiamo vivendo, pero' bastano a riaffermare che questa crisi non e'
affatto (come nessuna e' mai) complessiva, interclassista, accomunante, egualitaria: non e'
affatto una catastrofe che si abbatte quale un'oscura calamita' naturale su un intero paese:
questo o altri che sia. Ma e' un'ulteriore aggressione di cui sono identificabili i mandanti e gli
esecutori, i destinatari e le vittime: e' l'aggressione piu' dura sferrata dal padronato nazionale e
internazionale contro la classe lavoratrice italiana, come quella piu' politicamente maturata e
organizzata, creativa e combattiva, nel sistema di controllo e di egemonia dell'imperialismo
capitalista.
Questa aggressione, anche se ha forme piu' manifeste di incidenza politica ed economica, per
cio' stesso va oltre e colpisce pesantemente, come ho appena accennato, in tutto cio' che e'
"salute" individuale e collettiva aggravando le minacce, moltiplicando le offese, disarmando le
difese.
Questo ho detto come breve premessa per sottolineare che la nascita "ora" di "Medicina
Democratica" non e' casuale ne' coincidentale, ma sembra a noi dettata da una precisa
tempestivita' in rapporto e alla gravita' della situazione gia' presente e all'importanza della
consultazione gia' imminente.
Ma questa affermazione, che credo condivisa da tutti i compagni, resterebbe una premessa
incompiuta ove non fosse subito detto e chiarito che Medicina Democratica sarebbe nata ora ed
ormai anche se questa crisi non fosse stata; anche se questa congiuntura non si fosse data.
La gestazione del nostro movimento e' piu' lunga e complessa, se ne possono rintracciare
antecedenti e premesse su un arco di tempo assai lungo; ma certamente non e' scorretto
ritenere decisive e significative le lotte studentesche e operaie degli ultimi anni Sessanta e dei
successivi.
Da allora sono venuti maturando e affrontandosi due processi di enorme portata e di opposto
segno: la medicalizzazione della politica e la politicizzazione della medicina: la prima come
scelta della classe del capitale, la seconda come scelta della classe del lavoro.
Ne parleremo ancora quando il movimento vorra' veramente approfondire l'analisi di questi
processi e il senso di questi termini, ormai entrati e discussi nel dibattito internazionale.
Ne parlammo gia' in quel memorabile convegno sulla salute che si svolse a Firenze nel 1973 e
le individuammo allora come linee di uno scontro entro il quale ognuno avrebbe dovuto fare
presto la sua scelta. Cosicche' ora sarebbe abbastanza semplice dire che, nella chiarezza e
nella crudezza di quello scontro, "Medicina Democratica" e' la nostra scelta, e che perche'
questa scelta si compisse e diventasse premessa di un movimento nel movimento era naturale
giungere alla costituzione di Medicina Democratica.
Sarebbe semplice ma sarebbe insufficiente. Dobbiamo sviluppare qualche riflessione ulteriore
che ci permetta di individuare - e naturalmente discutere - una linea chiara e ferma che
attraversi i principali problemi in cui si articola la lotta per la salute e quindi l'impegno di
Medicina Democratica: una linea che di volta in volta, di problema in problema, misuri la
coerenza delle nostre scelte, confermi la solidarieta' del nostro impegno, individui la chiarezza
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dei nostri obiettivi (quella chiarezza che sola puo' far giustizia di ogni residuo settarismo e di
qualsiasi sopraggiungente parrocchialita').
Dobbiamo anzitutto riflettere sul concetto di salute per dire subito che non hanno qui molto
rilievo, perche' ci sono semplicemente ovvie, le definizioni di salute individuale, ancorche'
autorevolmente formulate come quella dell'Organizzazione mondiale della sanita'.
Naturalmente - ma anche questo e' ovvio - ognuno di noi e' impegnato, come operatore
sanitario o come compagno di milizia o come membro della collettivita', al soccorso piu'
efficace, alla dedizione piu' generosa per la liberazione dell'altro dalla sofferenza comunque
vissuta, per la promozione del suo benessere psichico e fisico comunque personalizzato. Ma il
nostro pensiero e la nostra azione si impegnano ben oltre: su quella salute che va privilegiata
nella sua dimensione collettiva e cui occorrono, quindi, una dottrina e una pratica politica.
