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Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza
SANITÀ: QUATTRO MILIONI
RINUNCIANO ALLE CURE
Il 7% della popolazione non si avvale delle prestazioni sanitarie necessarie perché
ritenute troppo costose o per liste di attesa troppo lunghe…
di Davide Colella
La pandemia ci ha ricordato il valore del Servizio sanitario pubblico e universale. Un
diritto sancito dalla Costituzione. Un sistema da difendere, rafforzare e finanziare
adeguatamente a tutela del diritto alla salute dei cittadini. In realtà la sanità è
trascurata dall’agenda politica italiana, con ridimensionamenti del personale e scelte
programmatiche errate, in un generale impoverimento degli asset di cui oggi tutti
paghiamo le conseguenze.
Secondo il Rapporto 2022 di Cittadinanzattiva, nel sistema sanitario pubblico è
necessario attendere 720 giorni per una mammografia, 375 per un’ecografia, un anno
per una TAC, 6 mesi per una risonanza magnetica. Per visite diabetologiche,
dermatologiche o reumatologiche non si scende sotto i 10 mesi. Non va meglio per
gli interventi chirurgici: in cardiologia e ortopedia bisogna attendere almeno un anno.
Fino a 6 mesi per un intervento oncologico.
Secondo l’ISTAT, nel 2020, il 7% della popolazione ha rinunciato a prestazioni
sanitarie necessarie perché ritenute troppo costose o per liste di attesa troppo lunghe.
Un fenomeno che riguarda quattro milioni di persone. Nel 2021 i cittadini italiani
hanno speso 41 mld di euro per curarsi, erodendo salari e pensioni. 623 euro
procapite con enormi diseguaglianze territoriali.
Nel decennio 2010-2019 solo 5 regioni hanno superato l’85% degli adempimenti
dei LEA, i livelli essenziali di assistenza. Si tratta di Emilia-Romagna, Toscana,
Veneto, Piemonte e Lombardia. Nel 2019 Basilicata, Calabria, Campania, Molise,
provincia autonoma di Bolzano, Sicilia e Valle d’Aosta non hanno raggiunto gli
adempimenti.
Nel 2020, nonostante la pandemia, le giornate di degenza di pazienti ricoverati in
ospedale in una regione diversa dalla propria sono state 351 mila. Nel 2019 se ne
erano contate quasi mezzo milione. Negli ultimi 10 anni, le regioni del Mezzogiorno
hanno versato 14 miliardi di euro a quelle del Nord per far curare i propri cittadini,
perdendo importanti risorse per il proprio sviluppo. A beneficiarne soprattutto
Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Veneto. Ne consegue l’immagine di un
Paese spaccato in due che tradisce i principi di universalità, equità, uguaglianza
fondanti del Sistema Sanitario Nazionale.
Le diseguaglianze nell’accesso ai servizi incidono sull’aspettativa di vita alla
nascita con un inaccettabile gap di 3 anni tra la provincia di Trento e la Campania.
Criticità già oggi gravi e insopportabili, destinate ad aggravarsi nel caso in cui si
concretizzi il progetto di autonomia differenziata.
RINUNCIANO ALLE CURE
Il 7% della popolazione non si avvale delle prestazioni sanitarie necessarie perché
ritenute troppo costose o per liste di attesa troppo lunghe…
di Davide Colella
La pandemia ci ha ricordato il valore del Servizio sanitario pubblico e universale. Un
diritto sancito dalla Costituzione. Un sistema da difendere, rafforzare e finanziare
adeguatamente a tutela del diritto alla salute dei cittadini. In realtà la sanità è
trascurata dall’agenda politica italiana, con ridimensionamenti del personale e scelte
programmatiche errate, in un generale impoverimento degli asset di cui oggi tutti
paghiamo le conseguenze.
Secondo il Rapporto 2022 di Cittadinanzattiva, nel sistema sanitario pubblico è
necessario attendere 720 giorni per una mammografia, 375 per un’ecografia, un anno
per una TAC, 6 mesi per una risonanza magnetica. Per visite diabetologiche,
dermatologiche o reumatologiche non si scende sotto i 10 mesi. Non va meglio per
gli interventi chirurgici: in cardiologia e ortopedia bisogna attendere almeno un anno.
Fino a 6 mesi per un intervento oncologico.
Secondo l’ISTAT, nel 2020, il 7% della popolazione ha rinunciato a prestazioni
sanitarie necessarie perché ritenute troppo costose o per liste di attesa troppo lunghe.
Un fenomeno che riguarda quattro milioni di persone. Nel 2021 i cittadini italiani
hanno speso 41 mld di euro per curarsi, erodendo salari e pensioni. 623 euro
procapite con enormi diseguaglianze territoriali.
Nel decennio 2010-2019 solo 5 regioni hanno superato l’85% degli adempimenti
dei LEA, i livelli essenziali di assistenza. Si tratta di Emilia-Romagna, Toscana,
Veneto, Piemonte e Lombardia. Nel 2019 Basilicata, Calabria, Campania, Molise,
provincia autonoma di Bolzano, Sicilia e Valle d’Aosta non hanno raggiunto gli
adempimenti.
Nel 2020, nonostante la pandemia, le giornate di degenza di pazienti ricoverati in
ospedale in una regione diversa dalla propria sono state 351 mila. Nel 2019 se ne
erano contate quasi mezzo milione. Negli ultimi 10 anni, le regioni del Mezzogiorno
hanno versato 14 miliardi di euro a quelle del Nord per far curare i propri cittadini,
perdendo importanti risorse per il proprio sviluppo. A beneficiarne soprattutto
Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Veneto. Ne consegue l’immagine di un
Paese spaccato in due che tradisce i principi di universalità, equità, uguaglianza
fondanti del Sistema Sanitario Nazionale.
Le diseguaglianze nell’accesso ai servizi incidono sull’aspettativa di vita alla
nascita con un inaccettabile gap di 3 anni tra la provincia di Trento e la Campania.
Criticità già oggi gravi e insopportabili, destinate ad aggravarsi nel caso in cui si
concretizzi il progetto di autonomia differenziata.