Si tratta, cioe', di affermare oggi - come non fu mai in passato - la centralita' della lotta per la
salute nello scontro di classe. E l'esattezza di questa affermazione - assolutamente
generalizzabile ad ogni ambito sociale - appare con lampante evidenza nella realta' della
fabbrica riverberando da questa su tutto il territorio. La fabbrica infatti e' non solo il luogo dove si
realizzano insieme ed in massimo grado la concentrazione della nocivita' e la spoliazione di
salute - quale estremo e preciso portato di una scienza lungamente votatasi, nel comando
borghese, alla organizzazione detta, appunto, "scientifica" del lavoro - ma e' ancora il luogo
dove il movimento operaio ha chiarito a se' e agli altri che la lotta collettiva per la salute
collettiva investe tutto il modo di produzione e lo contesta proprio in cio' di cui e' piu' geloso: la
sua falsa - o deviata - razionalita'.
Quella razionalita' asservita quanto piu' si dichiara oggettiva, che ne alimenta e vorrebbe
legittimarne la pretesa a porsi come modello per la gestione della societa' in tutte le sue
articolazioni: dalla struttura urbana all'organizzazione dei servizi, dalla scansione dei tempi al
dettato dei consumi, dalla scuola e per ogni altro dove sociale fino alla sanita': recuperando,
infine, da questa sanita' modi e strumenti per dare una risposta preformata e normalizzante,
quindi contenitiva ed infine repressiva, ad una domanda che nasce da un malessere classificato
come patologico ma autenticamente esistenziale (sociale).
E' il controllo sociale che cerca di rinchiudere un problema di relazione, cioe' strutturale, nella
malattia dell'individuo, cioe' accidentale, per separare il lavoratore dalla sua classe e la classe
dalla sua coscienza.
A questa luce che ci viene di la', dalla fabbrica, dove e' piu' chiaro e piu' duro il confronto tra
capitale e lavoro, dove il movimento operaio ha combattuto per la sua e per l'altrui liberazione -
come sentiremo tra poco nel discorso di reali avanguardie - la salute collettiva va intesa per
quello che e' e che conta: valore totalizzante di altri valori, assunzione in una lotta di altre lotte,
affermazione nella pratica di una corretta priorita' politica. La salute collettiva non e', quindi,
soltanto la somma di benesseri individuali ne' di individuali riscatti dalla malattia, proprio perche'
identifica nel privato del benessere e nel malessere del sociale i disvalori che la contraddicono.
Su questo primo punto - sulla salute collettiva come condizione e sostanza di quella individuale
- Medicina Democratica non lascia spazio ad equivoci teorici e ne deriva precise indicazioni
pratiche. Se in una occasione ulteriore la nostra analisi avra' ulteriore ampiezza ed
approfondimento, gia' ora ci e' dato, per coerenza alla premessa, dichiarare il nostro impegno,
globalmente politico e specificamente sanitario, contro:
1) la ristrutturazione e le nuove forme di organizzazione capitalistica del lavoro e della societa',
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2) la campagna sull'assenteismo che tende ad occultare la rapina di salute collettiva
continuamente perpetrata sulla classe del lavoro,
3) la teorizzazione delle "compatibilita'" che cerca di riproporre e recuperare la subordinazione
di tale salute alle esigenze del profitto,
4) la consegna al capitale pubblico, privato e misto della progettazione, organizzazione e
gestione dei presidi sanitari;
e il nostro impegno per:
a) il ritiro ad ogni livello della delega sanitaria,
b) l"autogestione di base della tutela della salute,
c) la lotta ad ogni tipo di emarginazione,
d) la nascita e lo sviluppo di forme di governo popolare e di democrazia diretta con particolare
riguardo allo specifico socio-sanitario.
Queste indicazioni, che saranno riprese e documentate negli interventi previsti e in quelli attesi,
gia' ci portano a considerare altri punti oltre il primo e subito un secondo: quello della
partecipazione che e' il fattor comune degli impegni ora detti. Conviene dedicargli qualche
attenzione perche' la nostra linea si chiarisca oltre e a fronte dell'uso e dell'abuso che l'esercizio
dei poteri ne ha fatto in questi anni, mistificando per partecipazione cio' che partecipazione non
era.
Ancora una volta vorrei fare riferimento alle lotte e alle conquiste del movimento operaio ma vi
rinuncio serenamente perche' altri compagni ne diranno: diranno come un nuovo modo di
intendere la partecipazione nasca proprio da cio' che io mi limito a ricordare e mi trattengo
dall'illustrare: la liberazione della soggettivita', l'emergenza del gruppo omogeneo, la sua
assunzione di funzioni politiche, sanitarie e scientifiche.
Voglio soltanto sottolineare come, dal gia' detto primato della salute collettiva, discenda che se
una sociologia medica d'altro tempo ha definito la malattia come perdita di partecipazione, oggi
siamo arrivati ad intendere la perdita di partecipazione come sostanza di malattia. Pero' noi
crediamo che alla partecipazione autentica non basti mai l'articolato di una legge ma occorra
sempre l'impegno di una lotta: che si sviluppa continuamente nell'identificazione dei suoi
obiettivi, che si accresce progressivamente nell'allargamento del suo campo, che non riconosce
limiti a questo campo ne' ammette che esista l'ultimo di quegli obiettivi. Questo non e' un
discorso estremista nel senso deteriore dell'insinuazione che di solito accompagna tale termine,
ma e' anche un discorso meditatamente estremista se e' vero come credo che in medicina e per
Medicina Democratica l'unico e sacrosanto estremismo e' la salute collettiva e che questa non
puo' darsi senza partecipazione. Allora vogliamo definire questa partecipazione - sempre con
riferimento preciso alla tematica di questo convegno e di questo movimento - sia in positivo sia
in negativo secondo l'insegnamento del piu' grande rivoluzionario: "Quali sono i nostri nemici e
quali sono i nostri amici? Questa e' una questione di primaria importanza per ogni rivoluzione".
I nemici della partecipazione sono almeno tre: l'autorita', l'efficienza e la provvidenzialita'.
Nell'ambito del nostro impegno a definirci come Medicina Democratica l'autorita' cui opponiamo
la partecipazione e' identificata come quella che - indossati i panni della competenza,
separatasi nella tecnica, costituitasi come corporazione, legittimatasi come ordine - si pone di
fatto quale esecutrice dei comandi di un potere che la sovrasta e che, pagatala con ruoli e
privilegi, ne fa lo strumento piu' insidioso ed efficace del controllo sociale nelle forme della
medicalizzazione. Per tutto cio' essa pretende: il diritto di un sapere separato, la consegna di un
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uomo oggettivato, l'esercizio di un insindacabile potere. Questo e' un nemico della
partecipazione.
Un altro nemico e' l'efficienza che in un sistema dato e' sempre una domanda del potere
costituito. Essa si avvale della voluta e perpetrata confusione con l'efficacia. Cui corrisponde
un'altra consapevole e consumata confusione tra funzione e funzionamento. La funzione di ogni
sistema e' definita dai suoi fini, il funzionamento dai suoi modi.
Noi vogliamo che la funzione dell'istituzione sanitaria sia rivolta interamente alla promozione e
alla difesa della salute collettiva, come la abbiamo gia' definita, e che il suo funzionamento sia
giudicato soltanto a misura della capacita' di adempimento di tale funzione.
L'istituzione sanitaria e', invece, ordinata all'ottimizzazione di se stessa, del suo vantaggio
economico, delle sue autorita' di comando, del suo plesso di potere. Pertanto nell'occultamento
di una profonda divergenza della sua funzione dai fini sociali cui dovrebbe rendere e misurare il
suo servizio, riconosce ogni primato al funzionamento e converte la totale perdita di efficacia in
una ulteriore domanda di efficienza. Non e' questa la sede per esempi che sono innumeri e noti:
avremo presto un'altra occasione in cui discuteremo a lungo - nel riscontro reale, nel dettaglio
specifico, struttura per struttura, servizio per servizio - questo problema dei rapporti, in
medicina, tra funzionamento e funzione, tra efficienza ed efficacia.
Qui ci basta riconoscere e ricordare che e' in nome dell'efficienza del funzionamento per una
mentita efficacia della funzione che la partecipazione popolare e' sempre stata
sistematicamente esclusa - come e' esclusa la madre del bambino ricoverato, come e' esclusa
la consapevolezza del paziente abusato, come e' esclusa la realta' della sofferenza sociale -
dalla gestione della cosa sanitaria, dalla possibilita' di intervenire per indicarle fini nuovi, ulteriori
impegni, piu' vere destinazioni.
Il terzo nemico della partecipazione e' la provvidenzialita'. E qui il nostro discorso si sposta dal
luogo sanitario al governo sanitario, rivolgendosi francamente anche a chi ne porta
responsabilita' locali in un quadro politico alternativo a quello nazionale.
C'e' un modo che non vogliamo nemmeno discutere di intendere tale responsabilita': come
occasione di potere, tessitura di clientele, pretesto di corruzioni: e' il modo "democristiano" per
antonomasia.
Ma c'e' un altro modo che e' pure antipartecipatorio. E' di chi - ente o persona, ma piu' spesso il
primo che la seconda - si ritiene investito del compito e titolare della capacita' di anticipare la
domanda sociale di salute, di presentirla prima che sia espressa, di immaginarla prima che sia
concepita, infine di provvedere ad essa prima che si sia consapevolizzata.
Con un termine corrente cio' si chiama anche "paternalismo" ma ritengo piu' corretto definirlo
"provvidenzialita'". Perche' cosi' mi pare meglio indicato quel modo di mettersi in rapporto con la
realta' che prescinde dal suo ascolto; quell'attitudine a disporre risposte preformate che
prescindono dalla formazione delle domande; quell'interpretazione del mandato amministrativo
che infine determina una richiesta cui si consente soltanto di conformarsi all'offerta.
Medicina Democratica e' contro tutto cio' - l'autorita' ma non soltanto perche' e' inautorevole,
l'efficienza ma non soltanto perche' e' inefficace, la provvidenzialita' ma non soltanto perche' e'
improvvida - e' contro tutto cio' perche' tutto cio' e' contro la partecipazione e Medicina
Democratica e' un movimento partecipatorio di base non solo perche' da questa base e' nata
ma perche' vuole continuare a restarci: per raccogliere, assecondare, collegare, moltiplicare,
potenziare onde siano infine vincenti, tutte quelle lotte che, in specifici diversi - dalla fabbrica al
territorio, dalla scuola all'ospedale, dal quartiere all'istituzione, dalla casa alla caserma - la
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soggettivita' di base viene conducendo per la salute, anche individuale, ma assunta in quella
collettiva.
Si pone cosi', naturalmente, il terzo punto sul quale occorre sviluppare qualche riflessione ed e'
quello della soggettivita' per una definizione, ora in positivo, della partecipazione. Ancora una
volta e' dall'esperienza e dalla lotta di fabbrica che e' emersa la soggettivita' del lavoratore
rivendicata ed affermata contro la volonta' oggettivante del capitale.
Ma ancora una volta dalla fabbrica le conquiste del movimento operaio incidono su tutto
l'ambito sociale e ne reinterpretano e riqualificano la realta'.
La soggettivita' di cui parliamo e' una anche se, nell'uso ormai corrente all'interno della tematica
che ci e' comune, le vengono attribuiti due significati complementari: uno e' in alternativa alla
definizione - cosiddetta obiettiva - della salute e della malattia, del benessere e del disagio,
della nocivita' e del danno. Costituisce, quindi, la base di quel ritiro della delega lungamente
rilasciata al "tecnico" quale verificatore e falsificatore di una sofferenza soggettivamente patita e
dunque reale ma che poteva essere negata, in conto della pretesa "obiettivita'" di una scienza
che non e' retorico chiamare padronale.
Da questa rivendicata soggettivita' e' nata la identificazione di un quarto gruppo di fattori di
nocivita', e' nata una ridefinizione del benessere-malessere non piu' come conformita'-difformita'
a modelli espressi ed imposti dalla logica della produzione per il profitto, ma come vissuto
individuale e di gruppo del rapporto con le condizioni di lavoro e di vita.
L'altro significato di "soggettivita'", che si integra al primo, e', oltre i limiti di cio' che puo' pur
sempre essere ricondotto a una lettura medica, l'affermazione di se' non solo come soggetto di
salute ma come soggetto di sanita' capace di appropriazione e di autogestione della medesima.
E' su questa seconda soggettivita' che vorrei insistere ancora un poco per dire che essa
riconosce, abilita ed esprime - nel suo crescere nell'esperienza senza la quale non si ha
partecipazione e nel suo evolvere a volonta' collettiva senza la quale non si ha la
trasformazione - una pluralita' di soggetti, che vanno dal singolo al gruppo, dal gruppo al
collettivo, dal collettivo alla classe, ma per ciascuno dei quali e' acquisito il diritto di porsi,
all'interno dell'atto medico, dell'istituzione sanitaria, dell'organizzazione assistenziale, in un
rapporto finalmente dialettico con tutto cio' che - strutture e persone - lo avevano sin allora
considerato l'oggetto di un rapporto analitico.
Questa e' la straordinaria e nuova ricchezza che in questi anni e' venuta crescendo in quella
base da cui ora si esprime Medicina Democratica.
E questo e' stato il mio tentativo di contribuire al vostro dibattito costruendo, pezzo a pezzo,
quella che io credo sia la linea che connota il nostro movimento - che lo fara' capace di
attraversare in chiarezza e coerenza la molteplicita' quasi innumere dei problemi che lo
confrontano e che ora vorrei cosi' formulare: il primato politico della salute collettiva come
momento centrale della lotta di classe fondata su una reale partecipazione capace di accogliere
nella loro genuina espressione e assumere a livello di integrazione ulteriore le molteplici
soggettivita' della base sociale.
Se questa linea e' corretta (ma vostro ne e' il giudizio) essa deve essere capace di dare corrette
e chiare indicazioni pratiche, cos come deve essere capace di sollecitare analisi ed
approfondimenti ulteriori.
A questi secondi io credo che noi vogliamo impegnarci in vario modo e con vari mezzi:
costituiremo gruppi di studio per problemi specifici, prepareremo nelle sedi piu' appropriate
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dibattiti e confronti, andremo entro l'anno a un congresso ordinato sui temi e sulle tesi che
saranno stati oggetto di studio e discussione adeguati, secondo le indicazioni del movimento.
Questo convegno di oggi, del quale ho cercato di dire "perche' ora" e del quale mi si e'
incaricato di dire "perche' cosi'", nasce, dunque, come convegno di fondazione e di
presentazione. Nasce, dicevo all'inizio, da una volonta' anzi da una urgenza di incontro e di
collegamento chiaramente formulata dalla base.
E' allora parso giusto che fosse dedicato alla piu' libera e articolata espressione di questa base,
compatibilmente con le costrizioni imposte dal tempo ma anche con i doveri imposti dalla
responsabilita'. Per questo il comitato promotore ha creduto di assicurare alle diverse
componenti l'opportunita' del loro contributo ed ha invitato tutti i compagni a far convergere il
loro.
Per questo io, incaricato di aprire il dibattito, ho cercato di individuare - tra le molte e preziose
indicazioni raccolte in questi mesi - una linea che fosse di aggregazione per noi e di definizione
per gli altri.
Per questo, infine, mi sono trattenuto dall'entrare nei problemi che emergeranno dagli interventi
previsti, convinto tuttora di averne soltanto interpretato la scelta comune, senza volerne
anticipare le articolate proposte.
Mi pare tuttavia che da quella linea le indicazioni che discendono siano chiare e riconoscibili nel
senso che Medicina Democratica
1) si impegna in una lotta per la salute che non separa il campo sanitario da quello sociale ma li
attraversa entrambi secondo una direttrice fondamentale segnata dalla contraddizione di
classe. E' rispetto a questa direttrice che sa qualificarsi una nuova solidarieta' tra il lavoratore
alla sanita' e la sanita' dei lavoratori: noi opereremo perche' cio' avvenga;
2) si impegna ad operare per un radicale cambiamento degli attuali studi medici nel senso di
una articolata ma congiunta formazione di tutto il personale sanitario orientandolo a:
a) saldare la pratica con la teoria,
b) mettere la prevenzione al primo posto,
c) priorizzare la medicina di base e di comunita',
d) attendere alla educazione sanitaria come premessa di partecipazione;
3) si impegna ad operare per la deistituzionalizzazione dell'assistenza e per la
territorializzazione dei servizi nel pieno e diretto controllo popolare di tutta l'attivita' sanitaria,
valorizzando da una parte i consigli dei delegati, stimolando dall'altra i comitati sanitari di zona,
sostenendo e assistendo ogni forma spontanea di partecipazione di base, proprio perche' tale e
perche' in quanto tale, nella sua assunzione e coscienza politica e collettiva della medicina e'
l'alternativa irriducibile alla medicalizzazione della collettivita' e della politica;
4) riconosce e valorizza nella autogestione della salute non un riduttivo "far da se'" e una
rinuncia all'uso di ogni valido sussidio medico, ma assume questo in un diverso comando
politico come momento fondamentale per la riaffermazione della soggettivita', per il recupero di
un rapporto dialettico tra i soggetti dell'atto sanitario individuale e complessivo: pertanto e'
impegnata ad un'ulteriore valorizzazione di tale soggettivita' - che riconosce nell'insegnamento
del movimento operaio e nella lotta dei movimenti femministi - in ogni occasione ove sia negata
e repressa (a breve termine, per esempio, Medicina Democratica concludera' la elaborazione di
una legge di iniziativa popolare contro la sperimentazione sull'uomo e promuovera'
l'applicazione della carta dei diritti del bambino ricoverato in ospedale);
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5) rifiuta - per tutto quanto la sua linea dice in tema di salute collettiva, di partecipazione e di
soggettivita' - qualsiasi uso repressivo, di controllo sociale, di emarginazione della devianza da
parte della medicina e dei suoi operatori, impegnandoli non solo a rifiutarlo ma a contrastarlo in
ogni modo;
6) rifiuta, conseguentemente ma intransigentemente, ogni ruolo limitativo o condizionante della
liberta' della donna in ordine alle sue scelte di generazione e di salute; solidarizza con i
movimenti della sua liberazione e intende operare perche' a questo fine siano orientate la
struttura e la funzione dei consultori;
7) assume la responsabilita' di promuovere e ottenere l'inserimento sociale degli handicappati
come soggetti di piena partecipazione e di assicurare diretta collaborazione alla loro azione e
alla piu' diffusa conoscenza dei loro problemi;
8) impegna i suoi aderenti a dare senso e prassi alla concezione della medicina come servizio
per il popolo: quindi ad opporsi fino alla loro estinzione ad ogni forma di arroccamento
corporativo ed antipopolare dell'ordinaismo medico, perche' la sanita' non sia - come e' stata
altrove - un banco di prova generale del blocco di destra;
9) si impegna a cercare le solidarieta' politiche e sindacali che riconoscano negli obiettivi di
Medicina Democratica reali obiettivi della classe, ma anche a conservare a se stessa le funzioni
e i caratteri di movimento autonomo di base, capace di accogliere e valorizzare politicamente
tutte le istanze e le iniziative che da tale base sono espresse nelle diverse forme del suo
articolarsi ed aggregarsi su obiettivi individuati dalla volonta' popolare;
10) intende compiere e ha gia' iniziato un lavoro di collegamento con movimenti che in altri
paesi - pur in una estrema diversificazione di metodi e di prassi congrue alle diversita' dei quadri
istituzionali e di regime - sviluppano azioni e conducono lotte per la riappropriazione e
l'autogestione della salute.
Questi dieci punti, compagni, non sono un decalogo. Sono soltanto alcuni degli impegni - pero'
chiari ed esplicati - ed altrettante scelte di azione - pero' incidenti e coerenti - secondo la linea
che ci siamo dati e che e' sintesi di quanto voi, non solo nelle assemblee di questi mesi, ma
nelle lotte di questi anni siete venuti esprimendo. Il dibattito ne arricchira' i contenuti, ne
aggiungera di ulteriori, ne indichera' la priorita'.
Cosi', avviandomi a concludere quella che non poteva essere che una introduzione a un
convegno di fondazione, che desse la parola a tutti senza sottrarla a nessuno, vorrei
sottolineare a chi ci ascolta la nostra piena consapevolezza di un'altra crisi che, come quella
ricordata all'inizio, e' oggi congiunturalmente clamorosa ma e' da tempo strutturalmente
deteriorata: e' la crisi di questa medicina contemporanea che, di giorno in giorno, si fa sempre
piu' assistenzialmente inefficace e socialmente repressiva.
L'inefficacia dell'assistenza e' dimostrata da:
1) progressivo deterioramento, statisticamente documentabile, della salute collettiva per
l'incidenza crescente di tutte le malattie legate alla nocivita' - dell'ambiente di lavoro, di
abitazione, di alimentazione e di vita - che e' il portato inseparabile del modo di produzione
capitalistico;
2) ricorrenza - frequente e dilagante - di patologie infettive che si credevano e potevano essere
state debellate;
3) vertiginoso incremento del consumo di farmaci in larga misura meramente sintomatici e
concretamente tossici;
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4) emergenza di un diffuso malessere, socialmente determinato e personalmente patito, che
investe larghi strati della popolazione indotta o costretta a vivere come "disturbo mentale" cio'
che e' soltanto "insopportabilita' di vita".
La funzione repressiva e' dimostrata da:
1) crescente trasferimento dei problemi sociali e personali (conflittualita', trasgressione dei limiti
di "norma", domanda di soggettivazione, ecc.) in un'area di gestibilita' istituzionale e di
silenziamento terapeutico;
2) avanzante tecnicizzazione dell'atto medico fino alla estinzione dei suoi contenuti di rapporto
interpersonale;
3) diffusione di false o inefficaci pratiche di prevenzione secondaria per deviare la domanda di
conversione del modo di produzione;
4) attribuzione al medico di nuovi compiti repressivi nei confronti del comportamento infantile, se
e' un pediatra, del diritto di aborto se e' un ostetrico, del rifiuto del lavoro se e' un fiscale,
dell'uso di droga se e' un medico, della devianza se e' uno psichiatra, della rivolta alla nocivita'
se e' un medico del lavoro, e cosi' via.
A questo ed oltre ci porta la "medicalizzazione della politica", e a questo si oppone la scelta di
Medicina Democratica che e' "politicizzazione della medicina".
Cio' significa, per noi e nei fatti, puntare su tutte le forme di appropriazione e di autogestione
che possono mettere la classe a soggetto di una lotta per la salute che non cessi mai di essere,
in quanto tale, una lotta contro il sistema.
Non appartiene alla classe l'insidioso dilemma: o le riforme oggi o la rivoluzione un'altra volta.
Per la classe contano quelle riforme - meglio: quelle conquiste - che fanno parte di una strategia
per la rivoluzione. Perche' ciascuna di esse - se, oltre il suo valore assoluto, non fosse anche un
acceleratore del processo di mutazione strutturale - sarebbe soltanto apparente e, alla fine,
perdente.
Occorre, dunque, assecondare - ognuno all'interno del suo ruolo che e' pur sempre un ruolo
interno - il processo di appropriazione da parte della classe e delle masse 1) degli strumenti di
conoscenza dei meccanismi di profitto e di sfruttamento del capitale e 2) degli strumenti di
autocontrollo e di autogestione della salute.
Occorre dare ogni appoggio, ogni contributo - di forze, di idee, di critiche - ai consigli di fabbrica,
ai consigli di zona, ai comitati di quartiere, ai collettivi e ai movimenti nei quali si esprime la
volonta' di base delle masse, cui naturalmente si raccordano quei medici, quegli studenti, quegli
operatori sanitari di ogni grado e funzione, quegli operatori sociali di vario ruolo e qualificazione,
quei - piu' comprensivamente - "tecnici della salute e per la salute" che abbiano fatto una
corretta scelta di classe e che si siano dati una pratica congruente.
Questo che dico, qui ed ora, e', con le stesse parole, l'impegno ed il voto, il progetto e il
proposito formulati negli anni addietro.
Ebbene, questo ora avviene perche' da questa premessa, con questi connotati, su questa linea
nasce Medicina Democratica, movimento di lotta per la salute. Nasce da una grande ricchezza
di lotte, di esperienze, di volonta' collettiva e individuali che vogliono collegarsi per procedere
insieme in un'analisi che sia verificata e in una prassi che sia coordinata.
Nasce, deve nascere, fuori da ogni settarismo e da ogni subalternita'.
Nasce, deve nascere, fuori da ogni pia illusione di farne una zattera di salvataggio per
annaspanti coscienze nel mare di questa o di quella corporazione.
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Nasce, deve nascere, fuori di ogni risibile velleita' di farne un "partito sanitario" o la proiezione
sanitaria di questo o quel partito.
Nasce da uno scontro di classe per la vittoria di una classe, quella, l'unica che - Marx ci ha
insegnato - liberando se' libera anche gli altri uomini.
E' un duro scontro, e' tuttora una vittoria da conquistare: e' una lotta cui occorrono l'impegno di
tutti noi, anche quello della lealta' di confronto, della dialetticita' di posizioni.
E' quindi questo un momento di grande e positiva tensione ma anche di grave e riflessiva
responsabilita'. Io sento e penso che tutti i compagni debbano sentire e riconoscere le
dimensioni della nostra responsabilita': che e' quella di dar vita a un movimento che non si
ripieghi sui problemi pur autentici dei suoi aderenti ma si rivolga anche a quelli della
popolazione al cui servizio deve porsi, che si conquisti fin dall'inizio e conservi la credibilita' di
fronte anche al giudizio piu' severo delle masse.
Che per loro - come gia' si intende e vede da ogni parte - cio' che oggi nasce, sappia crescere
per una lotta che sara' lotta di liberazione.
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